lunedì 31 dicembre 2012

Devi pensare anche questo

L'edizione Querido di Lettere dal bosco.
Nelle foreste e nei boschi, l'anno nuovo scocca senza clamori, nel buio e nel silenzio fra i tintinnii dei rami nudi, lo sciacquio dell'acqua e i fruscii degli animali, d'inverno ancora più furtivi. Mi sono sempre chiesta cosa pensino gli animali, ascoltando i rumori lontani delle città impazzite, a capodanno. Toon Tellegen, che ho il sospetto sia una sorta di Re Salomone, in questo breve racconto, tratto da Lettere dal bosco (edizioni Donzelli; ne abbiamo già parlato qui), illumina uno scorcio delle vita segreta della Natura, preclusa a noi esseri umani. Un giorno gli scienziati (e Toon Tellegen, fra parentesi, è medico), scopriranno che gli animali davvero si trovano sul finire dell'anno a dialogare come filosofi. E noi stupiremo, estasiati, da perfetti imbecilli che siamo. 
Vi auguriamo un sereno 2013. Grazie per l'attenzione che ci rivolgete ogni giorno. Ci ritroviamo il 7 gennaio.


In una cupa giornata verso la fine dell'anno, gli animali si riunirono nella radura in mezzo al bosco.
Quando tutti ebbero detto qualcosa, il coleottero si schiarì la voce e chiese: «Chi di noi è mai morto?».
Il vento soffiava tra gli alberi, il sole era pallido e tutti tacevano.
«Nessuno?», chiese il coleottero.
La salamandra si alzò e chiese: «Proprio morto? Non solo la coda o...»
«No, proprio morto», disse il coleottero.
Il silenzio si prolungò. Nessuno aveva il coraggio di guardarsi intorno.
Infine il coleottero disse: «Vi ringrazio. Volevo solo sapere questo».
Si alzò un mormorio e tutti si diedero di gomito l'un l'altro.
«Perché volevi saperlo?», chiese la gazza.
«Per ogni evenienza», rispose il coleottero. Poi si girò e scomparve dentro un cespuglio.
Animali che non avevano mai corrugato la fronte, ora la corrugarono, e il vento aumentò e non restò altro di cui parlare.
La formica e lo scoiattolo se ne andarono verso casa. La formica aveva i brividi, ma non erano brividi normali.
«Che brividi sono questi?», chiese lo scoiattolo.
«Sono tremiti», rispose la formica.
«Tremiti?», disse lo scoiattolo. «Non ne ho mai sentito parlare».
Lo scoiattolo si mise a pensare intensamente. Ma tutto d'un tratto ebbe paura di sprofondare troppo nei pensieri e di non poterne più uscire. Allora cominciò a pensare più intensamente che poté alle ghiande e alle pigne e al fiume e al sole d'estate. Diede un colpetto di gomito alla formica e disse: «Devi pensare anche questo, formica, all'estate!».

Illustrazione di Mance Post per Toon Tellegen.

martedì 25 dicembre 2012

Niente di più e niente di diverso

Cosa significa fare un regalo? E riceverlo? 

Gli animali filosofi di Toon Tellegen, grande scrittore e poeta danese di cui abbiamo parlato  tanto tempo fa qui, ce lo insegnano con gesti veri, lievi, silenziosi, umoristici e malinconici a un tempo. 

Il libro da cui il racconto che vi proponiamo è tratto è edito da Donzelli e si intitola Lettere dal bosco. Un libro preziosissimo che non si può non leggere, e non solo a Natale, ma tutti i giorni dell'anno. Le illustrazioni sono di Mance Post, l'illustratrice danese che si è occupata di gran parte dell'opera per ragazzi di Tellegen.

Buon Natale dai Topipittori. Il 31 dicembre torneremo a salutarvi. Ma siamo virtualmente in vacanza fino al 7 gennaio.

Una mattina il vento recapitò una lettera allo scoiattolo.
Incuriosito lo sciattolo l'aprì e lesse:

Lista dei desideri
Un granello di zucchero.
Non bussate alla porta. Non ballate.
Non cantate. Non festeggiate.
E non fate nemmeno visite inaspettate.
Posate il granello di zucchero e ripartite subito.
Non portate niente di più e nemmeno niente di diverso.
Non gridate: «Auguri pappataci».
Non aspettate di sentire: «Grazie».
Non fate sorprese.
Non mettetevi dietro un albero a spiare
se per caso esco fuori.
Non arrabbiatevi.
Il pappataci.


È chiaro, pensò lo scoiattolo dopo aver letto la lista. Prese un granello di zucchero e s'incamminò.
Vide arrivare animali da ogni parte.
«Dove andate?», domandò.
«Dal pappataci», risposero. «E tu?».
«Anch'io».
Giunti nei pressi della casa del pappataci cominciarono ad affrettare il passo. Posarono il loro granello di zucchero e corsero via.
Nessuno si mise a spiare dietro un albero né gridò: «Auguri pappataci».
Al tramonto, una montagna enorme di granelli di zucchero svettava davanti alla casa del pappataci.
Spuntò la luna e la montagna splendeva e luccicava.
Sbirciando da ogni parte il pappataci scivolò fuori della porta a tarda sera e portò dentro i granelli di zucchero uno alla volta. Li nascose nella credenza, sotto il pavimento e nella sua piccola e buia soffitta.
Poi si mise a letto, si avvolse nelle coperte e sussurrò: «Grazie a tutti voi».


lunedì 24 dicembre 2012

Ma cosa si fa a Natale senza un libro?

[di Marta Sironi]

Alle tante e valide proposte avanzate da questo stesso blog per regalare un libro a Natale, vorrei aggiungerne una: anche tra i bambini c’è chi se lo aspetta e lo desidera.
Selma Lagerlöf, in un racconto autobiografico di recente pubblicato anche in Italia nella raccolta titolata appunto Il Libro di Natale (Iperborea, 2012), ricorda il Natale dei suoi dieci anni e i suoi più vivi desideri di allora: “So bene, ma così bene, quel che vorrei. Non sono belle stoffe per vestiti, né pizzi, né broccati, né pattini da ghiaccio, né caramelle o cioccolatini”.
La notte della Vigilia di Natale è tradizione di casa Lagerlöf stare svegli a leggere:

Vedete, devo dire che c'è una tradizione a Mårbacka, che quando si va a dormire la Vigilia di Natale si ha il permesso di avvicinare un tavolino al letto, metterci sopra una candela, e poi leggere finché si vuole. Questa è la più grande di tutte le gioie di Natale. Non c'è niente di più bello che starsene lì sdraiati con un bel libro avuto in regalo, un libro nuovo che non si è ancora mai visto e che nessun altro in casa conosce, e sapere che si può leggere pagina dopo pagina finché si riesce a stare svegli. Ma cosa si fa la notte di Natale, se non si sono ricevuti libri?

E inizia con questo atteggiamento e chiarezza d’intenti a scartare con emozione i pacchetti trovando tutti gli strumenti più raffinati per il ricamo, tutto quello che serve per ‘iniziarla’ a una futura vita di piccola donna, ma non quell’unico ‘chiaro desiderio’ che la renderebbe semplicemente felice.
Per fortuna la forma dell’ultimo pacchetto è inconfondibile: “Eccomi davanti il più bel libro del mondo, un libro di fiabe”.
Ma quando la piccola Selma prova a leggerlo non capisce niente e ci vuole la mamma anche solo per il titolo: Nouveaux contes de fées pour les petits enfants par Madame la Comtesse de Ségur. La delusione si stampa in faccia alla bimba che si abbandona alla più amara delle considerazioni:

Gustave Doré, illustrazione per Histoire,
de Blondine de Bonne-Bleu et de Beau-Ninon
.
Ricevere un libro in francese è quasi peggio che non riceverne neanche uno. Faccio fatica a trattenere le lacrime. Ma per fortuna mi cade l’occhio su una figura. La più incantevole principessina del mondo viaggia su una carrozza tirata da due struzzi e, a cavallo di uno dei due struzzi, c'è un paggetto in alta livrea con lo stemma ricamato e le piume sul cappello. La principessima ha le maniche a sbuffo e una sontuosa gorgiera. Gli struzzi hanno in testa alti pennacchi e le redini sono ornate di grosse catene d'oro. Non si può immaginare niente di più bello.
Man mano che sfoglio, trovo un vero e proprio tesoro di illustrazioni: altere principesse, re maestosi, nobili cavalieri, fate raggianti, orribili streghe, meravigliosi castelli fatati. No, non è un libro per cui piangere, anche se è in francese. 
Per tutta la notte di Natale me ne sto sdraiata a guardare le figure, soprattutto la prima, quella con gli struzzi. Mi basta quella per passarci ore.


Costretta dalle circostanze, la piccola Selma scopre, così, il potere narrativo delle illustrazioni e passa la notte di Natale a guardare quelle splendide figure, immaginandosi le storie che intendono raccontare. E il giorno di Natale, con l'aiuto di un dizionario di francese, dà la scalata alla misteriosa lingua del testo.
La fine non ve la racconto. Magari la leggerete stasera, a letto, con accanto un tavolino e sopra una candela. Buon Natale.

Gustave Doré, illustrazioni per Histoire de Blondine, de Bonne-Bleu
et de Beau-Ninon e per Le bon Petit Henri.

Per Nouveaux contes de fées pour les petits enfants par Madame la Commesse de Ségur
Gustave Doré realizzò 34 illustrazioni: 14 per la versione di serie e 20 per la prima edizione (Hachette, 1863).

venerdì 21 dicembre 2012

È inverno!

Winter, prodotto nel 1930 da Columbia Pictures Production e realizzato da "A Walt Disney comic", fa parte della miracolosa, incantevole serie Silly Simphonies Sound Cartoon. Cos'altro dire se non che è genio puro, per poesia, umorismo, leggerezza, immaginazione?



Ritroviamo la medesima colonna sonora, evidentemente perfetta per scivolamenti su neve e ghiaccio, in un altro cartoon a tema invernale: On ice, della serie Mickey Mouse, prodotto nel 1935 da Walt Disney Production. Fra le due date, come si noterà sono cambiate alcune cose: oltre all'ingresso del colore, Columbia è stata spazzata via. Il produttore del cartoon è diventato lo stesso Walt Disney. Cos'è successo? È successo che, il topo più fortunato del mondo, nato nel 1928, in pochi anni è assurto a celebrità internazionale, al punto da diventare uno dei simboli del suo Paese, portando il suo inventore a ricchezza e gloria imperitura.



Ci sono tanti punti in comune fra i due cartoni: bellissimi entrambi, forse il secondo anche migliore del più antico, dal punto di vista tecnico.
Ma il nostro cuore, nonostante sia di topo, batte allegramente e fraternamente dalla parte degli animali mattoidi, surreali di Winter, ancora un po' incerti e ingenui, con una loro festosa, squinternata innocenza. Quelli di On ice sono simpatici, esilaranti, modernissimi. Ma una cosa è chiara: sono già delle star. E lo si capisce dalla sicurezza con cui esibiscono vezzi, idiosincrasie, difetti.
In ogni modo: chapeau, Walt Disney.
Nel 1930, questo giovanotto, figlio di un muratore e di una maestra, era il beniamino dell'intellighenzia internazionale, adorato da uomini come H. G. Wells, Sergej Eisenstein, René Clair, Arturo Toscanini, Thornton Wilder che in quegli anni, infatti, dichiarò: "I due geni del cinema sono Walt Disney e Charlie Chaplin."

Che Walt Disney avesse una predilezione per l'inverno come atmosfera in cui ambientare le avventure dei suoi personaggi, lo dimostrano alcuni schizzi per una sceneggiatura che aveva per protagonista il suo primo character, creato nel 1927, Oswald the Lucky Rabbit, impegnato a pattinare sul ghiaccio. Poco dopo Disney fu subdolamente scippato di Oswald da un socio disinvolto. Senza Disney, tuttavia, il povero coniglio non ebbe grande fortuna. Prova ne è questo cartoon a soggetto invernale, del 1930.



Che ne pensate? Noi che è meglio diffidare dalle imitazioni!

Con questi due gioielli, accompagnati dal piccolo monito finale, vi auguriamo un inverno nevoso, pieno di luce e di belle camminate nei boschi o per le strade della vostra città, a pattinare, sciare o leggere seduti al caldo, in una poltrona di una stanza accogliente. Insomma, vi auguriamo un inverno pieno di affetto, calore, letture, chiacchiere e pensieri.

giovedì 20 dicembre 2012

Benvenuto!

La rivista Gli asini è appena uscita con un numero Speciale Natale 2012 con un titolo emblematico: Benvenuto tra noi. Pratiche e riflessioni intorno alla nascita e al parto.
Ci è sembrata, questa, una idea molto bella, necessaria, proprio in relazione alla valenza simbolica di una festa che rischia di disperdere la sua forza visionaria in elementi decorativi e accessori che in verità poco si addicono alla sua natura profonda e antichissima. Vi proponiamo qui la limpida presentazione del numero di Luigi Monti, direttore della rivista, seguita dal brano iniziale del lungo articolo di Grazia Honegger Fresco, di cui già ci siamo occupati qui, dedicato al ruolo centrale che ebbe il pensiero di Maria Montessori nell'aprire la strada a molta parte delle ricerche intorno al parto, alla nascita, al neonato.


Raccontare il parto e la nascita significa spingersi in quel territorio misterioso e primigenio dove la natura incontra la cultura, luogo di passaggio tra i più determinanti e misconosciuti nella vita di una persona, quello che ne definisce l’eredità biologica e inaugura, dandogli forma, il suo percorso di crescita.
Il panorama tracciato in queste pagine da diverse prospettive professionali e culturali (ne scrivono, ostetriche, ginecologhe, psicopedagogiste, neonatologi, scrittrici, filosofe e insegnanti) lo dice con chiarezza: la cultura dell’accoglienza al neonato, di ogni neonato, è ancora tutta da costruire. Raramente il bambino approderà su un’isola di intimità che la donna è riuscita a crearsi attorno per il grande evento. Molto più spesso ad accoglierlo sarà l’industria della salute, un luogo freddo e impersonale, che inaugurerà quella violenza invisibile e burocratica alla base di tanti altri futuri passaggi della sua crescita. In questo secondo caso è solo routine e non c’è differenza da un neonato all’altro. Nel primo, siamo su un altro pianeta: c‘è l’ascolto reciproco. Madre e bambino si annusano, si nutrono l’una dell’altro. Non c’è da piangere tanto: una nuova vita a due si avvia nella fiducia reciproca di potersi intendere. Il direttore d’orchestra è per ora il bambino, il suo orologio interno tra fatica e riposo, il respiro e la nuova circolazione, i sensi che si appagano di tanta pace. La madre lo segue con nuova sapienza d’amore.
Nell’inverno di una civiltà sfibrata e confusa, con questo numero “natalizio” Gli asini hanno deciso di ripartire dall’inizio. Come diceva Hannah Arendt, la condizione umana della natalità è anche la categoria centrale del pensiero politico: l’inizio inerente al parto e al nuovo venuto possiede, più di ogni altra cosa, la capacità di dar luogo a qualcosa di nuovo.



E si udì sulla Terra
di Grazia Honegger Fresco

Mi dissero di un uomo vissuto nell’oscurità più profonda;
i suoi occhi non avevano visto mai nessun lieve chiarore,
come in fondo a un abisso.

Mi dissero di un uomo, vissuto nel silenzio; non un rumore,
nemmeno impercettibile era mai giunto al suo orecchio.

Sentii parlare di un uomo che era vissuto
sempre immerso nell’acqua, un’acqua di strano tepore 
e che tutt’a un tratto spuntò fuori tra i ghiacci
e spiegò dei polmoni che mai avevano respirato
(lievi sarebbero le fatiche di Tantalo al confronto),
ma visse. 
L’aria distese d’un tratto solo i suoi polmoni
ripiegati fin dall’origine.

E allora l’uomo gridò.
E si udì sulla terra
una voce tremante che non si era mai udita,
uscente da una gola
che non aveva vibrato giammai…


Questo testo di Maria Montessori venne pubblicato per la prima volta nel 1935 ne L’enfant, edizione francese de Il segreto dell’infanzia, che – a causa del veto fascista agli scritti montessoriani – uscirà in italiano nel ’38 a Bellinzona (Svizzera) e poi nel ’50 per i tipi di Garzanti. Lei lo aveva presentato anche prima, nei corsi internazionali del ’30 e del ’31 a Roma, a dimostrazione del fatto che da tempo andava riflettendo sulla condizione del neonato, allora solo “tubo digerente” o pura “appendice” della madre, secondo la diffusa opinione dell'epoca.

La forma poetica esprime con efficacia il dramma di ogni essere umano nel venire al mondo. Non importa se poi si è scoperto che il buio non è proprio completo, né il silenzio così totale (gli studi di Alfred Tomatis, la sensibilità uditiva sembra essere assai precoce, condizionante l’intero sviluppo. Cfr. La notte uterina. La vita prima della nascita e il suo universo sonoro, red 1996). È comunque intuibile lo stato di incertezza, di disagio provocato dalla differenza di ambiente, tra caldo e freddo, dal buio alla luce, con l’improvviso cambiamento dei ritmi del cuore, del respiro e di molto altro ancora. Certo, il neonato è attrezzato per superare rapidamente un tale trauma e tanto meglio se esce attraverso le strettoie del naturale canale del parto.

Essenziale però che esso non si prolunghi artificiosamente: il figlio, prima collegato alla madre in stretta simbiosi, ora è separato da lei, la ritrova in una unione tutta diversa e ha urgente bisogno di conoscerla a contatto di pelle calda, di odori, di voci. Due persone ben individuabili, ancora bisognose l’una dell’altra. Il bambino, nuovo a tutto, esprime molto presto precise esigenze sensoriali ed esprime con il pianto o in altri modi l’esigenza di una totale continuità: ogni cambiamento va bene se diluito nel tempo e nei modi, giusto per avere il tempo di assuefarsi. Passeranno anni perché questa complessa realtà, sotto gli occhi di tutti, cominci a essere verificata in modi sistematici e finalmente riconosciuta. La medicina per prima stenta a riconoscere come vitali per la specie umana esigenze di sopravvivenza comuni a tante altre specie animali. Si limita a controllare lo stato di salute del neonato con l’indice di Apgar, livello minimo adottato dal 1952. Ma c’è molto di più e di assai poco misurabile: la qualità di un’accoglienza che risponda, per ogni individuo appena nato, alle esigenze sue e della specie.
Le parole poetiche di Montessori, peraltro non sempre apprezzate, aprirono la strada a molta parte delle ricerche attorno al parto e alla nascita.

Alla rivista Gli asini abbiamo già dedicato alcuni articoli che trovate qui. E ricordate: se vi abbonate a Gli Asini prima del 6 gennaio, questo numero è in omaggio



mercoledì 19 dicembre 2012

Avventure /8: Sono una fabbrica di illustrazioni

Questa sono io. La foto è di Fabrice Beau.
[di Francesca Ferri]

Mi chiamo Francesca Ferri e illustro libri di stoffa per bambini piccolissimi.
Il mio mestiere, nella sua estrema specializzazione, suscita sempre molta curiosità.
Qualche settimana fa, al pranzo per celebrare Cicale,  il primo libro di Marta Iorio, ho finalmente incontrato di persona Paolo Canton della casa editrice Topipittori e Anna Castagnoli curatrice del blog Le figure dei libri. In quella occasione, entrambi mi hanno chiesto di raccontare il percorso che mi ha portato a fare questo lavoro. Si sono accapigliati un po' e, dopo qualche giorno, mi hanno informato di essersi accordati: il post sarebbe uscito - se avevo veramente intenzione di farlo - sul blog dei Topi. Ed eccomi qua. Ignoro che cosa Anna abbia ottenuto in cambio

Ho studiato arte sperimentando grafica, pittura e arte concettuale, appassionandomi di quell'arte moderna che cerca di unire nell'opera linguaggi diversi, e mira a coinvolgere altri sensi oltre la vista.
Ho sempre cercato di giocare e divertirmi creando le mie opere e spesso il giudizio generale che ricevevo era che il mio linguaggio sembrava indirizzato a un pubblico infantile, anche se in realtà non ne avevo avuto l'intenzione.
Finiti gli studi ho fatto diversi lavori nel campo delle arti visive. Poi io e Oscar, il mio fidanzato, che fa il grafico, abbiamo aperto un piccolo studio e l'abbiamo chiamato Pirulino.

Questo è lo studio Pirulino visto da fuori...

Una delle prime commesse furono le illustrazioni di un libro di archeologia per bambini, al quale lavorammo insieme a Pietro Grandi, talentuoso fumettista.
Presentammo le illustrazioni realizzate al concorso per la Mostra degli Illustratori della Bologna Children's Book Fair e le tavole vennero selezionate.
Bisognava quindi sfruttare l'occasione per presentarsi agli editori in fiera. Mi resi conto che i miei lavori di illustrazione erano pochi per costituire un vero portfolio, cercai quindi di farmi venire qualche idea.

... e dentro

La mia vita quotidiana in quel periodo era dedicata ai figli, piccolissimi, e al mio lavoro. Non avevo tempo di leggere neanche una riga di un libro o di vedere un film, per cui presi ispirazione da ciò che avevo intorno per inventare un libro di stoffa che cucii io stessa (credo non ci fosse neanche una cucitura diritta), composto da scenari semi-astratti e corredato da animaletti sagomati con cui i bambini potevano giocare liberamente sulle pagine.
Feci un test all'asilo nido, le "dade" dei miei figli e i bambini erano entusiasti, facevano i turni per giocarci: il libro piaceva e funzionava.
A questo punto dovevo presentarlo, ma come? Avevo visitato molte volte la fiera, ma non conoscevo il mondo dell'editoria, non sapevo come prendere contatti e nemmeno cosa dire per presentare il libro.

Alla fiera di Hong Kong.
Mi piacevano molto gli albi illustrati di Chiara Rapaccini, così Oscar mi suggerì di chiamarla e chiedere consiglio a lei. Mi invitò nel suo studio a Roma: Chiara fu generosissima e mi spiegò l'ABC di rapporti e trattative con gli editori. Apprezzò anche alcuni disegni a tratto molto grafico, quindi decisi di prepararne una serie da presentare in fiera. Credo che, al di là delle nozioni pratiche, Chiara Rapaccini mi abbia dato una grande spinta, mi abbia convinto a lanciarmi.

Giunta in fiera mi presentai agli editori che avevo selezionato, ricevetti tantissimi responsi negativi. Poi trovai due stand che esponevano esclusivamente libri di stoffa. Uno in particolare, Rettore, era minuscolo. I due ragazzi che mi ricevettero mi dissero subito che non era possibile produrre il libro in serie, perché i costi sarebbero stati troppo alti, ma si mostrarono interessati all'idea e al mio stile grafico.

Una delle fabbriche dove si producono i miei libri.
Non era proprio una casa editrice. Era un "packager": un'azienda che crea progetti di libri, li propone agli editori e li produce. Scoprii in seguito che questi due ragazzi avevano aperto la loro attività da pochi mesi e cercavano qualcuno che gli curasse sia il design del prodotto sia le illustrazioni.

Cominciai così a collaborare con loro: mi commissionarono le illustrazioni per un primo libro che fu un banco di prova per entrambi.
Come spesso capita alla prima esperienza sbagliai un poco la scelta dei colori e l'impostazione della copertina non era risolta bene, ma feci di tutto per presentare un progetto tecnicamente perfetto e nei tempi indicati. Anche il committente fu puntuale nei pagamenti e questo creò la base del nostro rapporto.

Da undici anni faccio libri così...
Durante la lavorazione di questo primo libro nacque un forte scambio di idee su quali, come e quanti libri di stoffa avremmo potuto fare. Cominciai a stilare un elenco e lo aggiornavo continuamente.
A un certo punto mi resi conto che erano decine di titoli e con un po' d'ansia chiesi: «Ma quand'è che li dobbiamo fare?» La risposta fu tranquillizzante: «Nei prossimi anni!» E  così è stato. Ed è così che sono diventata una fabbrica di illustrazioni.

... e così...
In questi 11 anni, ho disegnato circa duecento libri. Gran parte di questo tempo l'ho trascorsa dentro il mio studio, disegnando. Il lavoro a distanza può risultare un po' alienante, anche per una persona solitaria come me. Per compensare ho voluto conoscere approfonditamente tutto il percorso che un'idea compie per trasformarsi in libro e finire in mano a  un bambino: ho visitato le fabbriche manifatturiere in Cina; ho incontrato alle fiere agenti, produttori ed editori di tutto il mondo; e ho condotto laboratori per costruire libri di stoffa con i bambini.
Amo il confronto con i bambini in età prescolare, mi regalano sempre punti di vista inaspettati sul libro.
Amo anche andare alle fiere: parlare con persone provenienti da paesi e culture che mai avrei la possibilità di conoscere, è un confronto stimolante.

... e così.
Tra tutti gli incontri mi piace ricordare un signore armeno, intellettuale poverissimo, che tutti gli anni viene allo stand Rettore durante la Buchmesse di Francoforte, entusiasta dei nostri libri e che ogni volta, fissandomi con i suoi  grandi occhi azzurri che sembrano finiti per sbaglio nel volto scuro e barbuto, mi dice: «Ce la farò, sono sicuro che ce la farò a portare questi libri nel mio paese!» e io ogni volta gli rispondo di sì, anche se entrambi sappiamo che nessun bambino armeno potrebbe permettersi di comprare neanche una pagina di un libro di stoffa...

Un po' dei miei doudou sullo scaffale, pronti per essere adottati.
Alla fine di tutto il processo, il libro finisce nelle mani di un bebè, che lo studia, lo scuote, lo stropiccia, lo ciuccia e lo usa per sperimentare e conoscere se stesso.
Il mio augurio è che ogni libro possa essere per un bambino e per chi gli sta accanto un'occasione per scoprire insieme la meraviglia delle cose che accadono per la prima volta.
E che un giorno questo possa succedere anche in Armenia. In fondo, è già successo più o meno un milione e mezzo di volte, in ogni angolo del mondo. Perché nel preparare questo post ho fatto un po' di conti e ho scoperto, non senza sorpresa, che i miei duecento libri sono stati venduti in tutto il mondo in un milione e mezzo di copie (in totale, non ciascuno).

Prendete questo bambino e moltiplicatelo per un milione e mezzo.
Impressionante, vero?
Sotto la rubrica "Avventure" trovate anche questi post:
4 bis) Un posto per disegnare insieme (e scusate l’errore di numerazione)


martedì 18 dicembre 2012

La lettura sfuggente

Ovvero, cronache bibliotecarie ai tempi del web 2.0

[di Giuseppe Bartorilla, Biblioteca dei Ragazzi di Rozzano]

Faccio il bibliotecario per ragazzi.
In tempi di scenari 2.0 che cambieranno, forse per la prima vera volta da Gutenberg, modi e tempi della lettura, le biblioteche per ragioni economiche e qualche volta per scelte culturali di chi le “amministra” non si trovano in una posizione significativamente centrale nell’onda lunga dialettico-progettuale.
A fronte di questa marginalità però i servizi bibliotecari destinati ai giovani nativi digitali hanno il vantaggio di essere ottimi osservatòri per capire dove fuggirà la lettura.
Non potrebbe essere altrimenti: da noi passano tutti gli attori della filiera della lettura under 18 attraverso i loro prodotti. E passa chi questi prodotti li consuma.

La bellissima e vitalissima biblioteca dei ragazzi di Rozzano.

E, partendo da questi “consumatori” particolarmente giovani, a Rozzano da ormai tre stagioni  proponiamo un convegno, dall’emblematico titolo Digital Readers, per provare a leggere il futuro di letture, libri  e biblioteche e comprendere come le professioni che gravitano attorno a letture e under 18 si riposizionano nei nuovi scenari.
Un momento che serve anche per delineare strategie partendo dalle poche certezze che abbiamo.

Bucsity a Radio Popolare, 2012.
Per esempio so che ogni progetto destinato a nativi digitali deve mettere al centro “loro” e non altro: loro sono, ad esempio, Beatrice, tre anni, che dopo aver scoperto l’esistenza della “posta elettronica” chiede alla mamma di mandare una e-mail per chiedere a Babbo Natale di farle dono di un bellissimo Cicciobello.

So che la net-generazione legge e scrive come nessuna mai prima, con modalità di apprendimento diversi dai nostri, e per questo qualche volta gli adulti dovrebbero togliere le sovrastrutture mentali da adulti e guardare con occhi under 18 il mondo per provare a far combaciare sviluppo cognitivo, emozionale, scenari tecnologici ed educazione.

I net-geners sono partecipativi multitasking e per il networking, per la fruizione attiva dei social media, sviluppano i processi cognitivi attraverso il videogioco e apprendono in modalità learning by doing (trial and error), sono visivi (Valeria Baudo, Come cambiano i servizi bibliotecari per ragazzi, Editrice Bibliografica).  Insomma, dei piccoli mostri. Ma in fondo eravamo piccoli mostri pure noi con la televisione, i nostri nonni con la radio, i nostri bisnonni con il cinema eccetera.

So che di fronte a un pargoletto che usa un tablet i genitori spesso reagiscono in due modi opposti: come gli spettatori del film dei Lumière, L'arrivo del treno nella città, alzandosi spaventati dall’arrivo dalla locomotiva, oppure come colpiti da sindrome di Stendhal davanti all'estasi di Santa Teresa del Bernini.

Terza edizione del convegno, Digital Readers, 2012, Rozzano.

Situazioni queste che innescano crociate improbabili pro e contro device: libro vs fumetto vs dvd vs internet vs e-reader vs tablet.
E a proposito di singolar tenzoni ecco che sullo sfondo di questo scenario appaiono due fazioni  pronte a contendersi il cuore di “madamoiselle lettura” a colpi di utopie e distopie: gli analogici e i digitali.
Ma mentre queste guerre devastano ragione e sentimento, le biblioteche per ragazzi si sono ritagliate un piccolo spazio non più come teche di media, bensì come “contenitori di storie”. Storie che in uno spazio dove passano bambini e ragazzi diventano specchi in cui si riflettono i continui cambiamenti che contraddistinguono i passaggi dall’infanzia all’età adulta.

I bloggers di Bucsity al lavoro.
I bibliotecari hanno dovuto metabolizzare le tecnologie che nel corso degli anni hanno invaso gli scaffali (microfiches, vinile, cd, cd-rom, dvd, bluray, audiolibri, tablet, e-reader, consolle ecc.) e ridefinire le nuove frontiere della narrazione.
L'ultima tendenza in ordine di tempo è la crossmedialità: le storie non si esauriscono dentro un supporto (multimedialità), ma ne attraversano molteplici, ibridandosi e trasformandosi: device e consolle non solo supportano, ma diventano elementi di continuità della narrazione in un gioco di rimandi mediatici (a tal proposito si veda il bel saggio di Anna Antoniazzi, Contaminazioni. Letteratura per ragazzi e crossmedialità, edito da Apogeo).

Contaminazioni che trasfigurano anche le politiche di promozione della lettura, come nel caso del bucsity.wordpress.com, blog dedicato a libri e letture gestito da un gruppo di giovanissimi (11-13 anni) bibliobloggers rozzanesi, trasformatosi col tempo in contenitore di buone e ibride pratiche del leggere.
Quindi poche certezze, ma forse sufficienti per immaginare il futuro di libri e letture (e per la proprietà transitiva, di biblioteche e bibliotecari).
Forse mi aggirerò tra scaffali contenenti ancora libri: quelli di Munari o della Coccinella, che offrono esperienze sensoriali, emozionali  e perché no cognitive forse improponibili in chiave digitale.

Ma anche altre cose, e non è detto che siano  necessariamente e-reader o tablet: forse avremo che fare con  con pazzeschi aggeggi olografici a comandi vocali e altre amene diavolerie. Certamente non troverò più lo scaffale con la saggistica (almeno così come è stato concepito fino a oggi ) sostituito da più wikipedici strumenti.

Home page del blog Buksity. Lettori in azione.

Un futuro dover saranno possibili anche “ritorni al passato” con ricchi lettori e non-lettori poveri: i primi con meravigliosi e costosissimi device i secondi, invece, impossibilitati per ragioni economiche o culturali a maneggiare contenitori di letture.

I ragazzi di Bucsity ospiti a Radio Popolare, 2012.
Insomma, le biblioteche sono e saranno molte cose, ma non potranno diventare luoghi dove progettare e programmare per sottrazione: analogico o digitale, virtuale o materiale, bit o carta.

L’attenzione, come sempre è stata in questi ultimi tecnologici anni, sarà certamente focalizzata sulle  modalità operative per declinare sostantivi (lettura) e verbi (integrare).

Dovremo solo avere l'accortezza di ricordare all’ultimo che uscirà dalla biblioteca di … spegnere il libro!

L'intervento di Giuseppe Bartorilla che avete letto, è stato pronunciato durante l'incontro L'editoria per l'infanzia volta pagina. Il primo intervento, Libri cartacei e libri digitali a confronto, di Anna Pisapia, lo trovate qui. Il secondo, App e Ebook: cosa ne pensano le mamme, di Martina Fuga, qui. Il terzo, Il comune denominatore fra carta e pixel, di Massimo Canuti, qui. La pubblicazione degli altri interventi sul tema proseguirà nelle prossime settimane.


lunedì 17 dicembre 2012

Ritratto di cane con lacrima

La Ninamasina è uno dei miei grandi errori di valutazione. Quando l'ho conosciuta, circa tre anni fa, le avevo dato pochissima considerazione. Invece, col tempo, ho scoperto che è una persona poliedrica e intelligente, dotata di una cultura solida, di un gusto ben formato, di una creatività prorompente, ma ben controllata e della rara capacità di valutare con distacco il proprio lavoro, senza sottovalutarsi né sovrastimarsi.

La Ninamasina (al secolo Anna Masini) illustra, crea pupazzi, suona, realizza filmati (come questo) e booktrailer (anche per i Topi, come qui e qui), fotografa, realizza scenografie teatrali. E le resta anche il tempo per fare la bibliotecaria alla facoltà di Filosofia della Statale.


Adesso la Ninamasina ha anche fatto un albo illustrato. È un bell'oggetto oblungo, con copertina cartonata, pubblicato da Bruaà Editora in portoghese e inglese, con testo di Davide Calì e, invece delle solite illustrazioni, fotografie di un pupazzo di feltro: il bassotto Arturo. Il libro comincia così:





Questo è un libro che ho sbirciato spesso. E ho visto Anna crescere con lui, conquistare sicurezza e fiducia nelle proprie scelte, impegnarsi per difenderle, partecipare attivamente e positivamente al processo editoriale. Trovare il coraggio di chiedere consigli e avere l'umiltà di ascoltarli.



Il risultato è un libro inusuale, affascinante, con una cifra stilistica precisa. Un libro da comprare e da regalare nonostante un testo forse un po' troppo forzatamente poetico e una traduzione inglese con qualche pecca. Basterà Arturo a conquistarvi il cuore. E a farvi amare dal bambino a cui lo regalerete.



Se lo volete comprare, rivolgetevi allo Spazio b**k: ne ha qualche copia, fresh from Portugal.



Ma non è finita qui: la Ninamasina sta già lavorando a un libro per noi Topi. Chi ben comincia...

[Naturalmente, le immagini sono © Ninamasina e © Bruaà Editora, riprodotte con il permesso dell'autore.]

venerdì 14 dicembre 2012

Un bambino solo e una principessa sperduta


Un bambino vive tutto solo nella foresta, senza genitori, senza amici, finché un giorno incontra una principessa sperduta: raccontata così, è solo una trama abbastanza banale. Ma non bisogna fidarsi delle schede bibliografiche. Infatti, stiamo parlando di un piccolo capolavoro.

Piccolo perché il libro di cui parliamo misura solo 14 x 21 centimetri e ha 40 piccole illustrazioni (otto centimetri di base al massimo) realizzate con mezzi minimi e una esemplare sintesi di tratto e di stile: penna e inchiostro; blu, rosso e seppia. Una o due righe di testo per ogni illustrazione: garamond corsivo; inchiostro seppia.

Un piccolo libro, a misura di mani di bambino, con un testo semplice, lineare, fortemente scandito, e abbastanza spazio bianco per scrivere, disegnare, pasticciare, raccontare o, semplicemente, sognare.
Il libro comincia così:







Come va a finire non ve lo raccontiamo, ma in questo libro succedono cose poetiche, sconvolgenti e straordinarie. Possiamo solo rivelarvi che alla fine...


Il libro si intitola Il bambino solo. Il suo autore è Roland Topor (si veda anche questo vecchio articolo di Andrea Rauch su SDZ) Venne pubblicato nel 1969 dalla Milano Libri di Lella e Giovanni Gandini (del quale abbiamo già parlato qui). A noi ha molto ricordato questo.



Per quante ricerche abbiamo fatto, non abbiamo trovato traccia dell'edizione originale, né in Opac né in Gallica, né sui cataloghi delle librerie antiquarie.
Recentemente ne sono comparse alcune copie dell'edizione italiana su Ebay, intorno ai 50 euro.


giovedì 13 dicembre 2012

20 buone ragioni per regalare un libro a un bambino

Perché se è  piccolo, diventi grande e, se è grande, torni piccolo.

Perché un libro è leggero, anche se pesa.

Perché un libro è la prova dell'esistenza dell'invisibile.

Perché degli ignoranti non se ne può più.

Per divertirlo, come ti sei divertito tu.

Perché se hai azzeccato la scelta, ti ricorderà per tutta la vita, te e il libro.

Per spiazzarlo!

Perché poi te ne regalerà uno lui, bellissimo.

Per fare un dispetto a chi sogna un paese di analfabeti.

Per dirgli che con le parole può fare un sacco di cose interessanti.

Perché in una pagina non c'è tutto quello che c'è fra la terra e il cielo, ma abbastanza da non perdere  la speranza. 

Perché se non sai fare i pacchetti, è la cosa più facile da incartare.

Perché i libri si regalano solo a quelli in cui si ha fiducia.

Perché se legge un libro, poi può leggere una nuvola, un gatto, un albero, una persona.

Per regalargli un momento di silenzio, dentro e fuori di lui.

Per fargli frequentare esseri e cose che non avrà mai la possibilità di incontrare di persona.

Perché cos'altro regalare a chi capisce e vede tutto?

Perché ha la capacità di trasformare il piombo in oro.

Perché gli vuoi troppo bene per regalargli qualsiasi altra cosa.

Perché hai pochi soldi , e vuoi fargli un regalo bellissimo.


Per leggere, clicca sull'immagine.