venerdì 30 novembre 2012

L'intelligenza del libro

Lo scorso 10 novembre, ad Alba, alla presenza del ministro della Pubblica Istruzione, con una grande e affollatissima festa e una mostra, è stato presentato il libro 999 storie sull'amore.

Ideato e realizzato nel corso di un progetto durato due anni, il libro è stato voluto dalla Fondazione Elena e Gabriella Miroglio, e ha coinvolto noi Topipittori in qualità di consulenti, Giulia Mirandola, Hamelin Associazione Culturale, qualche decina di insegnanti e dirigenti scolastici del territorio di Alba e Bra e, soprattutto, un migliaio di bambini e ragazzi.

Se il titolo 999 storie sull'amore vi richiama Nove storie sull'amore, è perché è stato proprio da questo libro, nato su commissione della famiglia Miroglio, che si è sviluppato il progetto 999 storie sull'amore. Pensato per coinvolgere i bambini e i ragazzi delle scuole del territorio, il progetto ha avuto una fase preliminare di formazione degli insegnanti sull'uso degli albi illustrati in classe, una seconda fase di lettura e riflessione condivisa nelle classi del libro Nove storie sull'amore, e una terza fase  finalizzata alla realizzazione da parte dei bambini di progetti, individuali o collettivi, incentrati sul tema dell'amore, e tesi a sviluppare una "educazione ai sentimenti" nei giovani allievi delle scuole dell'infanzia e primarie.

I lavori delle classi in mostra nella chiesa di San Domenico ad Alba.
E un momento dell'affollata presentazione.

Gli elaborati dei ragazzi - che, significativamente, sono stati quasi esclusivamente collettivi, giusto a ricordarci che se bisogna parlare d'amore bisogna farlo almeno in due - sono stati poi selezionati da un comitato composto da Elisa Miroglio, noi Topipittori, Giulia Mirandola e Ilaria Tontardini (Hamelin). La finalità di questa selezione: pubblicare un libro che raccogliesse gli elaborati più rappresentativi del lavoro svolto dai ragazzi in classe e che, oltre a servire per finanziare le attività della Fondazione Nuovo Ospedale Alba Bra onlus, potesse anche servire da guida e ispirazione allo sviluppo di altre, e analoghe attività.




Ciò che ha guidato l'attività di selezione non è stato un criterio puramente estetico: quelli che sono stati raccolti nel libro non sono necessariamente i testi, i disegni, i lavori più belli fra quelli presentati; ma sono - o, almeno, vorrebbero essere nell'intenzione di chi li ha scelti - quelli più rappresentativi dell'originalità, della spregiudicatezza, della freschezza e della passione con la quale bambini e ragazzi hanno declinato e interpretato la parola "amore"





Nonostante questo (o, forse, proprio per questo) ne è venuto fuori un libro bellissimo. Perché quel che i bambini fanno, dicono e pensano è sorprendente di per sé, per l'angolazione del loro sguardo sulle cose. E grazie a una persona che fin qui non abbiamo nominato per non rovinarvi la sorpresa, anche se ha partecipato al progetto fin dall'inizio. Questa persona si chiama Marina Del Cinque, e affermare che sia una grafica sarebbe riduttivo.



Marina (il cui sito internet perennemente in costruzione è qui, e che con noi ha realizzato questo libro e ha contribuito a questo e questo e questo) è indubbiamente una grafica straordinaria, cresciuta alla scuola di Italo Lupi, dal quale ha appreso una impeccabile lezione di equilibrio e pulizia. Ma la sua caratteristica più peculiare è che possiede l'intelligenza del libro.





Un'intelligenza che le permette sempre - e in questo caso in particolare - di individuare il senso della narrazione e di sottolinearlo, senza diventare mai troppo presente, troppo ingombrante. Per 999 storie sull'amore ha saputo, con rara maestria, raccogliere, ordinare, disporre e organizzare voci diverse, frasi disparate, segni a volte contrastanti. E ha fatto di questi elementi non un catalogo, ma una affascinante conversazione, un discorso che trova compiutezza soprattutto grazie agli accenti (ora gravi ora acuti) che ha evidenziato e ai ritmi che ha saputo imprimergli.



Il libro, che ha avuto grandissimo successo e venduto un gran numero di copie, è nato con uno scopo benefico: il prezzo di 35 euro è interamente devoluto alla Fondazione Nuovo Ospedale Alba Bra onlus, che lo destinerà all'acquisto di apparecchiature medico scientifiche per il reparto materno infantile dell'erigendo ospedale.


Qui e qui, invece, trovate questa esperienza raccontata da alcuni ragazzi, nei blog delle rispettive scuole.




Chi volesse acquistare il libro lo può fare rivolgendosi a queste librerie:
ad Alba
- Libreria il Bandolo: piazza Savona 7
- Libreria Milton: via Pertinace 9
- Libreria l'Incontro: via Mandelli 13
- Libreria La Torre: via Pertinace 8
- Libreria Zanoletti: via Cavour 5
a Bra:
- Libreria Il Crocicchio: via Fratelli Carando,8, Bra
- Premiata Libreria Marconi: via Marconi 13, Bra
a Torino:
- Abook: via Nizza 240/103
a Milano
- Abook piccolo: via Rovello, 2 (nel cortile del Piccolo teatro)
- Libreria degli Atellani: Corso Magenta, 65
o direttamente 
- alla Fondazione Nuovo Ospedale Alba Bra onlus
- alla Fondazione Elena e Gabriella Miroglio.

giovedì 29 novembre 2012

Alcune domande a Ferruccio De Bortoli


Domenica scorsa, leggendo l'inserto culturale del Corriere, La lettura, ho scoperto che i book block sono nati in Italia. I book block (da non confondere con i block book e i black block), giusto per spiegarlo ai nostri lettori che non lo sapessero, sono quegli studenti che durante le manifestazioni utilizzano scudi colorati su cui campeggiano, a grandi caratteri, titoli di libri. Recentemente spesso è capitato di vedere foto di cortei in cui appaiono queste centurie letterarie di piazza a fronteggiare gli antagonisti plotoni di polizia, con caschi, scudi e manganelli. L'impatto visivo è molto forte: forza contro parole. Grigio contro colore. Minaccioso silenzio contro silenzio carico di energia.



Di solito le parole che accompagnano le proteste sono urlate e sono slogan. Spiazza trovare la silenziosa potenza di titoli di libri che ci sono familiari scritti su sfondi vivaci a grandi lettere. La prima volta che vidi una foto dei  book block mi fece un'impressione incredibile: mi parve un'idea geniale. E lo è, geniale, questa idea che nel 2010 hanno avuto gli studenti della Facoltà di Scienze Politiche di Roma. Il nome, book block, gli è stato attribuito da Wu Ming. Da Roma l'idea ha viaggiato per il mondo come capita spesso alle buone idee. Un'idea, dal punto di vista della comunicazione, fortissima perché capace di sovvertire le abituali categorie di giudizio.



Da ragazzi ribelli e arrabbiati non ci si aspetta che si facciamo scudo, letteralmente, dell'autorevolezza antica che hanno parole alte e importanti. E uso il termine antico anche se spesso queste parole appartengono a libri del presente. Perché l'autorevolezza del libro, il più tradizionale strumento di trasmissione della cultura, antico lo è davvero, per storia e retaggio. Anche se oggi, come sappiamo e ci viene continuamente ricordato, sarebbe al suo tramonto. Come giustamente faceva notare Ranieri Polese, il giornalista dell'articolo in questione, Che leggere? I libri-scudo di Lenin, Dante e Ballestra:

«L'importante è che il libro ci sia. E l'importante è che abbia la forma del libro. Fatto singolare per una generazione cresciuta sul web che si confessa su Facebook, comunica su Twitter, scarica (download) dischi, film, libri. Ecco, seppure nella grezza simulazione del rettangolo di plexiglass su cui è appiccicato un cartone dipinto con sopra titolo e autore, quello che colpisce di queste manifestazioni è la nostalgia del libro com'era. Quasi che non si potesse immaginare un altro oggetto-simbolo capace di rappresentare quella cultura che le spending review stanno uccidendo. Per i ragazzi della rivoluzione digitale che ha mandato in soffitta Gutenberg, è proprio il libro stampato lo strumento di lotta.» 


Fa riflettere che questo simbolo sia nato dagli studenti per protestare nel 2010 contro la morte della cultura, dopo i tagli alla scuola e alla ricerca della riforma Gelmini. E cioè proprio dai figli del ventennio berlusconiano, che si è fatto paladino della cultura monovocale delle tre i (inglese, internet, impresa): vale a dire uno dei momenti più tetri e insipienti nella storia della cultura italiana, i cui danni sconteremo ancora a lungo per i guasti enormi arrecati alla testa, alle abitudini mentali, ai modi di pensare di un'intera popolazione. Le grandi copertine colorate che sfilano nelle piazze mostrano che il corpo apparentemente cagionevolissimo della cultura italiana ha invece, a sorpresa, anticorpi robusti. I libri che vengono opposti al nulla di riforme scolastiche affaristiche e incompetenti sono La volontà di sapere di Michel Foucault, 1984 di George Orwell, L'etica di Spinoza, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, Fight Club di Chuck Palahniuk, Il dottor Zivago di Boris Pasternak, Cecità di Saramago, Lolita, Moby Dick, On the road, la Divina Commedia, Il principe di Machiavelli, In ogni caso nessun rimorso di Pino Cacucci, Etica della differenza di Luce Irigaray, Dialettica negativa di Adorno, per citarne sono alcuni. Libri, come si nota, diversissimi fra loro, che indicano scelte e gusti molto personali, filoni di pensiero distanti, percorsi di letture e di interessi per nulla scontati o facili.


Allora mi è venuto spontaneo confrontare la vitalità e la qualità imprevista di questa protesta giovanile che si mette sotto le ali del libro e sulle ali dei libri cerca la spinta per volare alto, altissimo su tempi bassi, bassissimi, ai dati riportati in un articolo apparso in prima pagina sempre su La Lettura della scorsa domenica. Sto parlando di I nuovi analfabeti. Spot, politica, articoli di giornale. Un italiano su due fatica a capire. Oggi si privilegia una conoscenza emotiva e frammentata. E la scuola non aiuta a migliorare le capacità argomentative, di Paolo Di Stefano. Dati sconfortanti, inquietanti, se è vero che, come risulta da un saggio di Tullio De Mauro, La cultura degli italiani, il 70% degli italiani non possiede le competenze «“per orientarsi e risolvere, attraverso l'uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana.” Sono numeri che, in una condizione economica ordinaria (e in un Paese consapevole), farebbero scattare subito l’emergenza sociale.»
Interessante il brano in cui il tema dell'analfabetismo di ritorno viene messo in relazione al passaggio all'era digitale:

  
«Forse nessuno più di Gino Roncaglia, che insegna Informatica applicata alle discipline umanistiche, ha indagato le dinamiche della lettura nel passaggio dalla carta all’era digitale, cioè ne La quarta rivoluzione, titolo di un suo saggio. "Più che di un mondo di analfabeti parlerei di un mondo disabituato alla lettura complessa, perché i testi che circolano nel web sono per lo più brevi, frammentari, semplici e informali”. Quel che viene meno è il discorso argomentativo, costruito con sofisticate architetture di sintassi e di pensiero. “La Rete è una realtà ancora molto giovane, ha elaborato una sua complessità orizzontale e non verticale, ma questo è un aspetto che progressivamente potrà cambiare, poiché ci si sta rendendo conto della necessità di strumenti più articolati. Dai cinguettii di Twitter si vanno sviluppando strutture per concatenazioni più vaste: per esempio, Mash-up è un’applicazione che mescola contenuti diversi e Storify permette di creare delle storie complesse collegando materiali di diversa provenienza. Siamo all’inizio”. Una società di cacciatori-raccoglitori che non è ancora arrivata all’età delle cattedrali, dice Roncaglia: “Non credo che la frammentarietà del web sia strutturale, ma certo la forma paradigmatica di complessità e completezza rimane quella del libro e ritengo che si debba combattere contro la sua scomparsa. La scuola ha una enorme responsabilità e c’è molta confusione nell’adozione dei testi digitali. Va bene lavorare con materiali di rete e modulari, ma il libro di testo come filo conduttore autorevole va conservato. L’autorevolezza testuale non è autoritaria”.» 


Domenica sulla nostra pagina facebook il link all'articolo di Di Stefano ha creato una viva discussione, a riprova di quanti, molti, moltissimi fra noi, si sentano coinvolti in prima persona da queste tematiche.
Dalla lettura di questi articoli emergono segnali in parte contraddittori, in parte coincidenti. Se da una parte tutti ci rendiamo conto che l'era digitale, con le sue potenzialità e i suoi rischi, è una realtà ampiamente affermata nei confronti della quale la più stupida delle reazioni è un sordo e anacronistico rifiuto, dall'altra a sorpresa scienziati e ribelli concordano nell'evidenzare concretissime ragioni per cui oggi è un punto di vista altrettanto ottuso considerare defunto il libro tradizionale. Perché in effetti mai come oggi il libro e la pratica della lettura sembrano trarre nuova linfa, forza ed energia da un presente sconvolto da cambiamenti giganteschi che obbliga a ristabilire sulla base di emergenze gravissime nuove, serie priorità.


E, detto questo, ci fa riflettere, per tornare a un tema che ci sta a cuore come pochi altri, che il supplemento culturale del più importante quotidiano nazionale affermi in prima pagina a proposito sui dati dell'analfabetismo: «Sono numeri che, in una condizione economica ordinaria (e in un Paese consapevole), farebbero scattare subito l’emergenza sociale», ma che, pure, nello spazio delle sue 36 pagine non dedichi nemmeno una riga a un libro per bambini o ragazzi. Il sottotitolo di La lettura è Il Dibattito delle idee. Nuovi linguaggi. Arte. Inchieste. Racconti. Ci piacerebbe mostrare ai giornalisti del Corriere quali laboratori di idee, di nuovi linguaggi siano i libri per bambini.
E cogliamo allora questa occasione per chiedere al direttore del Corriere, Ferruccio De Bortoli, se si sia mai chiesto in quale momento della vita umana si costruisca un lettore forte. E se non ritenga che i media, come il quotidiano che dirige, non abbiano la responsabilità di aiutare a crescere questi lettori del futuro, informando e formando correttamente e regolarmente gli adulti che oggi si occupano di loro: genitori, educatori, insegnanti eccetera (ricordo, fra parentesi, che i più importanti premi letterari riservati ai libri per bambini e ragazzi nel mondo anglosassone portano i nomi del New York Times, del Boston Globe e di The Guardian.)
E ci chiediamo anche se non venga mai, a chi lavora nei giornali, il desiderio e l'impulso gratuiti di collaborare a creare anticorpi forti e vitali al buio dei tempi in agguato, e di farlo pensando alla salute e alla salvaguardia del pensiero dei bambini. Quanto meno per la sopravvivenza stessa dei media in cui lavorano.
Dedichiamo ai giornalisti del Corriere e al loro direttore questo magnifico spezzone dal film di François Truffaut, del 1966, Fahrenheit 451, tratto dal romanzo di Ray Bradbury.



mercoledì 28 novembre 2012

Quando gli artisti erano bambini

In questo periodo le iniziative pullulano. E i blogger faticano a star dietro a tutto quel che accade. Sembra che fra la fine di novembre e l'inizio di dicembre, poi, il mondo abbia deciso che è assolutamente necessario inaugurare una mostra, una libreria o tenere un imperdibile incontro su qualcosa. Siccome noi dalla fine di questa settimana al 10 saremo a Roma a Più libri più liberi, appuntamento di cui parleremo a brevissimo, ci perderemo tutto. Ma proprio tutto. Beh, ci consoliamo parlandone sul nostro blog, in una sorta di partecipazione virtuale.

Per esempio, uno dei posti in cui non saremo è Rezzato, venerdì 30, alle ore 18, all'inaugurazione di Artisti per la PinAC! mostra a cui partecipano, fra tanti bravi artisti, nomi come Scarabottolo, Matticchio, Sanna, Ocelot, Rapaccini, Tessaro (informazioni, orari, indirizzo eccetera li trovate qui). La cosa singolare di questa esposizione è che troverete le opere del presente accostate ai disegni realizzati dagli stessi illustratori da bambini, in un percorso di testimonianze, ricordi, documenti ideato per suscitare riflessioni sul significato della sperimentazione artistica nell’infanzia. Il che non è semplicemente una trovata brillante, ma molto ha a che fare con l'attività che da cinquant'anni la Fondazione Pinac svolge: un importante lavoro di ricerca, promozione e studio dell’espressività creativa dei bambini di diversi paesi del mondo.

Basti dire che la collezione PInAC, iniziata negli anni Cinquanta, oggi conta oltre 6000 opere provenienti da 60 paesi del mondo.
Artisti per la PInAC! nasce da un’idea di alcuni componenti dello staff artistico della Fondazione, con l’intento di avvicinare nuovo pubblico a questa realtà, unica nel suo genere in Italia e in Europa. Come affermano Sara Donati e Elena Tognoli, organizzatrici dell’evento: “La cultura dell’infanzia, e in particolar modo la ricerca creativa a essa legata, dev’essere considerata elemento fondante per il futuro del paese. È importante che i luoghi che, come Fondazione PInAC, conducono una ricerca di qualità intorno a questi temi siano valorizzati in sede istituzionale, politica e civile”.
Fra le altre cose, va segnalato che la mostra è organizzata anche col proposito di raccogliere fondi a sostegno delle attività della Fondazione. Le opere, in mostra fino al 9 dicembre, sono state offerte gratuitamente dagli artisti e saranno a disposizione del pubblico attraverso una donazione.

I 28 artisti in mostra sono: Veronica Azzinari, Alicia Baladan, Giorgio Bertelli, Ottavia Bruno, Angela Colombo, Sara Donati, Giovanna Durì, Armida Gandini, Fausto Gilberti, Gabriella Goffi, Giorgio Maria Griffa, Giuliano Guatta, Claudio Iaccarino, Marta Iorio, Karin Kellner, Marialaura Marazzi, Clementina Mingozzi, Franco Matticchio, Valentina Muzzi, Mook, Michel Ocelot, Daniela Perani, Guido Pigni, Chiara Rapaccini, Cecilia Ramieri, Guido Scarabottolo, Alessandro Sanna, Gek Tessaro, Elena Tognoli.


martedì 27 novembre 2012

Libri cartacei e libri digitali a confronto


Domenica, 18 novembre 2012, in occasione di Bookcity, a Milano, al centro documentazione 0-6 in via Forze Armate, si è tenuto l'incontro L'editoria per l'infanzia volta pagina. Riflessioni e domande sul futuro del libro per l'infanzia. Ideato da Anna Pisapia e Francesca Archinto, il confronto ha coinvolto, oltre alle organizzatrici, Giulia Orecchia, Giuseppe Bartorilla, Giovanna Zoboli, Martina Fuga, Massimo Canuti. Poiché durante la discussione, abbiamo ascoltato cose interessanti, abbiamo pensato di condividere con voi gli interventi dei relatori, a partire da oggi, e per le prossime settimane.

Libri cartacei e libri digitali a confronto: spunti e riflessioni dai primi studi

[di Anna Pisapia di Happi ideas]

Il convegno L'editoria per l'infanzia volta pagina vuole essere un primo momento di incontro e riflessione, e vorremmo che il dibattito continuasse in rete ( #futurolibroinfanzia ). A breve progettiamo di lanciare un questionario online per fare il punto su cosa ne pensano i genitori di ebook e app libri. Non ci risulta che esista ancora nulla al riguardo in Italia.
È importante considerare che tutti (editori, illustratori, bibliotecari, esperti di nuove tecnologie, autori, genitori, educatori), nessuno escluso, possono contribuire ad animare il dibattito e la riflessione. Il comune denominatore è la passione per il libro per l’infanzia, il filo conduttore è il prodotto di qualità.



Vorrei partire dalle indicazioni che ci propongono alcuni studi.
Secondo Pew Internet Project, igenitori sono entusiasti downloader di tutti i tipi di applicazioni, in particolare per i bambini. Come riporta iLearnII, la maggioranza delle applicazioni (80%) della sezione Educazione dell'Apple Store è per bambini in età prescolare o elementare. Inoltre, se si guardano i prodotti più venduti nella categoria Libri dell’Apple Store, si nota che in genere i prodotti per bambini dominano la lista.
Il settore è in crescita e in espansione.


Inoltre, secondo il New York Times, l’iPad è il tablet più venduto ed è quello più adatto ai bambini, secondo alcuni potrebbe addirittura essere il punto di svolta in materia di istruzione.
E, tuttavia, a questo punto, la sorpresa è che i genitori preferiscono ancora leggere ai loro bambini i libri di carta.

Secondo un’indagine New York Times, i genitori accaniti downloader di libri vogliono che i loro figli siano circondati da libri stampati, perché possano sperimentare l’esperienza fisica della lettura. E molto conta anche il momento di intimità che la lettura comporta. Infine, per i genitori è importante poter sfogliare il libro per intero, prima di acquistarlo. E tutto ciò perché, come sostiene anche Junko Yokota, professore e direttore del Centro per la Didattica attraverso i libri per bambini e ragazzi alla National Louis University di Chicago, la forma e le dimensioni del libro fanno profondamente parte dell'esperienza di lettura, del vissuto emozionale e intellettuale.

Ci si chiede: esiste una 'giusta' quantità di interattività nei libri digitali per bambini?
Secondo uno studio del Ganz Cooney Joan Center effettuato nel 2012, troppa interazione non pertinente alla storia può distrarre il bambino dalla lettura e può incidere sulla co-lettura con l’adulto. I bambini che hanno letto versioni enhanced ebook ricordano meno dettagli narrativi rispetto a quelli  che hanno letto la versione stampata della medesima storia.
Se parliamo di apprendimento, non solo i libri digitali interattivi, ma anche i libri cartacei pop-up distraggono i bambini.

Questo tuttavia, secondo Cynthia Chong psicologa dell'età evolutiva, non vuol dire che non siano utili e che non piacciano ai bambini. Del resto i libri digitali possono indurre alla lettura bambini poco motivati.
Pensiamo ora alle parole che usiamo: si guarda un film, si gioca a un videogioco. Ma cosa si fa con un libro digitale (app/enhanced ebook)? Per questa esprienza manca ancora una terminologia.
Come stabilire limiti ragionevoli di esposizione per un bambino di 2 o 3 anni?

 
L'American Academy of Pediatrics raccomanda di non esporre allo schermo bambini sotto i due anni, sostenendo che una ricreazione non strutturata sia più vantaggiosa per sviluppare creatività, problem-solving e capacità di ragionamento.
Per i bambini di età superiore, raccomanda non più di una o due ore di “programmazione di qualità” al giorno.


Come scegliere? Michael Levine, direttore esecutivo del Joan Ganz Cooney Center suggerisce la “piramide tech”, ovvero di selezionare le proposte digitali “più salutari” e “nutrienti”, che consentano al bambino di essere propositivo senza essere intrattenuto.



In conclusione: la ricerca è solo all’inizio, gli studi sono ancora pochi.
è certo che questi mezzi hanno potenzialità enormi ancora tutte da esplorare e monitorare.
C’è forse anche una “paura del non conosciuto”. Poiché i bambini di oggi sono nativi digitali se non vogliamo precludere ai nostri figli questo mondo, dobbiamo incoraggiarli a sperimentare, a usare ogni mezzo in modo corretto e insegnando loro al tempo stesso a riconoscerne i pericoli.



lunedì 26 novembre 2012

Innamorato della luna

Copertina per Il giornalino della Domenica, 1907
Chi è stato il primo autore italiano di picture book?
Una risposta la fornisce Santo Alligo, in Pittori di carta (una raccolta di tre volumi della quale abbiamo parlato qui) quando di un meraviglioso libro di Antonio Rubino, Versi e disegni, di concezione impertinente e surreale, scrive: “Versi e disegni è forse il primo libro italiano pensato, scritto, illustrato e impaginato da una stessa persona, un libro d'artista nella moderna accezione del termine.” Definizione che fa pensare effettivamente a Rubino come al capostipite della categoria.
All'illustratore, grafico e scrittore sanremese, la Biblioteca Braidense di Milano, dedica una mostra con un titolo bellissimo: Innamorato della luna. Antonio Rubino e l’arte del racconto, ideata e curata da Martino Negri che, oggi, in Italia è forse il maggiore esperto di Rubino.
In calendario dal 30 novembre 2013 al 31 gennaio 2013 (inaugurazione giovedì 29 novembre, ore 17.00), la mostra comprende per lo più materiali a stampa (libri, riviste, manifesti, quaderni), ma anche tavole originali (chine, tempere, acquarelli), fotografie d’epoca e manoscritti dell’autore. Progettata per un ampio pubblico, e dunque non solo rivolta agli esperti di letteratura per l’infanzia o ai bibliofili, l'esposizione è davvero un'occasione felice per conoscere una delle figure più interessanti del panorama culturale italiano dei primi cinquant’anni del Novecento, eclettica, innovatrice, sperimentatrice, e per questo modernissima.


Antonio Rubino, Versi e disegni, 1909, frontespizio.
Antonio Rubino, Versi e disegni, 1909, tavola.




















I materiali esposti ripercorrono l’intero arco del lavoro di Rubino per la carta stampata, dai primi ex libris ai manifesti pubblicitari, dalle strisce a fumetti ai libri della maturità, con l’obiettivo di mostrare la versatilità della sua intelligenza artistica e la storia della sua evoluzione, di cui i libri, pensati in piena autonomia inventiva e realizzativa, costituiscono gli esiti più interessanti.

Fra questi il romanzo illustrato Viperetta (1919), è un esempio magistrale di dialogo tra linguaggio iconico e verbale.
Nel 2010, Viperetta, è stato rieditato da Scalpendi in un cofanetto che assembla l'edizione originale, fedele a quella voluta dal suo autore, e un volume critico, Viperetta. Storia di un libro a cura di Martino Negri, interamente dedicato alla sua analisi, a riprova della grande ricchezza, ai rimandi letterari e iconografici, alle culture, alle discipline che possono stratificarsi in un libro illustrato destinato ai ragazzi.
Uno studio imperdibile, approfondito e colto, che indaga temi importanti: dalla tradizione del viaggio lunare a quella del viaggio meraviglioso, dal romanzo di formazione alle peripezie dell'immagine della luna nella letteratura.
E siccome di questa Storia di un libro vale la pena di dare un saggio, ve ne riportiamo un brano che si riallaccia alla affermazione di Santo Alligo con cui apre questo post. Un modo da parte nostra,  cogliendo l'occasione di questa mostra, di rendere omaggio ad Antonio Rubino, progenitore dei picture book italiani.

Viperetta, Luna macabra.
Rubino aveva compreso che la "voce" di un libro – il suo discorso poetico, la sua capacità di invitare il lettore al viaggio senza meta di Blanchot [in Livre a venir, ndr], occupazione libera e giocosa, spogliata di ogni utilità – dipende strettamente dalla sua sintassi: una sintassi che non si limita tuttavia a porre in una relazione di natura logica e narrativa gli elementi verbali di cui si compone, ma coinvolge a pieno titolo anche l'universo del visivo, nel suo complesso, e il linguaggio delle immagini nello specifico, riconoscendogli pari dignità espressiva, se non addirittura una maggiore scatto comunicativo. 

Viperetta, Ziluna.
Il territorio misterioso che ogni pagina propone rivela, in quest'ottica, la sua natura di dispositivo di rappresentazione del mondo, o di un mondo possibile, spazio di possibilità in cui nessun segno ha a priori un significato, soprattutto per lettori giovani e giovanissimi, come quelli a cui si rivolge Rubino: lettori dall'attenzione vigile e lo sguardo non ancora offuscato dall'abitudine e dal pregiudizio che hanno la tendenza irrevocabile a consolidarsi con l'età adulta. 

Lettori ai quali soltanto, proprio in forza della loro ignoranza, che è innocenza e dunque apertura, disponibilità all'ascolto e all'incontro con quel radicale altro da sé che è il mondo del libro, è consentita una autentica esperienza di lettura, esperienza di uno spazio e di un tempo separati in cui tutto diventa immagine e niente ha ancora significato.

 Il tipo di testualità iconico-verbale proposta in opere come Viperetta o Tic Tac presuppone pertanto una sintassi – un modo cioè di entrare in relazione degli elementi verbali e iconici – analoga a quella pienamente esplorata e sviluppata soltanto alcuni decenni più tardi nei primi picture book, ovvero in quegli albi illustrati caratterizzati da una costitutiva interdipendenza tra linguaggio iconico e linguaggio verbale, che proprio in tale relazione hanno anzi la loro specificità espressiva. 

 


















Quello del picture book, infatti, va considerato come un vero e proprio genere letterario, per quanto impossibile da definire in relazione ai temi trattati, alle modalità espressive scelte o al pubblico di riferimento: un genere letterario che ha molti punti di contatto con l'universo della poesia, per la concisa memorabilità che ne caratterizza le pagine migliori, e che trova in Little Blue, Little Yellow di Leo Lionni e Where the Wild Things Are di Maurice Sendak due modelli esemplari. 

Le radici del genere sono tuttavia assai profonde e ramificate, rimandano a oggetti editoriali più antichi che, in quanto concepiti in ogni loro parte – verbale e iconica – da uno stesso autore attento alle possibili relazioni di senso in essi instaurate tra i diversi linguaggi, possono essere ragionevolmente considerati gli antenati: opere pubblicate nei primi decenni del XX secolo come Viperetta, appunto, o come i successivi e bel più celebri Le petit prince e La famosa invasione degli orsi in Sicilia di Dino Buzzati.

Fra gli autori dei saggi pubblicati nel catalogo della mostra edito da Scalpendi: Antonio Faeti, Paola Pallottino, Claudio Bertieri, Santo Alligo, Paolo Rusconi, Valentina Zanchin, Michele Rapisarda, Alessandro Milani, Roberto C. Bernardi, Federico Appel, Marco Cassini. I numerosi  materiali esposti provenienti dall’Archivio Rubino Antonio sono stati generosamente prestati da Antonietta Rubino.

venerdì 23 novembre 2012

Un solo immaginario, tanti spazi creativi

[di Laura Paoletti]

Creare, generare, foggiare, plasmare: è quello che ho scelto di fare nella vita. E, nella mia quotidianità, è proprio quello che sto facendo.
Creare, al quale il sostantivo creatività rimanda, deriva dal verbo latino creo, che deriva a sua volta dal sanscrito kar-tr, cioè colui che fa (dal niente), colui che genera, il creatore.

Il mio primo lavoro importante è arrivato nel 2010. La Scuola Holden di Torino aveva visto le mie illustrazioni attraverso il master Ars in Fabula e mi chiese una prova per la realizzazione del settimo numero di Save The Story, collana di libri illustrati, edita dal Gruppo L'Espresso, che ripropone ai ragazzi i grandi classici della letteratura, reinterpretati da grandi scrittori contemporanei. Le mie prove sono piaciute e ho iniziato un nuovo progetto. Era la storia di Antigone quella che avrei illustrato, la tragedia greca di Sofocle, riscritta da Ali Smith. È stato bello e interessante riscoprire questo grande classico che conoscevo dai tempi del liceo. Mi trovavo a dover generare una serie di personaggi, con le loro caratteristiche e i loro colori, che sarebbero diventati mie creature.

 Illustrazione per il volume La storia di Antigone.

Mi sono completamente immedesimata nel personaggio di Antigone, come succede ogni volta che dalla mia matita nasce una figura femminile. E poi la creazione dello storyboard, dei luoghi, la ricerca di simboli ed elementi caratteristici dell'arte greca, vascolare e scultorea. Mi sono immersa nel mondo raccontato da Sofocle e reinterpretato dalla Smith. Ad aprile dell'anno successivo, finalmente avevo il libro tra le mani, ed è stato emozionante vederlo in libreria. Da quel momento, alcune tavole di Antigone sono state esposte in vari luoghi, tra cui lo stand de L'Espresso alla Fiera del Libro di Bologna.

Un paio di mesi fa, poi, sono stata contattata da Rosanna Sfragara, un'attrice di teatro di Verona, che mi ha invitato a partecipare a Parole e Sassi: un evento teatrale che coinvolge venti attrici professioniste, ciascuna delle quali narra la storia di Antigone ai bambini della sua regione di appartenenza. Ai bambini poi viene lasciato un copione e un sasso, con il compito di trasmettere la memoria di Antigone a familiari e amici. L'evento ospiterà alcune immagini della mia Antigone, e l'esposizione sarà aperta fino al 3 dicembre, presso la Galleria della Biblioteca Civica di Verona. In questo modo, le illustrazioni escono letteralmente dal libro, viaggiano e trovano spazi in contesti molteplici, come, appunto, quello dell'esposizione. La stessa cosa è accaduta in altre occasioni: con i compagni del master Ars In Fabula, insieme al collettivo Nie Wiem, e in modo diverso, in uno spazio virtuale, il portale Semidisegnitelodico, del progetto Semi di Sara Trofa.

Biancospino, tavola realizzata per il progetto sui Semi di Sara Trofa.

Il mio lavoro di illustratrice è approdato anche in un ambito del tutto diverso da quello dell'editoria: quello della moda. Da un anno, infatti, lavoro per il reparto comunicazione di Fornarina, azienda calzaturiera e d'abbigliamento di importanza internazionale, che ha sede nella città in cui vivo. Le immagini che qui creo sono diverse da quelle realizzate per l'editoria, nonostante la mia ricerca e il mio approccio siano gli stessi in ogni ambito artistico. La moda ha un codice proprio e richiede uno stile legato al brand e al taglio stilistico che il marchio impone.

Due banner realizzati in occasione dei saldi di fine stagione.
Partendo dai pattern di alcuni capi d'abbigliamento della stagione SS12,
per i Saldi ho ricreato un paesaggio fantastico con una sorta di teatrino,
dove la 'scena' è lo spazio aperto sull'interno del negozio.

Qui il mio compito, sotto la supervisione e la guida creativa di Caterina Aimone, mio art director, è realizzare scenografie per le vetrine dei negozi dislocati in tutta Europa. Per ogni collezione cerco di proporre un tema attinente alla campagna pubblicitaria, ai colori predominanti e al mood che traspare dai tessuti e dai capi di abbigliamento. Dopo una fase di ricerca e una di sperimentazione creativa, dove talvolta foto e inchiostro si mescolano, metto a punto un insieme di elementi utili alle vetrine dei negozi, ma anche alle grafiche del momento. Creativamente ho anche avuto occasione di misurarmi con l'ambito stilistico vero e proprio dell'azienda, realizzando tessuti o grafiche utilizzati per la produzione di alcuni capi di abbigliamento.

Particolare da Di-segni, monotipia su carta, 2012.
Infine, il mio lavoro, da molto tempo, si esplica in un ambito più personale e, di conseguenza, più libero. Fin dai primi anni di Accademia, infatti, conduco una ricerca sulla femminilità (svincolata dai codici di linguaggio dell'editoria e da quelli iconografici della moda), legata a una dimensione intimistica, privata. La mia espressività qui si manifesta senza vincoli, e le mie creature sono 'nude', disinibite, sciolte. Ritrovando una loro originale identità, le mie piccole mulieres si distinguono dalle mie illustrazioni, e questa distinzione sta nella coscienza con cui le 'forgio'. Nelle mie installazioni gli elementi dialogano tra loro, sussurrando e bisbigliando. A volte, invece, sono muti, e non vogliono farsi leggere affatto.
I luoghi che abitano sono legati all'arte: musei, gallerie, spazio espositivi.
Sabato, 24 novembre, ad esempio, la galleria ZAK Project Space di Monteriggioni ospiterà una mostra collettiva a cura di Antonello Tolve. Breack up (questo il nome della mostra) ospiterà i lavori di otto artisti italiani e sudamericani. Io partecipo con tre installazioni.
S-velata, monotipia, 18x15 cm, 2012.

Quello che accomuna tutti gli ambiti in cui opero è la mia ricerca quotidiana. Mi nutro di arte contemporanea, letteratura, fotografia, cinema, poesia: cioè di tutto quello che può alimentare la creazione di immagini, perché "per lo sviluppo della fantasia [è necessario] l'aumento della conoscenza" (a dirlo è Bruno Munari in Fantasia). Nelle mie immagini c'è sempre qualcosa che preme per essere raccontato: un vissuto che emerge, un dettaglio che fa pensare a un passato e a un futuro. Un solo immaginario per tanti spazi diversi: finalizzato nei progetti professionali, s-velato nella dimensione artistica personale.

Neri sono gli alberi della memoria, 2012, tecnica mista su carta, dimensioni variabili.
Di-segni, 2012, tecnica mista su carta, dimensioni variabili.
Exhibition viewApparizioni a Mezzogiorno, a cura di A. Tolve, Salerno 2012.