venerdì 30 ottobre 2015

Favole urbane

[di Viola Niccolai]

A primavera sono stata contattata da Valentina Pagliarani dell'Associazione culturale Katrièm, a Cesena. Stava dando il via alla prima tappa di un progetto corale dal nome "favole urbane" che nasce, citando le sue parole, “dall’idea di coinvolgere una serie di illustratori di albi per ragazzi in un macro progetto di arte pubblica. La suggestione per questa favola urbana è quella di riprodurre illustrazioni di libri su muri di città attivando un processo di relazione tra diversi luoghi e diverse città coinvolte. Gli illustratori coinvolti saranno chiamati a scegliere per ogni città una propria illustrazione, ma sviluppando una relazione con le scelte degli altri artisti.  Le illustrazioni, appartenenti a libri e a storie totalmente diverse si incontreranno tra loro formando un nuovo immaginario racconto”.
Per questa prima tappa, che parte da Cesena, ha pensato a La volpe e il polledrino


Le dico che mi entusiasma l’idea, anche se non ho mai lavorato su un muro né su un formato tanto grande; d’estate ci incontriamo a Cesena e a fine settembre torno in Romagna per realizzare finalmente il progetto.
Dopo varie richieste, d'accordo col comune di Cesena è stato infine scelto il muro di uno degli edifici esterni della scuola Carducci, in via Turchi, in centro. L’idea è di lavorare al muro (nei ritagli di tempo in cui non piove), oltre a condurre tutti i giorni laboratori proprio in quella scuola sulla storia di Gramsci.


Ogni volta che entro nelle scuole con l’albo, quando domando ai ragazzi se hanno mai visto una volpe, raccolgo una serie di risposte diverse a seconda dei luoghi in cui mi trovo. C’è che mi dice che l’ha vista solo allo zoo, chi morta ai margini dell’autostrada, chi l’ha vista sulla spiaggia e chi ha amici/nonni/zii che vivono in campagna e la vedono tutti i giorni.
Mi fanno domande su Gramsci: perché doveva scrivere lettere ai figli e perché era in carcere per un’idea; sanno subito cos’è un polledrino, ma non sanno cos’è una cooperativa e dopo la spiegazione concludo: «È come la Coop», senza che nessuno capisca troppo cos’è questa Coop che, alle loro orecchie, suona piuttosto senza c. Mi chiedono quant’è vera questa storia, quanto c’è di fantastico e quanto di reale, e così cominciamo a fare lo stesso tipo di riflessione sulle mie illustrazioni.

Viola Niccolai, illustrazioni per La volpe e il polledrino, testo A. Gramsci.

Mi chiedono perché, pagina dopo pagina, la volpe cambia colore e dimensione; ci interroghiamo soprattutto sulla tavola in cui la volpe fugge come un lampo, per decidere che, anche se è fuggita, la volpe c’è, è una macchia gialla che si muove veloce, e quindi è appurato che anche quella pennellata è una volpe. Sono affascinati dalla scatola di latta che porto in classe e mostro una volta terminata la lettura, e qualcuno decide di disegnarla dal vero.
In classe si lavora con la china, su grandi formati, spesso guardando le foto che sono servite a me per le tavole del libro. In più, i ragazzi hanno notato che il disegno sul muro sta prendendo forma.
Ma piove quasi sempre durante i laboratori, e restiamo in classe a dipingere.
L’idea è di creare dei grandi leporelli che occupano, aperti, due banchi e su cui i bambini disegnano a  coppie. Alla fine della settimana i loro elaborati vengono esposti alla sezione ragazzi della Biblioteca Malatestiana, come libri da sfogliare. La stessa biblioteca ospiterà la mostra delle tavole originali del libro, a partire dal 7 novembre.


Il lavoro al muro, fra il mal tempo e l’influenza che avanza, è durato una settimana, tra fine settembre e inizio ottobre. Già dalla prima volta in cui Valentina mi aveva parlato del progetto avevo chiara l’immagine del libro su cui avrei potuto lavorare, senza sapere quale muro della città sarebbe stato indicato. Avevo scelto da subito la tavola della corsa della cavalla intorno al piccolo, in mezzo ai bambini in posa per la foto di classe.
A settembre, prima di partire per Cesena, mi sono quindi ritrovata a disegnare su grandi fogli preparatori un bambino dopo l’altro, per adeguarlo alle proporzioni del muro.
Poi è stata la volta del turchese, del blu e dell’ocra e via via che i dettagli venivano fuori, la gente che passava mi chiedeva di raccontare.
In questo senso è stata un’opera partecipata, con la gente residente nella via che ogni giorno veniva a vedere a che punto ero e se il disegno progrediva.
Ho cercato di attenermi il più possibile alla tavola, anche se già da subito il problema che è sorto spontaneo è stato come poter adattare il tratto del pennello al segno della matita che era sul libro.


Ho preferito puntare su un’immagine che ricordasse il più possibile la tavola illustrata, ma ho anche cercato di dare all’immagine nuova un valore a sé stante, perché non avrebbe avuto troppo senso  cercare di ricalcare uno stile attraverso un’altra tecnica, rischiando di far diventare tutto il risultato molto macchinoso. Per me l’immagine su muro doveva richiamare certamente quella del libro, esserle fedele nelle proporzioni, nei volti delle figure, nei colori, ma doveva anche funzionare in maniera autonoma, in primis perché non era più in mezzo a una sequenza narrativa, e poi anche per il principio di diversità implicito nell’idea stessa di dare una nuova vita a quell’immagine.


Un ringraziamento a tutti quelli con cui mi sono consultata perché il muro venisse al meglio: Cristina Portolano, Marco Garofalo, Claudio Chimenti, il muratore di fiducia Fabrizio, la signora della mesticheria di Abbadia San Salvatore, nonché Gaia Cortesi che in Romagna mi fa sempre sentire a casa.

mercoledì 28 ottobre 2015

Facciamo!

[di Antonella Abbatiello e Stefano Baldassarre]

Questo è il libro Facce.


e questa la app Facciamo!.


Nella app Facciamo ci sono venti Facce.


Abbiamo pubblicato dodici Facce, eccole!

Cucù e Cattivo.

Testa Chiara/Testa scura e E gli occhi?

Arrossisco e Che buio.

Giocoliere e Silenzioso.

Nero e Alieno.

Chicchirichì e Due.

Da oggi trovate su Apple Store altre due Facce: Ovale e Raffreddato!




https://itunes.apple.com/it/app/facciamo!/id722902503?mt=8

lunedì 26 ottobre 2015

Manuale universale per genitori

[di Susanna Mattiangeli]

Vi è mai capitato di parlare con dei gruppi di genitori? A me sì, tanto, negli ultimi anni mi è capitato di parlare con molti genitori. A voce, per telefono, per email, su whatsapp. Ho raccolto centinaia di dubbi, incertezze e false convinzioni. Quindi ho pensato che c'è bisogno di chiarezza e, siccome ho avuto a che fare con qualche bambino e soprattutto ho un computer, credo di avere tutti i titoli per dire la mia sul tema della genitoliarità. Genitolarità. Genitorialità. Insomma su quella cosa di quando sei un genitore. Allora sono andata in giro per librerie, parchi, negozi e in una mattinata ho tirato fuori un agile pamphlet in cui ognuno può trovare la sua risposta. Eccolo qui:

Manuale universale per genitori

I genitori migliori sono quelli che erano già genitori migliori da prima. Sono quelli che si erano già iscritti ai corsi, avevano già letto i manuali, avevano già comprato tutto. Sono quelli che quando ci sono loro, si parla sempre di essere genitori.


Non è vero, diventare genitori è un fatto naturale, non serve prepararsi, basta lasciar succedere le cose e tutto andrà come deve andare. I genitori migliori fanno finta di niente e non hanno bisogno di libri. Giusto una sbirciatina, magari, se le cose si mettono male.



Macché. I genitori migliori, si sa, sono i Francesi.


Si vede che non avete le basi. I genitori migliori sono gli Arapesh della nuova Guinea.


Oggi però i genitori migliori tengono un diario, scrivono un libro, fanno un film, un disco, una mostra per condividere tutti i loro dubbi, le loro emozioni e le cose simpaticissime che succedono loro ogni giorno.


E però basta con questi figli esposti come opere d’arte, non se ne può più di foto, di pensierini, di racconti quotidiani. Per essere dei genitori come si deve, non bisognerebbe parlare dei propri figli. Mai, neanche con loro. Se chiedono qualcosa, tagliare corto e negare tutto. Ma se proprio si deve parlare, dare almeno nomi falsi.

E l'alimentazione?

I neonati devono mangiare solo nelle ore stabilite dal medico di famiglia. Assolutamente no. I neonati devono mangiare continuamente e strillare molto forte quando vanno dal medico di famiglia. I bambini devono mangiare biologico.


No, è tutta una bufala, i bambini devono mangiare roba presa a caso tra quella che costa meno al supermercato.
I bambini vanno nutriti con i vasetti comprati in farmacia. No, i vasetti fanno male ai bambini.  Nessuno dovrebbe mangiare vasetti in generale.
Ai figli bisogna dare farina di semi di miglio cotta al vapore.
Ai figli bisogna dare la Nutella.


(Comunque io ve lo dico, mi dispiace per voi ma le cose migliori da far mangiare ai bambini sono quelle che fa mia nonna e basta.)


Apprendimento

I giochi dei bambini devono essere approvati dagli esperti.


Non bisogna dare giocattoli ai bambini, ma lasciare che raccolgano nidi, pergamene, barbabietole e fossili trovati per caso mentre scorrazzano liberi nell'aia.


I genitori migliori giocano con i loro bambini, ma a fine giornata li raccolgono e li mettono a posto.


I bambini possono leggere e scrivere a tre anni.
I bambini non devono assolutamente leggere e scrivere prima dei sette anni.
I bambini devono giocare qualche ora al giorno con il tablet altrimenti non saranno competitivi nel mondo del lavoro.
Non si deve far sapere ai bambini che esistono il computer e la televisione. Se a un certo punto chiedono qualcosa, bisogna dire che non se ne sa niente. Se dovessero insistere si risponde : «Mi dispiace, non riesco a sentirti.»
I genitori migliori sono quelli che leggono ad alta voce.
Ancora migliori sono quelli che leggono ad alta voce quando c’è almeno qualcuno vicino.
Le bambine sono più tranquille dei bambini e leggono prima.
Alle bambine tutti dicono di stare tranquille e allora loro leggono prima perché altrimenti si annoiano.
Le bambine leggono prima dei bambini perché sono più veloci a prendere i libri dagli scaffali e quindi i bambini si agitano perché non hanno nient’altro da fare.


Consigli utili

Ai bambini basta dare poco.
Ai bambini bisogna dare molto.
Bisogna che i bambini si annoino.
Bisogna stimolarli.
L’importante è che si divertano.
L’importante è che si impegnino.
L’importante è seguirli sempre.
L’importante è lasciarli fare.

Bisogna saper dire no. Bisogna saper dire scusami. Bisogna saper dire "Vuoi quei kiwi?".


Quello che conta è l’esempio.
Quello che conta è il dialogo.
Bisogna ascoltarli.
Non devono stare al centro dell’attenzione.
Possono stare al centro, basta che si riesca a vedere il film.


Il bambino non va messo in imbarazzo.
Il bambino non va messo su un piedistallo.
Bisogna scendere al livello del bambino.
Bisogna innalzarsi al livello del bambino.
Bisogna che il bambino si muova.
Bisogna che sappia stare fermo, soprattutto quando è su un piedistallo.
Se i bambini stanno fermi, la terra gira intorno a loro.
Se i bambini girano insieme alla terra, alla fine del giro vogliono fare colazione.
Dopo tanti giri e tante colazioni succede che i bambini un giorno si svegliano e sono grandi. E a quel punto quello che è fatto è fatto.

Riassumendo

I genitori migliori sono quelli che non sanno di esserlo.
No, sono quelli che sanno di esserlo, ma lasciano che siano gli altri a giudicare.
I genitori migliori sono quelli che pensano di essere così così ma non sono sicuri.
No, sono quelli che pensano di essere i peggiori ma poi parlando con altri genitori cambiano idea.


I genitori migliori sono quelli che trovano tempo per se stessi.
I genitori migliori sono quelli che trovano parcheggio.
I genitori migliori sono quelli che quando leggono i manuali dicono ‘aspetta, nell’altro manuale dicevano il contrario’ e allora ne cercano un terzo, un quarto, poi passano a un romanzo, si mettono a chiacchierare e alla fine vanno a letto troppo tardi sapendo che sono rimaste pochissime ore di sonno e pensano: «Vabbè, qualcosa la so. Improvviserò.»

venerdì 23 ottobre 2015

Intervista a Leonard Marcus

Leonard Marcus
Questa intervista a Leonard Marcus, che a noi è sembrata molto interessante, è stata pubblicata sul blog Miss Marple's Musings il 7 ottobre 2015. Joanna Marple ha gentilmente accettato che Lisa Topi lo traducesse in italiano per noi.

[di Joanna Marple]

Incontrai Leonard Marcus tre anni fa, poco dopo il suo arrivo a New York. Un’amica, autrice e illustratrice, m’invitò a una delle bellissime feste organizzate nel suo piccolo appartamento di New York con persone provenienti dal mondo della letteratura per ragazzi. Da neofita della scrittura e della letteratura per l’infanzia, quella sera feci conoscenza con persone famosissime, benché a me ignote, tra le quali Leonard! Chi di voi conosce bene questo ambiente, non sarà sorpreso dal fatto che tutte le persone con cui ebbi modo di parlare erano interessanti, gentili e umili. Da allora ho incontrato spesso Leonard e ho avuto anche la fortuna di partecipare a uno dei suoi istruttivi tour di New York. Ho imparato cose nuove da ogni nostro incontro e gli sono profondamente grata per avermi concesso questa intervista. Ho già visitato due volte la mostra straordinaria curata da lui alla New York Public Library, The ABC of It: Why Children’s Books Matter.

Leonard Marcus alla mostra Why Children's books matter alla NYPL.

[JM] Da dove vieni, dove hai vissuto e in che modo questo ha influenzato il tuo lavoro?
[LM] Sono nato e cresciuto a Mount Vernon, nello stato di New York, un modesto sobborgo a nord della città di New York. Entrambi i miei genitori erano cresciuti in città e bramavano la pace e la serenità di una tranquilla oasi residenziale. Al contrario, nel momento esatto in cui vidi New York – i grattacieli, i musei, i pretzel giganti – capii che era lì che avrei dovuto vivere. È sempre la stessa storia: le generazioni successive vogliono l’opposto di ciò che desideravano le generazioni precedenti. George Washington soggiornò per breve tempo nel mio paese natale (da cui prende il nome) e io, da giovane appassionato di storia, ne ero elettrizzato. A nove anni, quando potevo scegliere, non leggevo altro che biografie. Le scuole pubbliche e le biblioteche locali erano superiori alla media e i miei insegnanti m’incoraggiavano a seguire non solo il mio amore per la storia, ma anche il mio amore per la scrittura, nato in un secondo tempo. Stranamente, i nostri insegnanti e bibliotecari non ci avevano mai detto che E.B. White era nato a Mount Vernon. Sarei stato orgoglioso di saperlo, invece lo scoprii solo anni dopo, mentre leggevo la quarta di copertina di una collezione di saggi di White.

Stuart Little di E. B. White.

[JM] Raccontaci qualcosa del tuo esordio e del tuo percorso come storico, critico e autore di letteratura per ragazzi. 
[LM] Mi sono iscritto a Yale nel 1968 con l’idea di studiare scienze politiche per intraprendere la carriera diplomatica. Ma ben presto mi resi conto che il gergo del politichese mi disgustava. “Analisi struttural-funzionalista”! Suonava come una mostruosa distorsione della lingua. E poi si dà il caso che io non sia una buona forchetta e mi resi conto che i diplomatici a tavola devono saper mangiare qualsiasi cosa gli venga servita. Quindi decisi di passare alla scrittura, alla poesia e al mio primo amore: la storia. Quando arrivò il momento di scegliere il tema della mia tesi di laurea, mi trovai a pensare alle origini della repubblica americana – la nuova nazione i cui fondatori volevano che i figli crescessero come spiriti liberi e intellettualmente indipendenti. Mi venne in mente che i libri per bambini dell’epoca potevano aver catturato sulla carta questo sforzo veramente rivoluzionario di re-immaginare l’infanzia su principi più democratici – sempre che ci fossero libri per bambini a quei tempi e che sarei riuscito a procurarmene qualcuno. Andai alla Beinecke Library di Yale e scoprii che Yale possedeva una collezione notevole di vecchi albi illustrati americani – libri che nessun altro si occupava di studiare per qualsivoglia motivo. Ne rimasi talmente affascinato che il mio interesse per i libri per bambini si spostò da quelli storicamente rilevanti a quelli – sia antichi sia contemporanei – di valore letterario e artistico. Successivamente, ho ampliato la mia indagine sui libri per bambini anche ad altre parti del mondo, soprattutto all’Asia. Decisi che dovevo dedicarmi a una professione che amavo e che quella professione era scrivere. I libri per bambini sono diventati l’argomento del quale scrivo. Proprio qualche giorno fa il cerchio si è chiuso, quando la biblioteca di Yale ha acquistato tutti i miei manoscritti e i miei saggi per la sua collezione.

[JM] A quale libro della tua infanzia sei ancora affezionato? 
[LM] Poiché ero il più piccolo di tre fratelli avevo soprattutto libri di seconda mano, tra cui qualche dozzina della serie Little Golden Books. Ricordo che, quando avevo 3 o 4 anni, m’incantavo a leggere un volume dei LGB che s’intitolava When I Grow Up e, sognando a occhi aperti, cercavo di trovare un’occupazione adatta a me in modo da avere qualcosa da dire la prossima volta che un mio parente adulto mi avesse chiesto cosa avrei fatto da grande. (Avevo scelto il cowboy o il benzinaio ma poi ci rinunciai.) Mi piaceva anche un altro volume dei Little Golden Books dal titolo Laddie and the Little Rabbit perché il protagonista della storia aveva qualcosa che avrei voluto anch’io: un cane. Nessuno di questi libri aveva grande valore letterario o artistico, ma ognuno di loro soddisfaceva in quel momento ciò che io percepivo come un forte bisogno. Ricordare i miei sentimenti verso quei libri mi ha aiutato tempo dopo, come critico, a capire che “i classici” non sono quei libri che assumono un valore speciale per un determinato bambino.

When I grow up, un volume della serie Little Golden Books.

[JM] Cosa possono imparare gli autori di albi illustrati di oggi dagli autori e gli illustratori dei tempi d’oro dei Golden Books? 
[LM] Gli autori dei Golden Books avevano la capacità di raccontare storie semplici che facevano presa su un pubblico di bambini molto ampio. Ammesso che esistano dei “soggetti universali”, di certo li si può trovare tra i Golden Books. Inoltre gli illustratori capirono che la cosa più importante era creare dei personaggi con i quali i bambini si sarebbero facilmente immedesimati dal punto di vista emotivo. I Golden Books erano prodotti alla portata di tutti. Non avevano niente di prezioso. Sebbene io ami gli albi raffinati, credo che abbiano ragion d’essere anche quei libri che consentono ai bambini di rilassarsi e scriverci sopra il loro nome, senza doverli trattare come oggetti di lusso.

Laddie and the little rabbit, un volume della serie Little Golden Books.

[JM] Come membro fondatore del consiglio di amministrazione dell’Eric Carle Museum of Picture Book Art, quali obiettivi vi eravate posti e in che misura sono state superate le tue aspettative?
[LM] Volevamo che l’illustrazione per l’infanzia fosse apprezzata tanto quanto un’opera d’arte per dimostrare che l’illustrazione è un’arte a tutti gli effetti. E volevamo che i bambini, attraverso la visita al museo, potessero innamorarsi dell’arte e dei luoghi in cui si fa esperienza dell’arte. Sempre più di frequente il museo porta le sue mostre in tour negli USA e altrove, rendendole accessibili a molte persone che difficilmente potrebbero visitarle nei boschi del Massachusetts. Penso che il museo sia diventato un punto d’incontro e un motivo d’orgoglio per tutti nel settore. Perché ci sia democrazia, c’è bisogno di un popolo istruito e amante dei libri, credo che il museo stia facendo la sua parte anche in questa direzione.

[JM] Tu tieni un corso sui libri per bambini e sullo sviluppo del bambino alla New York University. Quali sono alcuni dei pregiudizi che ti capita di ascoltare dagli studenti in classe?
[LM] Il corso è tenuto da me insieme a un docente di psicologia del bambino. Presentiamo una serie di teorie dello sviluppo e una serie di libri per bambini e per ragazzi. I libri illustrano le teorie e le teorie fungono da strumenti per interpretare i libri, i loro personaggi e i lettori che presumibilmente si faranno più coinvolgere da quei libri. Si va da Goodnight Moon e The Very Hungry Caterpillar a American Born Chinese e The Phantom Tollbooth. È un esperimento che va avanti da sette anni e funziona benissimo. L’errore più comune che fanno molti studenti quando vengono a lezione è concentrarsi troppo sul “messaggio” di un libro per bambini. Considerano i libri come strumenti per l’insegnamento in senso letterale. Inoltre credo che molti studenti non siano abituati a osservare l’arte visiva da vicino e a coglierne le sfumature. Io cerco di fare in modo che sviluppino la loro alfabetizzazione visiva, che è una competenza molto sottovalutata.
Where the wild things are, Maurice Sendak.

[JM] Scrivere albi illustrati e intervistare illustratori ha aiutato enormemente la mia cultura visiva. Qual è secondo te la più grande differenza tra i libri illustrati europei e americani?
[LM] Considerata la facilità con cui viaggiano i libri e le persone, la cultura del libro e dell’illustrazione è diventata molto più fluida di quanto fosse venti anni fa. In ogni caso, direi che gli albi europei puntano più sulla grafica e quelli americani sul personaggio. Se confronti i libri di Maurice Sendak con quelli di Tomi Ungerer o Lisbeth Zwerger, credo che capirai cosa intendo dire.

The three robbers, Tomi Ungerer.

[JM] Com’è l’ambiente in cui lavori?
[LM] Ho trasformato un monolocale, che dista cinque minuti di cammino da casa mia, nel mio ufficio/biblioteca. Mi piace molto. Le pareti sono spesse. Ho tantissimi scaffali, un armadietto e la mia collezione di libri è abbastanza ampia da non aver bisogno di recarmi in biblioteca. L’ho comprata con il denaro che ho ereditato da mia madre e quando mi trovo lì è come se lei m’incoraggiasse ancora.

Leonard Marcus nel suo studio.

[JM] Trovo bellissimo che la tua eredità renda onore a tua madre. A cosa stai lavorando in questo momento?
[LM] Sto curando quattro mostre, la prima delle quali – sulla figura di Lewis Carroll come pensatore controcorrente in ogni ambito della sua vita e del suo lavoro – sarà inaugurata al Rosenbach Museum a Philadelphia il 14 ottobre e rimarrà aperta fino a maggio dell’anno prossimo. A fine ottobre sarò in Arabia Saudita dove avrà inizio il festival di libri per bambini alla cui organizzazione ho preso parte anch’io. L’Eric Carle Museum darà avvio al tour di due insegnanti di arte e di una piccola mostra su Eric, accompagnata da una mia ricostruzione storica dell’evoluzione dell’albo illustrato in occidente, da Esopo a Un libro. Un progetto concepito per iniziare la gente del posto alle possibilità creative della letteratura per ragazzi. A novembre inaugureremo la mostra, da me curata, dal titolo Glorious Flights: The Illustration Art of Alice and Martin Provensen al National Center for Children’s Illustrated Literature ad Abilene, in Texas, che poi partirà per un tour nazionale. E il prossimo marzo aprirà al pubblico la mia mostra Magician of the Modern: The Art of Leonard Weisgard all’Eric Carle Museum.
Sul fronte dei libri, ho due novità in uscita per l’anno prossimo: Helen Oxenbury: A Life in Illustration (Walker/Candlewick) e Comics Confidential (Candlewick), una raccolta di interviste a tredici autori di graphic novel. Ogni artista ha anche creato un fumetto originale per il libro. Ne sono molto entusiasta!

The Eric Carle Museum of picture book art.

[JM] Nel corso degli anni hai intervistato e incontrato molte persone famose dell’industria dei libri per bambini. Quali sono alcuni dei posti più interessanti che hai visitato per realizzare interviste e ricerche?
[LM] Per scrivere di Randolph Caldecott, visitai tutti i luoghi in Inghilterra che per lui erano stati importanti. Mentre scrivevo di Margaret Wise Brown, andai con Clement Hurd e sua moglie alla casa di MWB, nel Maine. Quell’esperienza per loro, che non erano più stati lì dal 1951, fu come un viaggio nel tempo. Fu magico. Mi resi conto che i luoghi per Brown erano tanto importanti quanto le persone e fu così che sentii di dover ripercorrere i suoi passi anche in Irlanda e lungo la costa californiana, tra gli altri posti, per capire il suo modo di vedere il mondo.

La copertina di Goodnight Moon di Margaret Wise brown e Clement Hurd.

[JM] Affascinante. Io amo I viaggi letterari! Che opera d’arte hai appeso alle pareti di casa tua?
[LM] Ho qualche disegno e qualche stampa di Clement Hurd, Wanda Gag e altri. Non sono un collezionista, ma ci sono delle cose che mi piace poter guardare tutti i giorni e questo è il criterio fondamentale con cui scelgo le mie opere d’arte.

Chiudiamo l'intervista con cinque domande divertenti. 

[JM] Qual è il tuo parco preferito (regionale, cittadino o nazionale) al mondo?
[LM] Paley Park, un piccolo giardino tascabile nella 53ma strada, proprio a est dalla quinta strada nella Midtown, Manhattan. Ha una “parete ad acqua” che copre il rumore della città con un mormorio rilassante. Guardare l’acqua che cade giù, è quasi come osservare un dipinto di Jackson Pollock: t’ipnotizza. È un posto fantastico per rilassarsi, pensare o parlare con un amico.

[JM] Gatti o cani? 
[LM] Ho scoperto di essere allergico.

[JM] Un dettaglio che la maggior parte della gente non conosce di te?
[LM] Che sono mancino… Che lo zio a cui sono più legato voleva che diventassi architetto… Che sarei felice di mangiare sempre e solo cibo giapponese…

The funny thing, Wanda Gag.

 [JM] Il primo lavoro retribuito dopo il liceo?
[LM] Lavorai per un giorno come assistente imbianchino in un vecchio complesso di uffici a Manhattan. Il mio lavoro consisteva nel coprire tutte le vetrate delle finestre con dell’adesivo per evitare che ci colasse la vernice. Dopo circa quattro ore, buttai per sbaglio il rotolo adesivo fuori dalla finestra così mi dissero di non ripresentarmi dopo il pranzo.

[JM] Vai a farti uno spuntino, un bicchiere o cerchi qualche altra distrazione per nutrire la tua creatività?
[LM] Quando posso, vado a rifugiarmi al Metropolitan Museum of Art. Anche se il museo è molto grande, mi sento sempre a mio agio. Sono molto fortunato a vivere solo a una corsa in metro di distanza.

Leonard, grazie per aver condiviso i tuoi pensieri con noi. È stato come aver fatto una piacevole chiacchierata con te in quel meraviglioso studio/biblioteca tappezzato di libri e autori che amiamo e ammiriamo.