venerdì 24 maggio 2013

Verso un marchio di qualità per gli albi?

Da sei anni, ogni primavera, esce il Catalogone. Il primo numero conteneva le analisi di Giulia Mirandola degli albi pubblicati dai Topipittori nei primi cinque anni di attività. Ne avevamo tirate 750 copie, che andarono esaurite immediatamente.

L'interesse che si era coagulato intorno a questo strumento per chi usa, per professione o per passione, gli albi illustrati, per chi intermedia le scelte dei genitori e per i genitori più attenti, ci ha fatto immediatamente pensare di allargarlo e renderlo più interessante aggiungendo, ai nostri, anche libri pubblicati da altre case editrici. Così, nel Catalogone 2 ai Topipittori si sono aggiunti Babalibri e Beisler editore; e a Giulia Mirandola, Marcella Terrusi.

Nel Catalogone 3, Beisler è stata sostituita da Margherita edizioni e Marcella Terrusi da Ilaria Tontardini, di Hamelin Associazione Culturale, mentre la tiratura aumentava a 2000 e poi a 3000 copie, distribuite tramite le librerie specializzate per ragazzi, che la mettevano gratuitamente a disposizione di insegnanti, bibliotecari, promotori della lettura e genitori interessati agli albi illustrati come strumento di crescita per i loro bambini.

La gestione della grafica e della messa in pagina è passata dalle mani di Florence Boudet a quelle di Giulia Sagramola a partire dal numero 5.

Con il sesto numero, il gruppo degli editori si è allargato a cinque: oltre a Topipittori, Babalibri, Margherita, si sono aggregati anche Il gioco di leggere e Franco Cosimo Panini Ragazzi. Alle autrici si è aggiunta Elisabetta Cremaschi. E la tiratura è salita a 4000 copie e il numero di pagine da 96 a 144.

Complessivamente, il Catalogone 6 offre l'analisi di ventidue albi illustrati, tre schede autore (Astrid Lindgren, Mario Ramos e Dario Moretti) e tre schede di collana.

Al di là della soddisfazione di aver creato e di realizzare anno dopo anno uno strumento utile e ricercato, l'esperienza del Catalogone ci ha fatto e continua a farci riflettere sul senso del "fare rete".

Qualche tempo fa, in un'intervista, un collega editore ha baldanzosamente affermato: «Una rete? Se c’è – ma ne dubito – forse è più saggio starne alla larga. Le reti non sono fatte per intrappolare? Meglio nuotare in profondità. Insieme ad altri, liberi.» Ci permettiamo di non essere d'accordo.

Alla parola rete diamo un'interpretazione e un significato diversi: ci riferiamo alla rete come struttura non allo strumento del pescatore che è solo una delle tante declinazioni di questa: ci interessa la rete come sistema di connessioni e nessi che legano luoghi e soggetti diversi e autonomi in un tessuto di relazioni che non sarebbero sostenibili o praticabili dai singoli soggetti. Quindi, relazioni con gli altri che, ben lungi dall'intrappolare, permettono a ciascuno di ampliare la propria portata e di amplificate i propri segnali attraverso canali condivisi. Nessuno degli editori che partecipano al Catalogone potrebbe permettersi di offrire gratuitamente ogni anno uno strumento di analisi e promozione dei propri libri così sofisticato, approfondito e costoso (e interessante perché la qualità dei contenuti stessa è migliorata dalla rete, dato che questa prevede scambio e confronto).

Per dare un'idea della mole dei lavoro che ha comportato la realizzazione dei sei numeri del Catalogone finora realizzati, ecco un po' di numeri: complessivamente sono state pubblicate 640 pagine, che contengono le analisi approfondite di centoundici albi (da quattro pagine ciascuna), oltre a otto schede autore e tre schede collana (da otto pagine ciascuna). Forse è venuta l'ora di sfruttare le nuove tecnologie e creare un database accessibile per assistere librai e bibliotecari nel preparare percorsi di lettura fra tutti questi libri.

In secondo luogo, siamo convinti - e con noi lo sono anche gli altri editori che partecipano all'iniziativa - che l'azione comune garantisca una maggiore credibilità, permettendo di avvalersi delle analisi di un gruppo indipendente di studiosi ed esperti che selezionano i libri (in accordo con gli editori) e ne redigono le recensioni.

Un ultimo beneficio di questo progetto è il fatto che, lavorando insieme ad altri editori, imparando a conoscersi, a coordinarsi, a condividere progetti e informazioni, ci si appassiona al lavoro collettivo, si creano e si consolidano relazioni. Così si comincia  a pensare davvero di poter fare anche altre cose insieme. Certo, per ora sono cose piccole: fiere e festival; laboratori in occasione di manifestazioni cittadine; piccole iniziative commerciali dedicate alle scuole o alle biblioteche.

Nel nostro intento, il Catalogone dovrebbe - e probabilmente potrebbe davvero - diventare una sorta di marchio di qualità che leghi in un consorzio informale piccoli editori, librerie indipendenti, esperti e bibliotecari: la testimonianza diretta e palpabile della volontà di tutti i soggetti coinvolti di investire su prodotti "alti", ma comunque destinati a un pubblico vasto, che possano favorire la crescita intellettuale e culturale di bambini e ragazzi. E di farlo tutti insieme, al di là delle inevitabili logiche di concorrenza, di interessi non sempre allineati, di salvaguardia delle proprie autonomie e specificità.


Ma oltre a pensare alle nuove tecnologie, il Catalogone continua la sua corsa. Il Catalogone 7 è già in lavorazione e ai cinque editori presenti nel sesto numero si aggiungerà una nuova casa editrice. E del Catalogone 6 ce ne sono ancora un po' di copie a disposizione. Le librerie possono richiederle gratuitamente al loro agente di zona ALI.

Bibliotecari, promotori della lettura, studiosi e genitori possono invece chiederle a noi inviando una mail a info[at]topipittori[dot]it, o alle altre case editrici partecipanti. Se qualche biblioteca o libreria fosse interessata a una presentazione del Catalogone, a cura delle autrici o con la partecipazione di uno o più editori, può contattarci allo stesso indirizzo.

Tutte le edizioni passate del Catalogone sono esaurite. Ma, naturalmente, sono scaricabili in formato pdf dal sito internet delle case editrici partecipanti. Per esempio, da qui.

7 commenti:

elillisa ha detto...

Innanzitutto:grazie grazie grazie per i Catalogoni che voi tutti avete voluto donarci e, già da ora, per quelli futuri che arriveranno.

Un marchio di qualità che leghi insieme in un "consorzio informale piccoli editori, librerie indipendenti, esperti e bibliotecari", io trovo sia un'ottima idea.
Come credo sarebbe buona l'idea di far riconoscere già sulla copertina gli albi selezionati da questo consorzio. Io sogno una "Caldecott italiana" e non per il miglior artista dell'anno, ma per evidenziare una rosa di libri che non possono mancare sugli scaffali di biblioteche e case private: libri recenti, ma anche libri ancora in catalogo che tuttavia rischiano di essere dimenticati.
Magari ho detto una castroneria, eh?!? Scusate ho il cervello annacquato dalla pioggia incessante...

www.danielatordi.com ha detto...

Non conoscevo il Catalogone, di cui ho scaricato e sfogliato l'ultima edizione. Se ho ben capito, si tratta di un utile strumento di auto/promozione: gli editori che aderiscono all'iniziativa chiedono una recensione approfondita ed articolata dei loro libri ad un "pool" di esperti di letteratura per l'infanzia, da loro stessi ovviamente prescelti. Una Caldecott italiana presupporrebbe un totale cambiamento di prospettiva. Un organismo super partes, esterno alle case editrici, che in assolutà libertà vagliasse un panorama ampio di proposte editoriali. Fare rete significa legittimamente comporre delle cointeressenze, ma una patente di qualità (ammesso che sia necessaria...) può essere conferita solo da organismi paralleli e mai tangenziali a chi i libri li produce e li vende.

elillisa ha detto...

Daniela hai ragione. Mi sono spiegata male (parlavo no? dei miei neuroni in salamoia)
È chiaro che una "certificazione" può essere data da un organismo terzo, esterno.
Quando ho detto Caldecott, in realtà pensavo più che altro alla medaglia dorata sulla copertina, visibile e riconoscibile da chiunque.
Se questo consorzio (che riunirebbe editori sì, ma anche bibliotecari, librai, esperti; quindi qualcosa di un po' diverso dal team che crea i Catalogoni) dovesse veramente formarsi, mi auguravo solamente che decidesse di evidenziare visivamente sugli scaffali le sue "scelte". Vedo il simbolo, mi informo di cosa si tratta (o me lo spiega il bibliotecario o il libraio), vengo a conoscenza del Catalogone, vengo a conoscenza del lavoro di questo consorzio.
Il Catalogone è uno strumento bellissimo, ma secondo me è ancora troppo poco (purtroppo) conosciuto (tu stessa, che sei un'illustratrice, no?! hai detto di averne sentito parlare solo oggi)

Topipittori ha detto...

@Daniela Tordi. Probabilmente, quando va a fare la spesa, si sente garantita dal marchio Parmigiano Reggiano, o Grana Padano, o Melinda: marchi che identificano consorzi di imprese private che decidono autonomamente di aderire a un protocollo produttivo che garantisca un livello qualitativo minimo. Proprio per questo, sono detti "marchi di qualità". E quello che questi marchi di qualità dichiarano è: abbiamo deciso di fare, senza che nessuno ci obbligasse a farlo, le cose in un modo che ci sembra giusto e che pensiamo possa garantire i nostri consumatori. Chi vuole può entrare nel consorzio e usare il marchio, a condizione che rispetti le regole che ci siamo dati.
L'unica forza di questi consorzi è la credibilità che si conquistano sul campo.

In un paese di pastette, amici degli amici, giochi di potere spicciolo, a ogni livello e in ogni ambito, io, del tutto personalmente, non mi sento garantito da un organismo cosiddetto "super partes" più di quanto possa esserlo da un consorzio privato che si dà delle regole e fa in modo di conquistarsi una credibilità rispettandole e facendole rispettare.

La patente di qualità non può darla nessuno, né ad altri né a se stesso. Un lavoro di qualità si può provare a farlo, possibilmente insieme, possibilmente coinvolgendo attori diversi. A noi piacerebbe che partisse dal Catalogone. Intanto perché l'abbiamo inventato noi. E poi perché lo riteniamo uno strumento utile e, nel suo piccolo, rivoluzionario rispetto al panorama del materiale di analisi sugli albi illustrati a disposizione del pubblico, a pagamento e non. Uno strumento che è riuscito, in sei anni di lavoro, a meritarsi un'attenzione non passeggera da parte dei librai, dei bibliotecari, degli altri editori che hanno voluto aderire al progetto, degli insegnanti, dei genitori e, perfino, di qualche illustratore. E pensiamo che questa iniziativa, con il limite intrinseco che ha nel fatto di nascere dall'iniziativa di un gruppo di editori, abbia un suo valore a prescindere dalla sua funzione promozionale.

E questo pensiamo sia un buon punto di partenza. Non è il punto di partenza perfetto, ma è quello che abbiamo e da qui di proponiamo di cominciare a lavorare.

www.danielatordi.com ha detto...

Topipittori: bè, il marchio di qualità in vero spetta a chi aderisce ad un protocollo fissato per legge e non da quegli stessi che se ne fregiano (che poi sia a loro tutela che viene stabilito ed emesso è un altro paio di maniche)... e se parliamo di prodotti culturali, ritengo in generale molto pericoloso stabilire primati. Lo possono fare singole giurie all'interno di singole competizioni e certamente lo può fare la critica militante, che se ne assume le responsabilità, a volte con dignità di ruolo. Questo è il gioco, queste le forche caudine. Ad un editore sta fare buoni libri, spendersi per la loro promozione nelle sedi date, e con ciò - nella migliore delle ipotesi - dare un contributo significativo alla crescita culturale del paese. Può naturalmente anche spendersi in inziative di formazione, che se parliamo del libro per l'infanzia, sono certamente auspicabili, stando proprio a questo di paese. Ma se la devo dire tutta, il rischio di pastette io lo vedo dentro e fuori dal recinto, lo vedo tanto nella cerchia di chi produce quanto in quella di chi promuove la cultura. Quindi... direi che chi è bravo nel suo lavoro fa bene ad esserlo e questo lascia traccia e crea di per se' nuove opportunità allargando l'orizzonte collettivo. Senza bisogno che si eriga a giudice o arbitro. Sarà il suo lavoro a fare la differenza. E il modello Catalogone rimane quello che è, un approfondimento su una cernita di libri, nella fattispecie autoprodotta da alcuni editori. Ma da quel modello (e qui mi rivolgo anche ad Elillisa) non farei discendere marchi di qualità. Lo troverei inopportuno e anche inutile, in fondo. Che rimanga uno strumento, non un'etichettatrice. Semprechè un libro sia diverso da una caciotta.

www.danielatordi.com ha detto...

ps mentre scrivevo pensavo ai marchi di denominazione d'origine protetta, mentre in effetti Topipittori si riferiva a quelli fissati dai consorzi di produttori... ma il seguito del mio pensiero credo sia chiaro e non cambia nella sostanza...

Topipittori ha detto...

Chi fa un buon prodotto ha a cuore una corretta informazione su di esso. Il che significa che vengano espresse con chiarezza la sue caratteristiche. Questo non è scontato, che si tratti di una caciotta o di un libro. E immagino che tutti abbiamo a cuore la qualità di quello che mangiamo, che non è basso (mentre quello che leggiamo è alto, perché come è noto anche il cibo è cultura; e a nostro avviso, meglio una buona caciotta che un libro orrendo). Tutto ciò significa, oggi, conoscere il processo produttivo e l'identità dei produttori: il commercio equo si fonda su questo, per esempio. Seguire standard di qualità, ha, per i produttori un peso e un prezzo e, giustamente, se ce ne si assume, responsabilmente, l'onere, nel promuovere il proprio prodotto si ha poi giustamente tutto l'interesse a far sì che questo lavoro sia conosciuto. E' un lavoro che si fa sul proprio prodotto ed è importante, anche nell'interesse di chi acquista. Con questo alla critica "militante" non viene tolto alcuno spazio e avrà ogni libertà di dire la sua. Così come una scuola, una biblioteca, una libreria, una rivista che lavora bene hanno ogni interesse a far conoscere il loro operato virtuoso, nello stesso modo questo diritto ce l'ha un editore. Informare il proprio pubblico non significa togliere ad altri la possibilità di dire quel che pensano, anzi, direi il contrario, come dimostrano il tuoi commnenti.