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giovedì 17 aprile 2014

Il grillo dei Malfatti

La prima edizione di I Cinque Malfatti va rapidamente esaurendosi e, coerentemente con la logica capovolta dei nostri, è uscita ieri la presentazione video del libro: un delizioso film con la regia di Emmanuel Feliu e le musiche di Kevin MacLeo e, ovviamente, le immagini degli ormai celebri cinque perdigiorno di Beatrice Alemagna.



Grazie a questo video sappiamo, ora, come finora avevamo solo potuto supporre, che il Molle russa, che i piccioni che lo osservano tubano di curiosità, che la bici dello Sbagliato produce un fantastico rumorino di raggi, che la padella di Capovolto manda un invitante sfrigolio, che la mela del Bucato scrocchia, che al Piegato piace entrare a piè pari nelle pozzanghere, e che, infine, dove abitano i Malfatti dimora quello che dal frinio si direbbe un grosso e festoso grillo. Facciamone tesoro.



Ma oggi non vi elargiamo solo questa fantastica primizia. Vogliamo rovinarci e, perciò, basta fare click qui per leggere, in esclusiva mondiale, totale e globale, l'intervista di Beatrice uscita su Art Book di Lucca Comics & Games 2013 in occasione della mostra a lei dedicata come ospite d'onore, in cui si parla anche di questo libro (e di noi). E per questo, grazie Beatrice.

venerdì 21 marzo 2014

Un libro affollato

Prima di lasciare la parola alle sue due bravissime autrici, qualche riflessione su questo libro da parte dell'editore. Appena ho letto il testo di Susanna Mattiangeli, Gli altri, ne sono stata conquistata e ho deciso di pubblicarlo: fortunatamente ho trovato l'autrice, che me lo aveva inviato, disponibile alla proposta. Ho riflettuto molto, invece, su chi avrebbe potuto illustrarlo. Come è noto la figura umana è la prova di più difficile per un illustratore. E qui non si trattava di qualche figura: c'erano intere folle, schiere di umani. Ho guardato decine e decine di illustratori, per molto tempo prima di decidere. Poi è intervenuto il caso. Un giorno, a Rovereto, a casa di Giulia Mirandola, appeso alla parete c'era un quadretto che rappresentava una caotica scena di vita urbana. 

L'ho guardato e ho pensato subito che era esattamente quello che stavo cercando per il nostro libro. Giulia mi ha spiegato che l'autrice era Cristina Sitja Rubio che io conoscevo già, per averla incontrata a Bologna, dove mi aveva mostrato alcuni splendidi disegni, ma molto diversi dal quadretto che avevo davanti. Così, poco dopo abbiamo contattato Cristina per proporle il testo. E lei l'ha realizzato in modo molto soddisfacente (vi racconterà lei in che modo). Un contributo fondamentale al libro l'hanno dato Lorenza Natarella che l'ha impaginato e ha avuto l'idea di scrivere il testo a mano (le immagini ponevano problemi di spazio in cui inserire il testo e nessun font sembrava riuscire a convivere con il segno fluido delle illustrazioni), e Anna Martinucci che ha realizzato la grafia, perfetta per le immagini. E mettiamoci dentro anche il fotolitista e lo stampatore che hanno resa possibile una stampa fedelissima agli originali. Senza il contributo di tutte queste persone Gli altri non sarebbe come è. Quando un libro riesce è perché nasce da un buon lavoro collettivo, cioè di tanti io che poi tutti insieme fanno gli altri. Appunto. Ricordatevi che lunedì, 24 marzo, in Fiera a Bologna, presso il nostro stand 29 D36, dalle 17 alle 18, Cristina Sitja Rubio firma le copie del libro!


Ho scritto il primo abbozzo del testo per l’albo Gli altri sulla spiaggia, guardandomi intorno. Al mare osservi tranquillamente pance e sederi di persone sconosciute, li confronti tra loro, puoi anche vedere gente che studia dettagli di altra gente con interesse scientifico.  È uno di quei posti in cui, volendo, puoi soffermarti sul particolare minimo dell’unghia dell’alluce di una signora oppure avere un’intera folla nel campo visivo senza bisogno di spostarti troppo.


Mi piaceva l’idea di rappresentare l’impatto che i luoghi hanno sul nostro modo di percepire gli sconosciuti, le persone di passaggio, che non può essere lo stesso in un piccolo paese, in una grande città, negli ascensori o al mare. Volevo anche essere parziale, dare l’impressione di qualcuno disperso e confuso tra la gente, tra sensazioni non solo visive ed esperienze non solo dirette, perché degli altri si trovano anche le tracce, si ascoltano i suoni, si sentono gli odori.


Gli altri fa parte di una piccola serie di testi che ho scritto pensando ai primi incontri con l’esterno, ai primi pensieri sulla scuola, sulla maestra e anche sui passanti, quelli che vedi una volta e poi chissà. Mi ha sempre divertito guardare le cose assumendo un punto di vista meno informato del mio, quello di me da bambina, o di un marziano, o di una persona di un’altra epoca. Spesso trovo un punto di osservazione medio in cui sono inclusi tutti questi ipotetici personaggi: la cosa più interessante è che in questo modo alla fine escono fuori immagini che rappresentano come vedo le cose io, adulta, terrestre, del 2014.


Perché alla fine si tratta sempre di trovare delle immagini, anche se poi il testo sarà illustrato da qualcun altro, qualcuno che non hai mai visto, che abita lontano e chissà che pensa. Il testo per un albo è fatto per un incontro, anche nel caso in cui l’autore e l’illustratore siano la stessa persona: è una scrittura che non vuole stare sola e ha dentro quella pausa che ti dà il tempo di guardare le immagini, di girare pagina. A volte ci metti un po’ a deciderti, perché c’è molto da vedere. Nelle sorprendenti illustrazioni di Cristina Sitja Rubio trovi il movimento di quando ti metti a pensare agli altri, a quanti sono, a cosa fanno; la trasparenza che lascia vedere quante cose succedano nello stesso momento. Hanno anche quel tanto di puzza di piedi e di spogliatoio, quella vicinanza di forme, di grandezze diverse, di sorrisi e grugniti, che compongono la mia idea di folla.


C’è il fine e il rozzo, la manina che ti saluta mentre gli altri ti ignorano, l’uccellino che si fa spazio tra le scarpe della gente. Se ti allontani, il disordine si fonde nei colori: sempre quelli, i soliti primari che, combinati, ci mostrano le cose. Ma poi devi tornare a vedere tutto da vicino: la donna col pancione, la pizza, il cane, la signora che corre e tutte quelle cose diverse che incontriamo quando apriamo la porta di casa.



[di Cristina Sitja Rubio]

I Topipittori mi hanno mandato il testo Gli altri di Susanna Mattiangeli sia nella versione originale in italiano sia tradotto in inglese, così che potessi capirlo con maggiore facilità e quindi illustrarlo.
La prima volta che l'ho letto, ho immaginato che si trattasse del racconto di un animale che descriveva degli esseri umani, ma questo dipendeva dal fatto che poco prima avevo terminato di illustrare un libro i cui protagonisti erano degli animali che vivevano in un bosco.

Primi schizzi.
Immagine più dettagliata
Poi ho pensato che forse si trattava del punto di vista di qualcuno che non era ancora nato e raccontava la storia. Dopo ripetute letture e confronti con Paolo, ho pensato di aver capito il testo e ho deciso di cominciare buttando giù alcune veloci e minime illustrazioni che ho mandato a Paolo e a Giovanna. Sono stata fortunata perché quelle prime prove sono subito piaciute.

Primi schizzi.
 Dopo questa prima fase, convinta che volessero qualcosa di più dettagliato, ho cominciato a fare altre tavole con l'idea che di realizzare illustrazioni “migliori” e le ho spedite. Ma immediatamente loro mi hanno risposto che no, avrei dovuto attenermi allo stile e allo spirito di quei primi schizzi rapidi.
Bene. Così mi sono fermata per due settimane, quindi ho cominciato a fare degli acquerelli direttamente sulla carta senza il supporto di alcuno schizzo preparatorio. Ho lavorato semplicemente sui fogli, lasciando che il caso contribuisse alle mie illustrazioni.

Primi schizzi.

giovedì 20 marzo 2014

Quell'arcobaleno tra la veglia e il sonno

Ed ecco un'altra novità che troverete a Bologna: Sonno gigante sonno piccino oggi raccontata dalle sue provette autrici: Giusi Quarenghi e Giulia Sagramola. 

Ricordatevi che martedì 25 marzo alle ore 17, in Fiera, a Bologna, le due autrici saranno presenti presso il nostro stand, padiglione 29 D36, per firmare copie del loro nuovo libro. 

Mercoledì 26 marzo alle ore 16.30, invece, al padiglione 33, Giulia Sagramola presenterà Sonno gigante sonno piccino, con l'ausilio delle brave libraie della Libreria Stoppani. Seguirà sessione di dediche. Buona lettura!

[di Giusi Quarenghi]

Lasciatemela prendere larga, e scherzosa.
Non ho mai dato credito alle prove dell’esistenza di Dio, probabilmente perché non ne ho sentita la necessità. Istintivamente anselmiana, mi bastava la parola. C’era il nome, era insieme la domanda e la risposta. Ma mi aspettava, incontrovertibile e misteriosa, oltre le cinque canoniche da me trascurate, la sesta prova. Era nel dondolio di una culla, sulla sponda di un lettino con le sbarre alte, e mi aspettava. Le prime volte, sono capitata per caso vicino al sonno dei bambini: cuginetti, piccoli ai quali facevo da babysitter, figli di amiche.


Poi è venuto il tempo della mia consuetudine con dorme/non dorme - si è appena addormentato, sssst, non fare rumore - no, non può essere, chiama già, chiama ancora - cosa faccio: lo tiro su o resisto? E se provassi prima con la voce, magari si rassicura e si riaddormenta -  Mmm, è troppo sveglio, troppo stanco, troppo curioso, troppo teso, ha mangiato troppo, ha mangiato troppo poco, c’è troppo chiaro, troppo buio, troppo vento, troppo caldo, troppo rumore, troppo silenzio... Eppure, nonostante tutto, comunque sia andata fin lì, a un certo punto, bambini piccoli e bambine piccole chiudono gli occhi e si addormentano. 


A volte scivolano lenti, in un abbandono soave, e senti il respiro prendere un ritmo che ha qualcosa di sacro, e il peso si fa tondo e denso, affidato alle tue braccia e alla forza di gravità; a volte si impegnano in una resistenza caparbia, traditi da cedimenti improvvisi e profondi che durano però non più di una manciata di secondi; a volte cascano di botto, sprofondano, come colpiti da qualcosa di invisibile e repentino; a volte fanno finta, tanto per tenerti lì, sotto controllo; a volte, basta niente; a volte, non basta mettercela tutta; a volte te ne vai di là perché non ne puoi più.
Ma poi, quando succede, ti incanti a guardare come sono, nel sonno, e una tenera allegria bonifica ogni fatica e la trasforma nel desiderio che si sveglino e ti cerchino.


Sì, i bambini ad un certo punto si addormentano, e questa è per me prova assolutamente a favore: 1 - dell’esistenza di Dio;  2 –  del limite della teologia in quanto affare sostanzialmente di uomini (cosa di cui anche Dio ha risentito, forse in modo definitivo; ma la questione potrebbe riaprirsi).

Da qui viene questa ninna nanna, questa sorta di arcobaleno tra la veglia e il sonno, dove il sonno non è tanto l’abbandono di questo mondo e il rischio di perderlo, ma il ponte per altri mondi, con qualche rischio, qualche scoperta, persino qualche beatitudine, e il ritrovamento di questo.
I Topi leggono, scelgono e chiamano Giulia Sagramola. La mia ninnananna è fortunata e io con lei. Non ci sentiamo, Giulia e io, e meno male. Non c’è nulla che vada spiegato, ha solo da esserci quanto basta perché lei faccia la sua ninna nanna, portandosi dietro la mia… 


Che bel tempo quello che passa sapendo che il tuo lavoro è nelle mani di qualcun altro e ne gioverà, e ti ritornerà cresciuto, dormito e svegliato, capace di camminare. Così è stato: Giulia ha preso la ninna nanna e l’ha portata a casa, a casa sua, di Giulia e della ninnananna, di ogni ninnananna; ha trovato come farla sentire a casa in ogni stranezza ed estraneità, come dare credito e sostanza a ogni possibilità (che di questione divina trattasi, l’ho dichiarato subito), come popolare di fantasmi sorridenti il mondo di giorno, come rendere veri i desideri. Compreso quello di non perdersi, quando ci si vuole bene. Giulia ha fatto di una ninnananna una cosa capace di stare nel tempo, di avere tempo, molto, di averlo avuto e di averne ancora, grazie a qualcosa che provo a chiamare genealogia degli affetti.
Un chiasmo generazionale che la dedica conferma: Giulia la fa ai suoi nonni, io al mio nipotino.
Tutte e due abbiamo avuto e restituiamo. Per trovare un po’ di consolazione, per continuare il gioco.



Giulia Sagramola, studio sulla palette del libro.
[di Giulia Sagramola]

Essere tra i primi a leggere le parole di Giusi per il libro per me è stato come un regalo. Mi sono portata dietro le sue frasi, le ho riscritte diverse volte, le ho messe in ordine, le ho scomposte e riguardate.

Insieme alle parole ho subito visto alcuni dettagli di immagini, non delle immagini complete, ma degli elementi che le componevano. I Topi mi hanno chiesto di lavorare con lo stesso stile delle foto "manipolate" con cui, un paio di anni fa, sono stata selezionata in Fiera. Ho iniziato a scegliere le foto, inizialmente ho cercato tra le foto che avevo già usato. Sono foto che ho preso in diversi anni a gironzolare nei mercatini. Non ne ho tante e quando le compro ne scelgo sempre poche; quando sono mie sento un po' come un senso di responsabilità, come se dovessi adottare le persone che sono state fotografate. La prima volta che ho comprato delle foto ero a un mercatino a Berlino, davanti a una bancarella che straboccava, avrei voluto prenderle tutte, c'erano interi album con tanto di parole e date e nomi. Ho dovuto scegliere per forza e quelle che ho scelto le ho tenute sempre con me, senza usarle, per almeno 2 anni. Quando ho iniziato a fare quelle illustrazioni, le ho fatte con estrema libertà e leggerezza, senza pensare bene a una storia, giocando sugli spazi vuoti che mi offrivano.

Giulia Sagramola, lo storyboard.

Per il li libro di Giusi avevo bisogno di tante foto di bambini, non potevano mancare. Nella mia piccola collezione invece scarseggiavano. Un giorno ho rivisto le foto di mia madre a casa di mia nonna e le ho chiesto se potevo usarle, ugualmente con quelle di mio padre. Le prime illustrazioni sono venute fuori senza pensarci troppo e portavano con sé la libertà dell'approccio che ho sempre avuto con questa tecnica, come di un gioco.

Giulia Sagramola, tavole per Sonno gigante sonno piccino, work in progress.

Poi però le cose hanno iniziato a prendere forma e ho sentito la necessità di una direzione, di una scaletta, in pratica di creare del ritmo. Ho steso il layout che vedete e ho iniziato a ragionare in modo più razionale su cosa mancava e cosa no. Per fare questo lavoro e arrivare alle altre illustrazioni è passato diverso tempo, anche scandito dai vari periodi dedicati agli altri lavori.

Giulia Sagramola, tavole per Sonno gigante sonno piccino, work in progress.

Il libro è stato ultimato l'anno scorso, pochi mesi fa gli ultimi ritocchi di grafica. Nel mentre, la vita è trascorsa per tutta la mia famiglia, con anche grandi cambiamenti, non posso non pensarci ogni volta che sfoglio queste pagine. Le parole di Giusi ti abbracciano e ti portano davvero in un viaggio magico, per poi andare a dormire sereni. Spero che lo facciano anche con le persone che sono dentro queste foto, e con voi.

Giulia Sagramola, tavole per Sonno gigante sonno piccino, work in progress.

mercoledì 19 marzo 2014

C’era una volta Tuttodunpezzo…


Nella mia scrittura l’improvvisazione non è una risorsa su cui contare. Accade magari che la prima stesura sia istintiva: certe volte mi ci costringo, ad affrontare il foglio bianco, mettendo giù intanto anche sommariamente le idee che si sono accese. Ma i testi definitivi sono il frutto di tante revisioni: anche solo su una parola, una virgola, un a capo riga, uno spazio bianco. Ogni elemento è necessario all’approdo finale.
Talvolta però accadono sorprese. Forse a ben guardare non sono proprio sorprese. Sono attimi fertili e felici favoriti dall’intensità del nostro sguardo, dalla disponibilità a vedere nelle cose quotidiane possibilità ulteriori, varchi verso l’esplorazione del cuore umano.
Talvolta le storie ti cercano, e ti tormentano, finché ti pieghi al loro desiderio di essere dette.

Per Tuttodunpezzo è successo qualcosa del genere.
Sono le quattro di mattina. Mia figlia viene in camera nostra. Dice che ha avuto un incubo, chiede di dormire nel lettone.
Sono in quella condizione a metà tra il sonno e la veglia. Automaticamente mi alzo: non ci stiamo più ormai, in tre sul lettone. Le cedo il posto e, sempre tra il dormire e l’essere sveglia, vado verso la sua camera, per distendermi nel suo letto. Nella mente si fa da sé un pensiero: certe volte i sogni brutti ci piegano. Non si può mica pretendere che un bambino sia tuttodunpezzo.


Ora sono sotto le coperte, sto per tornare nell’altrove del sonno.
C’era una volta Tuttodunpezzo…
La mente ha deciso di proseguire su quella strada così a portata di mano da rischiare di apparire degna di nessuna attenzione.
Sono troppo stanca, voglio dormire.
Tuttodunpezzo era uno molto forte…
Pietà! Giuro che quando mi sveglierò prenderò la penna e ti scriverò.
Un giorno Tuttodunpezzo…


Mi arrendo. Mi alzo e cammino come un automa, vado in cucina, piglio un blocco. Mi siedo sul divano e lascio libera la penna di vagare nel bianco. La storia viene fuori così. Ed è, salvo qualche piccolo intervento di successiva lucidità, la storia del libro.


Ma le soprese non sono finite.
Ero stata alla fiera di Bologna con un’amica. Il Paese ospite era il Portogallo. Avevamo assistito piene di meraviglia alla presentazione degli illustratori portoghesi. Li avevamo trovati straordinari. Ma uno di loro ci aveva colpito in maniera particolare. Era arrivato con una vecchia valigia da cui aveva tirato fuori le sue creazioni. Oggetti che aveva affidato al pubblico, perché potessero essere guardati, e toccati. Uomini dai grandi nasi, che dondolavano beati sui suoi indici.
Ci dicemmo che una volta tornate a casa saremmo andate a cercare in rete quell’illustratore, per sapere di più del suo lavoro.
Memorizzammo il nome: André da Loba.


Poco tempo dopo mandai a Giovanna alcuni testi. Tra questi Tuttodunpezzo.
Giovanna mi rispose, con una mail che uso spesso come ricostituente vitaminico, scrivendo: Tuttodunpezzo mi fa impazzire.
Ero felice che avesse capito questa storia, così sintetica e metaforica. Che può parlare del dolore che ci spezza, ma possiamo andare avanti, riprendere la strada anche spezzati e ritrovare speranza ed energie nuove.
Ora si trattava di individuare l’illustratore giusto, ed era una bella sfida.
Ancora pochi giorni e mi scrive di nuovo Giovanna: dopo accurate riflessioni abbiamo pensato a un illustratore. Si chiama André da Loba.
André da Loba tra tutti quanti e quantissimi gli illustratori!


Karl Gustav Jung la chiamava sincronicità, nota Giovanna in risposta al mio traboccante entusiasmo.
E poi, e poi è arrivato il lavoro di André: l’impatto è stato forte, senza dubbio.
Naturale che, nella mia testa, un Tuttodunpezzo avesse assunto fisionomie, peraltro senza caratterizzazione di genere: poteva essere una Tuttadunpezzo o addirittura un Tuttidunpezzo.







































 L’incontro è stato, direi, travolgente: ho trovato l’interpretazione di André potentissima. Sintetica anch’essa, come il testo, e capace di spalancare infinitamente le possibilità metaforiche, in special modo nei giochi di sovrapposizione dei piani.
E ora l’atteso incontro di Tuttodunpezzo con i lettori. Il più importante.







































 

















I meravigliosi schizzi che corredano questo post sono alcuni studi preparatori che André da Loba ha realizzato nel corso del lavoro svolto per il libro, e riguardano la messa a fuoco dei personaggi. Lo ringraziamo per averceli messi a disposizione (n.d.r.).

martedì 18 marzo 2014

Questo gioco prima di dormire

Oggi prosegue la carrellata di novità che troverete a Bologna. 

Su questo libro non perdetevi la mostra Poesie della notte, del giorno, di ogni cosa intorno. Illustrazioni e poesie di Marina Marcolin e Silvia Vecchini, che lunedì, 24 marzo inaugura a Bologna, presso Atelier Les libellules, Via San Vitale 36/G , alle ore 18 e fino alle 21 (ingresso libero). 

L'iniziativa fa parte di Settemostre, un percorso a cura di ZOO
in occasione di Children's Book Fair 2014.


Per parlare di questo libro devo iniziare da una poesia.



Il mio gioco preferito prima
di dormire è fingermi
un sasso in mezzo
al bosco. Essere coperta
di muschio, stare
dentro l’oscurità, stare
nella pancia del lupo
sapendo che nessuno
mi mangerà.


Il libro è nato qui, in questo gioco prima di dormire. Naturalmente, da sola, questa poesia non sarebbe bastata. Ci voleva un po’ di lievito. Ce lo ha messo Giovanna.


Racconto questo particolare perché per me è straordinario e la dice lunga su chi sia un editore. Giovanna ha letto questa poesia e in questi nove, brevissimi versi, sapendo poco o niente del mio percorso, ci ha trovato dentro un libro che ancora non esisteva.
Mi ha chiesto se ci fossero altre poesie. Le ho detto che scrivevo da sempre versi, ma pensando agli adulti. O meglio, scrivevo e basta.
Giovanna mi ha detto di provare.
Io mi sono fidata. Allo stesso tempo sapevo una cosa: con la poesia non si bara, non si finge, non si costruisce. O almeno è così per me. O c’è, o non c’è.
Per fortuna c’era.


C’era perché è la poesia la lingua in cui ho sempre pensato e detto le cose che più mi toccano, perché è il mio modo di allacciare cose lontane, ricomporre il senso di quello che mi circonda. C’era perché avevo conosciuto presto la forza che la poesia aveva su di me, avevo scoperto la poesia proprio da ragazzina.
C’era perché nel frattempo avevo vissuto e stavo vivendo l’infanzia e i suoi passaggi nei miei figli ed ero caduta, di nuovo e in pieno, nella mia.
Una alla volta, a gruppetti, a grappoli, con varie gocciolature finali e riprese, sono arrivate le poesie. Scritte ai margini di altre cose, in fogliettini, quadernetti.


Più scrivevo, più definivo il linguaggio, più mettevo a fuoco il cuore del libro. Più avevo voglia di scrivere, ma sempre senza forzare.
Non volevo soluzioni facili o “poetiche”. Anche se i lettori erano bambini, soprattutto perché erano bambini.
In una sua cartolina di risposta ai miei versi scritti a vent’anni (tra l’altro fantastica perché ritraeva la cripta dei Cappuccini a Roma in assoluta consonanza con lo spirito del mittente), Patrizia Valduga mi disse in sostanza che ero sulla strada giusta, mi incoraggiò molto a proseguire e mi mise in guardia dalle poeticherie. Non me lo sono più scordato.


Da subito, anche se procedevo per tentativi, ho capito che il libro doveva aprirsi con la notte (perché il libro era stato scovato proprio in una poesia notturna) e chiudersi con la notte.
La lettura doveva abbracciare una giornata anche se dentro si attraversavano stagioni.
Volevo che per i più piccoli fosse sì un’esplorazione, ma che avesse un ritmo quotidiano, familiare. Che nei versi incontrassero oggetti, gesti, persone, discorsi e si riconoscessero. Volevo che invece per i più grandi fosse una lunga immersione, un ripercorrere quasi da sogno, per poi risvegliarsi come da un incantesimo, in un giorno nuovo, ancora da fare, in un’età diversa, sul confine, aperta a quello che deve accadere.


E le immagini? Scrivendo poesia per gli adulti, in principio non mi figuravo che volto avrebbe potuto avere il libro. Paolo mi disse di aver scelto Marina con un intuito e una precisione che ancora adesso mi stupiscono.
Grazie a Giovanna, Marina e io ci siamo incontrate a Bologna. In seguito abbiamo avuto qualche scambio, molto intenso, sui testi. Ho capito che era la persona giusta dalla sua delicatezza e sensibilità. Sentiva la poesia. Per questo non ho chiesto di vedere niente fino alla fine. Mi fidavo di Giovanna e Paolo e volevo essere sorpresa dalla lettura di Marina.
Ed è quello che è successo. Non avrei potuto chiedere di meglio.
Come io avevo scritto in assoluta libertà, lei ne avuta altrettanta nell’illustrare.


Ai miei occhi Marina ha colto ogni occasione che il testo offriva per far sentire questa età di passaggio, questa soglia sfumata, questo saluto, lento, pieno di gratitudine per tutto quello che c’è, per quello che è stato, quanto ha significato e continuerà a significare il tempo misterioso, stupendo, dolce e aspro insieme dell’infanzia quando la stai per lasciare, questa punta di dolore che si scioglie nella grazia di certi momenti e nell’allegria per la voglia di andare a vedere cosa ci sarà. Non è un caso che, nelle immagini di Marina, la leggerezza degli uccelli, delle piume, accompagni tutto il libro e ci dica senza paura che c’è un nido da lasciare, un volo tutto da iniziare.

Marina Marcolin, taccuino di appunti per Poesie della notte, del giorno.

 Ringrazio tutti coloro che hanno lavorato a questo libro. In particolare Giovanna e Paolo per la loro fiducia, la sapiente e attenta cura del progetto, Marina perché ha messo in questo libro se stessa e ha regalato ai miei versi i suoi colori particolarissimi.
La dedica è per i miei figli e l’ultimo grazie ad Antonio. Non ricordo una sola volta che in questi venti anni non abbia salutato una mia poesia con un bacio.

Marina Marcolin, una tavola per Poesie della notte, del giorno, work in progress.

“Ci sono delle poesie, scritte da Silvia Vecchini, che dovresti provare a illustrare tu” .
Con questa frase che, confesso, mi ha fatto tremare non poco, è cominciata un’ avventura intensa, fatta di cose piccole e immense.
Quando ho letto le poesie la prima sensazione è stata “naturale”, nel senso di affine alle sensazioni dell’infanzia e anche del vivere presente, ma anche della natura intesa come stagioni, vento, cambiamenti, attese, rumori e silenzi.

Marina Marcolin, una tavola per Poesie della notte, del giorno, work in progress.

Le ho subito sentite così vicine che dovevo illustrarle con la chiave di lettura che sentivo più personale e intima, con lo sguardo che adopero quando il disegnare e dipingere è necessario come respirare, camminare. Allora ho fatto ciò che mi è più naturale: ho aperto il blocchetto degli schizzi e ho camminato con loro; per portare le parole di Silvia con me le ho imparate a memoria e quando i miei occhi incontravano la sensazione dei testi, il disegnare era un tutt’uno con le poesie tra le labbra.
“Documenti d’atmosfera”, così li aveva definiti Paolo prima che mi mettessi al lavoro e così ho cercato di raccontare. La fiducia che mi è stata data ha fatto sì che questo percorso si sia svolto con naturalezza, con lo scambio e il rispetto. Un dono.