Rita Pavone, nello sceneggiato Rai Il giornalino di Gian Burrasca, regia di Lina Wertmüller, musiche di Nino Rota,1964. |
Come genitore sono sempre stato un po’ preoccupato di non far danni nel rapporto tra mia figlia e la musica.
Traguardi per lo sviluppo delle competenze [musicali] al termine della scuola primaria.
L'alunno esplora, discrimina ed elabora eventi sonori dal punto di vista qualitativo, spaziale e in riferimento alla loro fonte.
Ho i miei gusti, suono qualche strumento, quando lavoravo nei villaggi turistici, suonare e cantare era la parte principale del mio lavoro, me ne occupo anche come pubblicitario, insomma: un guazzabuglio che temo sempre possa avere un’influenza strana su di lei.
Esplora diverse possibilità espressive della voce, di oggetti sonori e strumenti musicali, imparando ad ascoltare se stesso e gli altri; fa uso di forme di notazione analogiche o codificate.
In effetti, la piccola, ora di nove anni, mostra chiari segni di squilibrio a chi le chiede, per esempio, chi sono i suoi artisti preferiti.
Articola combinazioni timbriche, ritmiche e melodiche, applicando schemi elementari; le esegue con la voce, il corpo, e gli strumenti, ivi compresi quelli della tecnologia informatica.
Il dialogo tipo è questo:
“Qual è il tuo cantante preferito?”
“Caparezza”
“... “
“Di maschi, però”
“Ah (speranzoso), e di cantanti donne?”
“Rita Pavone”
Al che io e mia moglie scoppiamo a ridere vedendo la faccia che fa il povero interlocutore, che magari era preparato su Violetta o Justin Bieber e non ha potuto sciorinare la sua competenza.
Improvvisa liberamente e in modo creativo, imparando gradualmente a dominare tecniche e materiali, suoni e silenzi.
Sì, Rita Pavone. Gianburrasca. Mio Cuore. Fortissimo. Datemi un martello. Quel metro e mezzo di pepe lì.
La sua interpretazione di Giannino Stoppani ha ipnotizzato Laura per settimane, vuoi per la storia vuoi per il fatto che quel tipetto di nove anni era una ragazza di 18 con una voce incredibile che, dopo un paio di puntate, mia figlia riproduceva fedelmente nelle “o” chiuse e nei singulti.
Esegue da solo e in gruppo, semplici brani vocali o strumentali, appartenenti a generi e culture differenti, utilizzando anche strumenti didattici e autocostruiti.
Posso vedere altre cose di Rita?”
E avanti con i musicarelli, da Rita la Zanzara in poi.
Non è che la bimba non canti canzoni “per bambini”, o che scappi via quando io ascolto Rossini o gli Who, è che con la Pavone (e con Caparezza) c’è una gioia del tutto diversa. Mi sembra che sia la gioia di tuffarsi nel lato spensierato del mondo adulto, così diverso da quel lato a volte così serio, strano o semplicemente incomprensibile che la circonda.
Riconosce gli elementi costitutivi di un semplice brano musicale, utilizzandoli nella pratica.
È la gioia di attraversare un passaggio sicuro su quello che sarà, un impratichirsi di amori che si sentono ormai prossimi, o un orecchiare problemi che magari sentiti da me o dalla sua mamma sembrano gravi e cupi ma che messi in rima da Caparezza (da lui si va a luglio!) sembrano cose che un giorno, magari, quando sarà ora, si potranno affrontare.
Ascolta, interpreta e descrive brani musicali di vario genere.
Tutti questi pensieri sono stati spazzati via pochi giorni fa quando, come regalo per il suo nono compleanno, le abbiamo fatto la sorpresa di portarla al concerto di Rita Pavone.
Mi spiego meglio: questi pensieri rimangono in me come validi, ma la sua gioia di cantare per due ore a squarciagola le canzoni di Rita Pavone con lei stessa a pochi metri era semplicemente assoluta, tanto da spazzare, appunto, ogni mia elucubrazione e farmi cantare il Geghegè, all’ultimo bis, come facevo a cinque anni con mia cugina Betty.
L’età media del pubblico presente al concerto era alta anche per me che ho quasi cinquant’anni, ma questo a Laura non interessava proprio.
Fosse stata fan di Justin Bieber invece di quell’artista mirabile che è Rita Pavone (concerto incredibile il suo per intensità, qualità e rispetto per il pubblico) sarei stato così felice? Penso di sì, la gioia è gioia.
Quando la signora della biglietteria, alla fine del concerto ha chiesto a mia figlia:
“Mia nipote ha la tua età ma ascolta Violetta: tu come mai vieni a sentire Rita Pavone?”
Laura ha risposto:
“Perché Violetta non è vera.”
Spero che Martina Stoessel (Violetta) abbia una fulgida carriera e le auguro ogni bene, ma io preferisco continuare a pensare a lei come un cartone animato, perché la musica
componente fondamentale e universale dell’esperienza umana, offre uno spazio simbolico e relazionale propizio all’attivazione di processi di cooperazione e socializzazione, all’acquisizione di strumenti di conoscenza, alla valorizzazione della creatività e della partecipazione, allo sviluppo del senso di appartenenza a una comunità, nonché all’interazione fra culture diverse.
(Le parti di testo in corsivo sono tratte dalle Indicazioni nazionali per la Scuola del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, comprese nel decreto legge del 16 novembre 2012 a oggi in vigore.)
Martina Stoessel. |
Nessun commento:
Posta un commento