venerdì 7 novembre 2014

Sedurre vs condurre

Hamelin, n. 37, anno 14. Immagine di copertina Laurent Moreau.

L’imperativo è raccontarsi sempre, raccontare nell’immediato sentimenti, emozioni, esperienze, copiare-e-incollare frammenti di storie, immagini, parole con cui ci si identifica e che diventano nostre anche senza esserlo. Ma se tutto è narrazione, che cos’è narrazione?

Così si legge in quarta di copertina del nuovo numero della rivista Hamelin. Titolo Troppe storie, argomento che di certo interesserà tutti coloro che per le più diverse ragioni si occupano di scrittura, racconto, lettura, storie, come autori, promotori della lettura, illustratori, insegnanti, bibliotecari, studiosi, librai, lettori...

Illustrazione di Serena Schinaia.
Si tratta, lo si capisce, di un titolo provocatorio che rimanda a quella invasione di narrazioni di cui quotidianamente, tutti, attraverso i medium più disparati, siamo fatti segno. Mi è stato chiesto di partecipare al numero con una intervista che mi ha rivolto Giordana Piccinini. Invito che ho accolto con piacere. Allora, oggi, vi anticipiamo, di questa intervista, la prima domanda e la prima risposta. Se poi il tema vi coinvolge, e noi lo speriamo, potrete proseguire la lettura sulla rivista che sulle narrazioni, dai più diversi punti di vista, accoglie riflessioni, studi e indicazioni a firma di Emilio Varrà, Nicoletta Gramantieri, Martino Negri, Elena Massi, Francesco Cappa, Gabriela Bin, Elisabetta Mongardi, Simone Sbarbati.

Buona lettura.

Le immagini che corredano questo post sono di Serena Schinaia, l'illustratrice presentata in questo numero della rivista Hamelin, e ci sono state gentilmente fornite dalla redazione (che ringraziamo).

G.P. Presupposto di questo numero di Hamelin è la pervasività che la narrazione e le tecniche che ne sono alla base hanno oggi: tutti ci raccontiamo sempre, che siamo individui, aziende, manifestazioni, territori. Evidentemente la comunicazione in rete, ma anche la centralità che la stessa idea di comunicazione ha nella nostra società, hanno molto condizionato questo processo. Quello su cui vorrei confrontarmi con te è se e quanto esso ha trasformato anche le modalità, gli stili, l’idea stessa di scrittura: come scrittrice e responsabile editoriale dei Topipittori hai sia un profilo che una pagina su fb e da anni curi sei una delle anime del vostro blog che non è mai stato unicamente promozionale ma si è aperto a riflettere sull’illustrazione, la letteratura e la cultura per l’infanzia. 

Illustrazione di Serena Schinaia.
G.Z. Questo preambolo mi fa venire in mente un episodio di alcuni anni fa. Avevo scritto un pezzo per il bollettino online Vibrisse, di Giulio Mozzi, dal titolo L'intelligenza della forma in cui spiegavo in cosa, a mio avviso, consiste la capacità di scrivere, o meglio di creare senso attraverso un testo, inteso propriamente come struttura narrativa. In questo pezzo raccontavo anche la mia esperienza di lavoro nella comunicazione, e di come, sia nella scrittura creativa sia in quella 'commerciale' il narcisismo rappresenti l'ostacolo principale, quello che determina il fallimento della comunicazione. Facevo l'esempio di alcuni CEO che preferiscono una mediocre comunicazione a una buona, per l'unica ragione che quella mediocre è una loro creazione, pur disponendo di strumenti rudimentali per valutare sia il proprio operato sia quello altrui. In sostanza, le cose interessano loro sono nella misura in cui loro appartengono. Questo è il contrario di un processo di comunicazione, cioè di relazione.
Questo articolo capitò in mano al proprietario di una grande azienda italiana, il quale mi contattò e mi commissionò un lavoro, sottraendolo alle cure dei copywriter di una delle più grandi agenzie pubblicitarie italiane. Si trattava di raccontare, e questi professionisti non sapevano da che parte cominciare, non riuscendo a superare lo schema della comunicazione frammentaria ed emotiva a cui erano abituati.

Illustrazione di Serena Schinaia.
Oggi io credo che l'insistenza, più che sul raccontare, sia sul creare emozioni. Cioè le narrazioni hanno come obiettivo principale non tanto il racconto, la struttura del discorso intesa come testo, scrittura e sua capacità di generare senso attraverso l'ordine del dar forma, quanto il produrre emozioni. Quello che in ogni ambito si sente promettere è “se leggerai, ascolterai, guarderai questo, vivrai grandi emozioni”. Non ho nulla contro le emozioni, ma mi pare che queste siano solo una piccola parte del processo che una narrazione - visiva, verbale, musicale eccetera - può innescare. Soprattutto io penso che finalizzare il racconto a una immediata risposta emotiva alteri e condizioni il modo della narrazione. In sostanza si finisce per fabbricare emozioni anziché racconti. Ma le emozioni non vanno create, perché sono una reazione del lettore quando entra in relazione con una narrazione. Quando si fa questo, si invade lo spazio del lettore. Creare emozioni è una deriva narcisistica: punta a una gratificazione immediata del pubblico che, in questo modo, è indotto a reagire con automatismi agli stimoli che riceve: se qualcosa mi emoziona è buono, se non mi emoziona, è cattivo. È un atteggiamento regressivo. La fabbricazione di emozioni elimina qualsiasi aspetto di problematizzazione di quel che si legge o si vede. In questo modo si trasforma la lettura, di testi o immagini in una pratica di puro consumo.

Illustrazione di Serena Schinaia.
Mi viene in mente una cosa scritta da Kafka: "La parola vera conduce, la falsa seduce": un buon criterio sulla base del quale valutare una narrazione. Non è detto, poi, che tutte le buone narrazioni siano letterarie. Le librerie sono piene di pessime narrazioni: cose mal scritte e mal pensate. E d'altra parte se una istituzione, un territorio o una azienda vogliono raccontarsi, in sé questo non è scorretto. Dipende dal modo in cui lo fanno e dal perché lo fanno. Raccontare non è un terreno riservato alla letteratura, all'arte. Per esempio trovo di grande interesse il fatto che, presso il Dipartimento di Scienze Cognitive dell'Università di Trento, il Laboratorio di Comunicazione e Narratività sia stato, e sia, frequentato da categorie professionali diverse, come insegnanti di ogni scuola e grado, vigili, guardie di finanza, guide alpine, personale amministrativo e polizia carceraria.

La scrittura io credo sia, in prima battuta, un esercizio di osservazione, distacco e pensiero: che si scriva un racconto, una cartolina o la lettera di una banca. La produzione di testi, o di racconti (anche per immagini), è un processo ad alto livello di simbolizzazione e strutturazione dei significati, e richiede in primis questa capacità, che è una capacità fondamentale, fondativa, mi viene da dire morale, dell'essere umano.

Illustrazione di Serena Schinaia.
Ci sono riflessioni importanti su questo di Aby Warburg, che è uno dei massimi studiosi di immagini del Novecento. Abbiamo sempre bisogno, tutti, di strumenti narrativi, e nella vita di tutti i giorni: dalle incombenze pratiche a quelle più sofisticate, come le relazioni affettive, amicali o professionali. Le persone che meglio sanno esprimersi, sono quelle che hanno maggiori e migliori possibilità di trovare il proprio posto nel mondo, umanamente, esistenzialmente, oltre che socialmente ed economicamente.


Brano tratto da Scrivere oggi. Cinque domande a Giovanna Zoboli, di Giordana Piccinini, in Troppe storie, "Hamelin 37".

1 commento:

Sara Donati ha detto...

Questo stralcio di intervista ha l’enorme potere delle idee ben espresse,
mi ha condotto lungo una strada abbastanza illuminata da vedermi i piedi
e mi ha regalato domande intelligenti a cui trovare risposta.
Un bel regalo in questa mattinata di pioggia incessante,
Grazie.