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Maria Lai, Le parole imprigionate, 2008. |
Fino al 27 aprile, a Milano, alla
Nuova Galleria Morone sarà aperta la mostra di Maria Lai
Tracce di un dio distratto, curata da Manuela Gandini. Fra le opere esposte, alcuni dei suoi celebri e bellissimi libri: pagine di tela ricamate, cucite, filate. Siccome, giustamente, questi libri non si possono sfogliare, il gentilissimo gallerista presente sul posto lo ha fatto per me, raccontandomeli. In particolare quello dal titolo
La leggenda del Sardus Pater, ispirato alla favola che lo scrittore
Giuseppe Dessì dedicò a Maria Lai negli anni Settanta, intimamente legata al patrimonio culturale e fiabesco della Sardegna, ai suoi dei e miti. Un libro che, mi è stato detto, come altri è stato realizzato da Maria Lai per raccontare favole a dei bambini, poiché, come è scritto nel bel catalogo della mostra, questa artista proprio ai bambini ha dedicato, per gran parte della sua vita, un progetto educativo basato interamente sull'arte.
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Maria Lai, La leggenda del Sardus Pater, 1990. |
Il modo che ha questa artista di raccontare, partendo dalla forma canonica del libro per approdare a una sua completa reinvenzione, passa attraverso tutte le sue componenti: materiali e immateriali, visibili e invisibili. Direi anzi che, soprattutto, sono queste ultime a essere evocate. Perché la storia narrata esce dal bordo della pagina, estendendosi e alludendo allo spazio spirituale, simbolico, naturale, cosmico in cui gli esseri umani sono immersi, e a cui sono chiamati e intimamente legati.
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Maria Lai, La leggenda del Sardus Pater, 1990. |
Nei libri di Maria Lai il lettore è invitato a compiere il passaggio a una dimensione altra, spiazzante, che è quella dell'assoluto, a cui dà accesso l'opera d'arte, intesa come espressione più alta dell'essere umano. Maria Lai assembla, congiunge, cuce e ricama pagine, parole, immagini, intrecciando le trame delle storie e i fili del discorso, invitando il lettore ad abbandonare i tracciati consueti, l'ordine canonico della pagina per scoprire forme di lettura nuove e significati a un tempo antichissimi e nuovi, universali e individuali.
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Maria Lai, La leggenda del Sardus Pater, 1990. |
L'infanzia è una dimensione fortemente presente nel lavoro di questa artista, e per questo la sua figura mi ha particolarmente interessato. Uno dei suoi lavori più noti,
Legarsi alla montagna, che ha coinvolto nella sua realizzazione l'intero paese di Ulassai e la sua popolazione, in Sardegna, è ispirato a una leggenda fondata su una storia vera, riscoperta dalla Lai: quella di una bambina che si salvò da una frana uscendo dalla grotta in cui aveva cercato rifugio, insieme ad altre persone, durante una tempesta per seguire un nastro celeste apparso in cielo.
Al sindaco di Ulassai che aveva invitato la Lai a realizzare un
monumento ai caduti, l'artista rispose con la proposta di un'opera
dedicata ai vivi, e ispirata alla figura arcana e salvifica di questa
bambina.
Che nella storia dell'artista l'infanzia sia stata determinante per le scelte sia umane sia artistiche, e fondante per l'intero corso della sua esistenza, lo ha scritto la stessa Maria Lai in un un brano autobiografico, bellissimo, dal titolo
L'isola dei miei naufragi che potete leggere integralmente
qui, nel sito di
Stazione dell'Arte, il museo di Ulassai che custodisce gran parte delle opere di Maria Lai. Vi riporto alcune righe, che riguardano la sua infanzia e sono, a mio avviso, di straordinaria intensità.
(gz)
Ero convalescente e il clima del mio paese, in alto sulla montagna, minacciava la mia fragilità. Fui affidata agli zii che non avevano figli, ma se dall’età di due anni non tornai in famiglia che al tempo della prima adolescenza, non fu per un progetto di adozione. Quel primo distacco fu una specie di profezia. La mia salute tardava a ristabilirsi, tenendo tutti in allarme per un tempo più lungo del previsto. Più di una volta, le malattie sono state complici delle mie scelte. Della famiglia vedevo spesso solo mio padre, che per i suoi impegni di veterinario nella zona veniva spesso a trovarmi e anche perché le sue visite erano una festa per me. Madre e fratelli erano quasi estranei. Avevo quattro anni quando gli zii diedero ospitalità a due carrozzoni di zingari. Avevano cercato rifugio in Sardegna durante la prima guerra e disperavano di ripartire. I loro carrozzoni, difficili da imbarcare, restarono quindi posteggiati per più di un anno a pochi passi dalla casa degli zii. Gli zingari lavoravano nei campi, ma praticavano anche la loro attività di acrobati e giocolieri, a cui venivano allenati anche i loro tanti bambini. Fui accolta e frequentai i loro giochi. Imparavo un po’ delle loro abilità e facevo spettacolo per gli zii che mi applaudivano. Quando gli zingari dovettero partire, con la complicità dei loro bambini mi nascosi in un carrozzone. Solo in viaggio fu scoperta la mia fuga. Gli zingari mi trovarono addormentata e tornarono indietro durante la notte per riportarmi in braccio agli zii. Ma io continuai a viaggiare per anni, con la fantasia, su quei carrozzoni. La mia vita con gli zii fu un grande viaggio nella fantasia, nella vastità della grande casa, della campagna, dei giochi. Ero analfabeta, ma piena di favole. Ciò che ho fatto dopo, da adulta, è iniziato a quell’età. Mani, occhi, parole, diventavano collegamenti tra realtà e sogno.
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Maria Lai, Tenendo per mano il sole, 1983. |