La scorsa settimana abbiamo inaugurato una nuova rubrica con un post su Luigi Ghirri, scegliendo uno dei suoi cancelli aperti sul vuoto per accedere ai regni dell'immagine invocati da Fumaroli a contrastare l’impero delle immagini-gadget che tolgono il dono della visione.
Bene, oggi quel che vi propongo sono riflessioni di Gianni Celati (personaggio che non ha bisogno di presentazioni e che molto ha scritto su Ghirri e le sue immagini), tratte da Documentari imprevedibili come i sogni. Il cinema di Gianni Celati, volume contenuto nel cofanetto Cinema all’aperto, contenente tre dvd: Strada provinciale delle anime, Il mondo di Luigi Ghirri, Case sparse - Visioni di case crollano.
Il brano che vi propongo oggi è tratto da Il disponibile quotidiano. Gianni Celati risponde a Fabrizio Grosoli. Nelle prossime settimane torneremo su questo libro che molto altro ha da dirci sull'immagine.
I filmati che trovate sono tratti dai documentari di Celati, uno di questi riporta una conversazione fra Celati e Ghirri sul paesaggio. Un altro è una presentazione del documentario Il mondo di Luigi Ghirri. Entrambi sono espressione del sodalizio fra questi due personaggi che, come vi renderete conto, condividono un’idea di sguardo e di narrazione molto affine.
Nel corso di incontri pubblici spesso è capitato che qualcuno mi chiedesse perché lavorare sull'immagine in un mondo in cui questa predomina, e perché, invece, non dare più spazio alla parola. A parte il fatto che il nostro lavoro credo dia spazio tanto alla parola quanto all'immagine, mi sono sempre chiesta come sia possibile non cogliere la differenza fra un tipo di immagine pervasiva, strumentale e muta e un tipo di immagine densa di senso e di pensiero. Come sia possibile pensare che la parola sia ‘buona’ e l’immagine ‘cattiva’, quando sotto gli occhi abbiamo quotidianamente a che fare con un costante abuso del linguaggio. Nessuno di noi demonizza la parola per quanto sia testimone di un suo uso distorto, inconsistente. E tutti sappiamo distinguere e riconoscere alla parola il suo valore di strumento di conoscenza, a prescindere dagli usi nefasti che se ne possono fare. Così dovrebbe avvenire per le immagini. Non rendersi conto di questo, cioè della differenza stabilita da Fumaroli quando parla di ‘impero delle immagini’ gadget e di‘'regni dell’immagine’, significa rinunciare a uno strumento di conoscenza fondamentale nella storia della cultura umana e relegare, davvero, le immagini al dominio del non senso, abdicando alla responsabilità che invece dovrebbe investire chi le produce. Il pensiero di Celati credo tocchi questo punto fondamentale.
F.G. Uno dei punti di forza dei buoni film documentari mi è sempre sembrato che stia nel fatto che chi li fa pensa di avere ragioni profonde, una sorta di necessità interiore, e che all’origine del filmare possono esserci cose molto diverse, prima ancora che venga fuori una storia, un racconto. Nei tuoi film mi sembra che all'origine ci sia l’incontro con dei luoghi (in fondo questo vale anche per Ghirri). Luoghi che possono essere periferici, minacciati, ma in trasformazione, normalmente “non visti” e che proprio per questo meritano di essere rappresentati e possono produrre visioni ulteriori. È così?
Bene, oggi quel che vi propongo sono riflessioni di Gianni Celati (personaggio che non ha bisogno di presentazioni e che molto ha scritto su Ghirri e le sue immagini), tratte da Documentari imprevedibili come i sogni. Il cinema di Gianni Celati, volume contenuto nel cofanetto Cinema all’aperto, contenente tre dvd: Strada provinciale delle anime, Il mondo di Luigi Ghirri, Case sparse - Visioni di case crollano.

I filmati che trovate sono tratti dai documentari di Celati, uno di questi riporta una conversazione fra Celati e Ghirri sul paesaggio. Un altro è una presentazione del documentario Il mondo di Luigi Ghirri. Entrambi sono espressione del sodalizio fra questi due personaggi che, come vi renderete conto, condividono un’idea di sguardo e di narrazione molto affine.
Nel corso di incontri pubblici spesso è capitato che qualcuno mi chiedesse perché lavorare sull'immagine in un mondo in cui questa predomina, e perché, invece, non dare più spazio alla parola. A parte il fatto che il nostro lavoro credo dia spazio tanto alla parola quanto all'immagine, mi sono sempre chiesta come sia possibile non cogliere la differenza fra un tipo di immagine pervasiva, strumentale e muta e un tipo di immagine densa di senso e di pensiero. Come sia possibile pensare che la parola sia ‘buona’ e l’immagine ‘cattiva’, quando sotto gli occhi abbiamo quotidianamente a che fare con un costante abuso del linguaggio. Nessuno di noi demonizza la parola per quanto sia testimone di un suo uso distorto, inconsistente. E tutti sappiamo distinguere e riconoscere alla parola il suo valore di strumento di conoscenza, a prescindere dagli usi nefasti che se ne possono fare. Così dovrebbe avvenire per le immagini. Non rendersi conto di questo, cioè della differenza stabilita da Fumaroli quando parla di ‘impero delle immagini’ gadget e di‘'regni dell’immagine’, significa rinunciare a uno strumento di conoscenza fondamentale nella storia della cultura umana e relegare, davvero, le immagini al dominio del non senso, abdicando alla responsabilità che invece dovrebbe investire chi le produce. Il pensiero di Celati credo tocchi questo punto fondamentale.
F.G. Uno dei punti di forza dei buoni film documentari mi è sempre sembrato che stia nel fatto che chi li fa pensa di avere ragioni profonde, una sorta di necessità interiore, e che all’origine del filmare possono esserci cose molto diverse, prima ancora che venga fuori una storia, un racconto. Nei tuoi film mi sembra che all'origine ci sia l’incontro con dei luoghi (in fondo questo vale anche per Ghirri). Luoghi che possono essere periferici, minacciati, ma in trasformazione, normalmente “non visti” e che proprio per questo meritano di essere rappresentati e possono produrre visioni ulteriori. È così?
4 commenti:
bellissimo post, che coincide con un mio periodo di intense letture di Celati: Narratori delle pianure, Verso la foce e ora Cinema naturale... Sul cinema lo conosco molto meno; comincio ora proprio con questo post, grazie
grazie a te che sei un fedelissimo lettore!
post davvero bellissimo,non conoscevo il lavoro di documentarista di Celati.Mi ha fatto pensare ad alcune cose di Olmi.E a Tacita Dean,artista inglese che indaga l'esterno,per dirla con Celati,in modo simile e diverso.
Si ricollega per me con riflessioni personali e mi tocca molto da vicino,grazie
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