mercoledì 22 febbraio 2012

I regni dell'immagine/ 5. Facce!

Irving Penn, Saul Steinberg in nose mask, New York, 1966
Spesso, quando mi dedico alla valutazione dei portfolio che ci arrivano a centinaia da tutto il mondo, osservando le illustrazioni mi trovo a riflettere che uno dei maggiori problemi da risolvere per un illustratore è quello della rappresentazione della figura umana. E, in particolare, quello del volto.
In questo periodo di carnevale, è interessante osservare come il volto, per strade e piazze, si trasfiguri nella sua rappresentazione e trovi nella maschera la sua faccia ludica, misteriosa, seducente, liberatoria.
Saul Steinberg & Inge Morath, Masquerade, 1959 -1961.

In origine, persona in latino significava maschera. Il nostro volto siamo noi. Ma il nostro volto è anche la parte che del nostro corpo ci è più estranea, non solo perché non la vediamo mai, se non allo specchio o in fotografia o in filmato, ma soprattutto perché è quella che gli altri identificano con noi e con la nostra identità. Cioè con quanto di più sfuggente esista. Infatti, sappiamo bene che non solo apparenza e sostanza, dentro e fuori, possono non coincidere affatto, ma che la conoscenza autentica di sé è uno dei traguardi più difficili dell'esistenza umana. Insomma, oltre che per un fatto squisitamente tecnico, si comprende bene per quali ragioni cimentarsi con la rappresentazione della figura e del volto umani sia tanto difficile e richieda una maturità, un'esperienza e un dominio espressivo notevoli.
Saul Steinberg & Inge Morath, Masquerade, 1959 - 1961.

Il gioco fra maschera e volto è sottile, sempre in bilico fra pulsioni individuali e annullamento dell'ego, fuga da se stessi, fra disvelamento e nascondimento, verità e menzogna. Il desiderio di vivere altre vite, quello di essere diversi da come si è; la curiosità di impersonare temporaneamente un'identità altra o di entrare in dimensioni diverse dalla propria; l'ambizione di abbandonare il proprio ruolo per interpretarne altri, diversi e negati dalla propria condizione; il sogno di avere qualità, attributi e poteri straordinari che non si possiedono; il desiderio di nascondere la propria identità per salvaguardarla e preservarne l'integrità dalle costanti minacce di che cerca di uniformarla o di costringerla in ruoli estranei; la voglia di trasgredire le norme e l'ordine costituito senza incorrere in punizioni e senza compromettere il proprio volto socialmente accettabile e riconosciuto;

Saul Steinberg & Inge Morath, Masquerade, 1959 - 1961.
e, infine, l'aspirazione ad assurgere a una condizione di impersonalità per incarnare ruoli, funzioni, compiti sovraindividuali: ecco alcune delle molte dimensioni che si sono nascoste e si nascondono dietro le maschere ed ecco le ragioni della fortuna che queste hanno avuto in tutte le culture umane.
Sulle maschere, sulla storia, sul ruolo che hanno avuto nelle diverse epoche e civilità umane, la letteratura è immensa. E il carnevale è, naturalmente, solo uno dei numerosissimi ambiti in cui la pratica della dissimulazione e del mascheramento è implicata. Sul tema delle maschere e su quello del volto ho in mente due belle mostre. Una, Africa. Capolavori da un continente, che si è tenuta parecchi anni fa a Torino, sulle maschere africane, che sono fra le più interessanti, spaventose, complesse, sorprendenti, meravigliose che mai siano state create e con le quali, infatti, l'arte moderna ha un debito enorme.

Saul steinberg, Mask, 1959 - 1965.

Africa. Capolavori da un continente, Gam, Torino, 2003.

In proposito, ricordo che al termine di questa esposizione, entrati nella sala dedicata, appunto, a opere di artisti del Novecento ispirate all'arte africana, l'impressione fu, dopo aver visto ciò che anonimi artigiani africani erano riusciti a produrre, che Braque, Picasso, Modigliani, Gris, Moore, Brancusi, e altri colossi par loro, fossero scolaretti alle prime armi. Medesima impressione al Mart di Rovereto, durante una visita alla mostra Modigliani scultore, dedicata ai volti in pietra dell'artista livornese. In esposizione, fra le altre cose, teste cicladiche e classiche, volti di Budda provenienti da diverse aree orientali, un kouros di splendore abbagliante, la meravigliosa Battista Sforza di Francesco Laurana. Arrivati a Picasso e Modigliani si era quasi imbarazzati, per quanto dirlo sia un'enormità.


Modigliani scultore, Mart, 2010.
Recentemente, una maschera è diventata famosa in tutto il mondo: quella di Guy Fawkes, protagonista, nel 1605, della Congiura delle Polveri, il quale insieme a un gruppo di cospiratori cattolici progettò di far saltare in aria il parlamento inglese.

La storia di questo inquietante volto candido dal sorriso beffardo, che in tutto il mondo improvvisamente ha assunto un ruolo di primo piano in rivolte, manifestazioni e scontri di piazza, mette in risalto quanto, di volta in volta, la rappresentazione di un volto umano, attraversando epoche, contesti, culture, possa assumere, perdere, modificare, e caricarsi di funzioni, attributi e significati nuovi.
Mutuata dal protagonista del fumetto V for Vendetta di David Lloyds e Alan Moore, un rivoluzionario ribelle mascherato che combatte contro un'oligarchia dispotica, la maschera di Guy Fawkes è stata assunta a simbolo della ribellione contro la tirannia  e adottata dapprima da Anonymous, il gruppo di hacker noto per aver attaccato siti di grandi corporation e di governi oltre che per la difesa di Julian Assange, e in seguito da Occupy Wall Street e dalla protesta gemella contro la City. Rapidamente, poi, ha fatto il giro del mondo, facendo la sua comparsa in tutte le proteste nate da movimenti spontanei contro i poteri occulti di banche, società finanziarie e lobby politiche (è disponibile in rete a modica cifra).

Londra, Gran Bretagna, 17 novembre 2011. (Stephen Simpson/LNP).

Sì, le maschere hanno una grande carica trasgressiva. E incutono timore. Anziché farne mistero, come invece vogliono le convenzioni sociali, ci mostrano infatti che una sottile e fragile superficie colorata può davvero rendere impenetrabile la verità dell'altro, rendendolo un abisso inattingibile. Sorella del volto, la maschera rivela, per analogia, che il volto occulta la verità, che la sua superficie è scarsamente leggibile, per nulla trasparente, come invece abbiamo la pretesa, un po' ipocritamente, di immaginare, più per tranquillità nostra o per smania di controllo che per reale interesse verso quel che gli imperscrutabili, misteriosissimi altri provano e sono davvero.

 Blexbolex & Stefanie Schilling, Reborn again.

 Blexbolex & Stefanie Schilling, Reborn again.

 Blexbolex & Stefanie Schilling, Reborn again.

Esiste materia più ambivalente del volto e delle sue rappresentazioni, falsificazioni, stilizzazioni? Esiste materia visiva più inesauribile dell'analisi delle fisionomie e dei moti che le alterano? Il volto umano è la prima cosa che un bambino impara a riconoscere. E per la nostra specie poche cose sono altrettanto attraenti, interessanti. Nulla come il volto è ambiguo e amabile al tempo stesso. A Oscar Wilde, che in materia era abbastanza ferrato, almeno a stare al suo Dorian Gray, si debbono alcuni illuminanti aforismi sulla relazione fra maschera e volto: "Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero." "Una maschera ci dice più di un volto." "Il volto è una maschera che ci è concessa per celare i nostri pensieri." Insomma, se il volto è un banco di prova per chi si cimenta nella rappresentazione dell'umano, le sue infinite maschere aiutano a comprenderlo e a leggerlo. Sicuramente, un gioco impegnativo, ma irrinunciabile.

Pietro Longhi, Il rinoceronte, 1751. Ca' Rezzonico, Venezia.

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