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giovedì 3 dicembre 2015

Arrivano i Minitopi

La prima volta che ho visto un libro illustrato in edizione economica è stato alcuni anni fa al salone di Montreuil, a Parigi, allo stand di L'école des loisirs, che è una delle case editrici di libri per ragazzi più importanti del mondo, con un catalogo fantasmagorico in cui albergano sfilze di capolavori.

Non ho idea di quanti libri abbiano pubblicato dall'inizio della loro storia, che data 1965 (ha compiuto 50 anni, quest'anno). Ma insomma qualche migliaio. Data la qualità del catalogo e la necessità di non lasciare impubblicati libri importanti, molti dei quali diventati classici della letteratura illustrata, ecco la necessità di editare numerosi titoli in edizione economica.

Al loro stand a Montreuil, se mai ci andrete o ci siete già stati, ce n'è una intera parete. Personalmente ne feci incetta: costavano poco e c'erano un sacco di titoli che volevo prendere da un pezzo. Grazie al basso costo e alla qualità dell'edizione, che pur in formato ridotto e in brossura, è ben realizzata, potei soddisfare la mia avidità.


Dopo undici anni di vita, ai Topipittori si è posto lo stesso problema. È chiaro, questo momento viene per tutti gli editori: alcuni libri si esauriscono ed escono dal catalogo e si deve decidere se ristampare o no. In molti casi la risposta è naturale, quando un libro continua a vendere senza interruzioni o cali, si ristampa. Ma ci sono libri che hanno vendite meno costanti e che tuttavia continuano sia ad avere un mercato sia a essere richiesti dal pubblico, che spesso si rivolge all'editore pregandolo di ristampare. Per questo tipo di libri l'edizione economica è la soluzione ideale: rimette in circolo libri che hanno ancora una vita possibile a un costo inferiore, sia per il pubblico sia per l'editore. Il prezzo basso, inoltre, è un incentivo per una fascia di pubblico rimasta tagliata fuori dall'acquisto di libri troppo costosi per il prezzo di copertina dell'edizione cartonata, per forza di cose più alto, data la qualità di stampa e di rilegatura.


Il primo libro che uscirà nei nostri Minitopi, così ci è parso naturale chiamare le nostre edizioni economiche, è E sulle case il cielo, di Giusi Quarenghi e Chiara Carrer, che a oggi ha avuto quattro edizioni. L'edizione economica costa 12,00 euro e non ha un formato ridotto, rimasto quello originale: 13 x 19. Avrà anche due contenuti speciali: due scritti. Il primo è di Roberto Denti, uscito su Liber n. 77, sulla poesia per ragazzi e sulla novità che, nel 2007, questo libro introdusse nel panorama della proposta editoriale della poesia per ragazzi; il secondo, di Giusi Quarenghi che riflette sulla lingua poetica.
Nel 2016 usciranno almeno altri tre Minitopi, ma i titoli non ve li riveliamo, perché vogliamo siano una sorpresa. Avranno formati un po' più ridotti rispetto ai cartonati, ma promettiamo accessibilità, un prezzo contenuto, combinata a una buona qualità di edizione per carta e stampa. Quindi state all'occhio.

giovedì 31 luglio 2014

La mia felicità non vale più di 20 euro?

E con questa bellissima recensione a sorpresa, per cui ringraziamo Massimo Scotti (che quando si innamora di un libro è per sempre), i Topipittori vi augurano un'estate piena di sole... Ci ritroviamo a settembre. Grazie, come sempre, per averci seguiti.

[di Massimo Scotti]

Oggi è il primo giorno delle vacanze e io sono un bambino che cerca un libro per l’estate, quello che diventerà il suo preferito, in mezzo a tutti gli altri. Non importa se ho più di cinquant’anni, sono un bambino e basta. E da bambini non si sta lì tanto a vedere chi sono gli autori, si guardano i libri negli occhi: io trovo questo e so che è lui; si chiama Sonno gigante sonno piccino ma io so leggere così così e leggo Sono gigante sono piccino. Non mi piace tanto la parola piccino ma sono gigante sì, invece. Mi fa sentire grande e il libro è proprio grande, anzi quell’animale rosso che si vede subito sulla copertina lo fa sembrare più grande ancora, sterminato come vorrei che fossero le vacanze e l’estate, senza fine.


Il libro non è proprio bianco bianco, è color crema, una delle cose che mi piacciono di più, e c’è quel polipone rosso geranio grande come quello di Ventimila leghe sotto i mari che prende tutti nei suoi tentacoli. Infatti è venuto fuori dalle onde e avvolge tutta la famiglia, che un po’ ride un po’ ha paura. Il bambino con le mutande e senza denti ha capito che è un gioco e ride come quando ti fanno il solletico, che è una delle cose più misteriose di tutte, perché un po’ ti piace un po’ vuoi che smetta. Tutti sono prigionieri del polipone come quando sei sulle montagne russe. La mamma infatti si aggrappa al papà che cerca di abbracciarli tutti, come per difenderli dalla minaccia. La bambina non vuole saperne di stare lì tra le spire del polipo e vorrebbe tornare a giocare nella sabbia, dove c’è il suo cestello e il rastrello e le conchiglie e tutto, ma non si può: si sta tutti lì in braccio al polipo che anche lui, poverino, vuol farsi fotografare, per una volta almeno nella vita, vuoi dargli torto?


Anche il titolo è scritto bello grande, con le lettere che ci insegnano a scuola, in corsivo, e mi piacerebbe tanto saper scrivere così, con quelle belle O che hanno il ricciolo. Ci sono due nomi sulla copertina e uno comincia con la Q, che mi piace molto, e l’altro è il nome di quella bella ragazza bionda che c’è in tv nel pomeriggio, Sveva Sagramola. Il nome con la Q è “Quarenghi”, come quaderni, righe, quadretti, le cose più belle della scuola, e anche come ghiro e io quest’estate vorrei proprio dormire fino a tardi come un ghiro, altro che svegliarsi presto quando fuori fa freddo.
Sotto poi ci sono due topolini che si guardano e forse nel libro ci sono anche loro, chi lo sa?
Dietro c’è un aereo con su una bambina che strilla. È il suo orso che guida l’aereo, ma c’è da fidarsi?
Ci sono nuvole azzurre nel cielo nero di temporale. Vedremo un po’ se si salva nella tempesta.


Immagino le obiezioni di un papà o di una mamma: “Costa tanto e c’è poco da leggere: ti basta per tutta l’estate?”. Li guarderei con disprezzo. La mia felicità non vale più di 20 euro? E se ci sono poche parole dentro il libro io le leggerò e le rileggerò per tutte le vacanze, perché sono misteriose e puoi leggerle per sempre senza capire cosa vogliono dire fino in fondo.
“Dormire di notte non è così strano”, dice la filastrocca sulla copertina, e queste parole fanno pensare proprio tutto il contrario. Certo che è strano, dormire: una delle cose più strane della nostra vita, anche perché da piccolo ti costringono a farlo anche se non vuoi mai, e da grande fanno di tutto per toglierti il sonno quando tu vorresti sempre dormire e basta. Perché i grandi gira e rigira sono sempre stanchi. Con la vitaccia che fanno!
Io quest’estate voglio fare il bambino e adesso ho il mio libro sotto il braccio e non lo mollo.
Appena a casa mi butto sul letto, in penombra, perché c’è il sole fuori ed è meglio chiudere un po’ le persiane, così il sole entra dalle fessure e la polvere vola e brilla, si sentono i suoni d’estate e se sei in campagna cantano le cicale.


Nelle prime due pagine ci sono fotografie vecchie. Alla fine ci sono tutti i nomi, come nei film quando scorrono i titoli di coda. Così scopri anche che questa storia è vera (quindi ti piace ancora di più). C’è gente sempre in campagna o al mare, proprio come quando si è in vacanza, ma si vede che a volte è autunno perché i fotografati hanno il cappotto. Mette allegria pensare alla brutta stagione proprio adesso che sei in quella bellissima e ci vogliono tanti mesi perché torni il freddo. A me il freddo fa schifo. E anche d’inverno guarderò il libro e lì dentro sarà sempre estate, punto.
Mi fa molto ridere una foto piccolina con un bambino in pagliaccetto giallo, che ha una macchinina rossa con la coda.
E ci sono due fratelli, uno più grande e uno più piccolo. Immagino di avere un fratellino piccolo e di leggergli la filastrocca per farlo dormire anche quando fa i capricci. Nel letto con loro c’è una mucca e sul copriletto un coniglio di pezza.


Nella filastrocca ci sono tanti Forse, tutti in fila, quasi tutte le frasi iniziano con Forse e quella è proprio l’immaginazione, perché si leggono cose che forse sono vere e forse no.
C’è scritto “posto lontano” e quando leggi “posto lontano” puoi immaginare qualunque cosa, dove vuoi tu, infatti in una fotografia ci sono le palme e un cammello. C’è la bambina sull’aereo che va in viaggio, forse a trovare i suoi nonni che sono vestiti da indiani con le penne in testa, davanti a un pagliaio che fa un po’ da capanna.
“Forse è andato a fare un giro, forse ha incontrato un ghiro”. Eccolo il ghiro, c’è veramente, grande come tutta la famiglia e anche di più: è lì che ruba la merenda.
E c’è un piroscafo che va lontano e un bambino con le valigie e la mappa del tesoro in mano, è vestito alla marinara e spero che da grande faccia il pirata. Come quelli di una volta, con gli anelli d’oro alle orecchie, e la spada. C’è una signora vestita da hawaiana ma si vede che è un vestito da Carnevale.


C’è un papà con due bambini e sono su un tram di legno come una volta, di quelli che adesso non girano quasi più, ma quando ero piccolo io c’erano solo quelli e si girava lenti lenti per la città guardando tutto benissimo, con calma, non come adesso che hai sempre fretta.
“C’è traffico”, dice la filastrocca, ed è bellissimo pensare che tu il traffico lo hai chiuso fuori e te ne stai lì con il tuo libro, a sognare, da solo. Come la signora che guida la Lambretta da ferma, con la sciarpa al vento e il caschetto di cuoio; il pagliaio dietro di lei dev’essere quello dei nonni vestiti da indiani.
Non vi racconto tutto quello che c’è nel libro perché è bello scoprirlo da soli.


Vi dico solo che c’è una signora con la faccia stellata, un bambino che beve la camomilla con la cannuccia da una tazza gigante e un mago-astronomo con un cane che morde una fila di stelle, una bambina in un nido con i passerotti, uno struzzo che mette la testa sottoterra.
E vi dico solo che c’è scritto “In mezzo al mare”, oppure “Salta una montagna”, oppure “La luna è troppo accesa”, e hai voglia a dire che in questo libro c’è scritto poco. Ogni volta che vedrò il mare, quest’estate, oppure salirò su una montagna, penserò che quelle parole, mare e montagna, sono scritte in questo libro come nel manuale segreto di uno stregone, e se dirò mare e montagna pensando a come erano scritti in corsivo nel libro, allora appariranno davvero e io li vedrò sul serio, come devono essere visti, cioè con gli occhi del cuore, altrimenti, niente. E ogni volta che ci sarà la luna rossa, in certe notti d’agosto, penserò alla filastrocca e mi dirò: “Forse la luna stasera è troppo accesa”.


giovedì 20 marzo 2014

Quell'arcobaleno tra la veglia e il sonno

Ed ecco un'altra novità che troverete a Bologna: Sonno gigante sonno piccino oggi raccontata dalle sue provette autrici: Giusi Quarenghi e Giulia Sagramola. 

Ricordatevi che martedì 25 marzo alle ore 17, in Fiera, a Bologna, le due autrici saranno presenti presso il nostro stand, padiglione 29 D36, per firmare copie del loro nuovo libro. 

Mercoledì 26 marzo alle ore 16.30, invece, al padiglione 33, Giulia Sagramola presenterà Sonno gigante sonno piccino, con l'ausilio delle brave libraie della Libreria Stoppani. Seguirà sessione di dediche. Buona lettura!

[di Giusi Quarenghi]

Lasciatemela prendere larga, e scherzosa.
Non ho mai dato credito alle prove dell’esistenza di Dio, probabilmente perché non ne ho sentita la necessità. Istintivamente anselmiana, mi bastava la parola. C’era il nome, era insieme la domanda e la risposta. Ma mi aspettava, incontrovertibile e misteriosa, oltre le cinque canoniche da me trascurate, la sesta prova. Era nel dondolio di una culla, sulla sponda di un lettino con le sbarre alte, e mi aspettava. Le prime volte, sono capitata per caso vicino al sonno dei bambini: cuginetti, piccoli ai quali facevo da babysitter, figli di amiche.


Poi è venuto il tempo della mia consuetudine con dorme/non dorme - si è appena addormentato, sssst, non fare rumore - no, non può essere, chiama già, chiama ancora - cosa faccio: lo tiro su o resisto? E se provassi prima con la voce, magari si rassicura e si riaddormenta -  Mmm, è troppo sveglio, troppo stanco, troppo curioso, troppo teso, ha mangiato troppo, ha mangiato troppo poco, c’è troppo chiaro, troppo buio, troppo vento, troppo caldo, troppo rumore, troppo silenzio... Eppure, nonostante tutto, comunque sia andata fin lì, a un certo punto, bambini piccoli e bambine piccole chiudono gli occhi e si addormentano. 


A volte scivolano lenti, in un abbandono soave, e senti il respiro prendere un ritmo che ha qualcosa di sacro, e il peso si fa tondo e denso, affidato alle tue braccia e alla forza di gravità; a volte si impegnano in una resistenza caparbia, traditi da cedimenti improvvisi e profondi che durano però non più di una manciata di secondi; a volte cascano di botto, sprofondano, come colpiti da qualcosa di invisibile e repentino; a volte fanno finta, tanto per tenerti lì, sotto controllo; a volte, basta niente; a volte, non basta mettercela tutta; a volte te ne vai di là perché non ne puoi più.
Ma poi, quando succede, ti incanti a guardare come sono, nel sonno, e una tenera allegria bonifica ogni fatica e la trasforma nel desiderio che si sveglino e ti cerchino.


Sì, i bambini ad un certo punto si addormentano, e questa è per me prova assolutamente a favore: 1 - dell’esistenza di Dio;  2 –  del limite della teologia in quanto affare sostanzialmente di uomini (cosa di cui anche Dio ha risentito, forse in modo definitivo; ma la questione potrebbe riaprirsi).

Da qui viene questa ninna nanna, questa sorta di arcobaleno tra la veglia e il sonno, dove il sonno non è tanto l’abbandono di questo mondo e il rischio di perderlo, ma il ponte per altri mondi, con qualche rischio, qualche scoperta, persino qualche beatitudine, e il ritrovamento di questo.
I Topi leggono, scelgono e chiamano Giulia Sagramola. La mia ninnananna è fortunata e io con lei. Non ci sentiamo, Giulia e io, e meno male. Non c’è nulla che vada spiegato, ha solo da esserci quanto basta perché lei faccia la sua ninna nanna, portandosi dietro la mia… 


Che bel tempo quello che passa sapendo che il tuo lavoro è nelle mani di qualcun altro e ne gioverà, e ti ritornerà cresciuto, dormito e svegliato, capace di camminare. Così è stato: Giulia ha preso la ninna nanna e l’ha portata a casa, a casa sua, di Giulia e della ninnananna, di ogni ninnananna; ha trovato come farla sentire a casa in ogni stranezza ed estraneità, come dare credito e sostanza a ogni possibilità (che di questione divina trattasi, l’ho dichiarato subito), come popolare di fantasmi sorridenti il mondo di giorno, come rendere veri i desideri. Compreso quello di non perdersi, quando ci si vuole bene. Giulia ha fatto di una ninnananna una cosa capace di stare nel tempo, di avere tempo, molto, di averlo avuto e di averne ancora, grazie a qualcosa che provo a chiamare genealogia degli affetti.
Un chiasmo generazionale che la dedica conferma: Giulia la fa ai suoi nonni, io al mio nipotino.
Tutte e due abbiamo avuto e restituiamo. Per trovare un po’ di consolazione, per continuare il gioco.



Giulia Sagramola, studio sulla palette del libro.
[di Giulia Sagramola]

Essere tra i primi a leggere le parole di Giusi per il libro per me è stato come un regalo. Mi sono portata dietro le sue frasi, le ho riscritte diverse volte, le ho messe in ordine, le ho scomposte e riguardate.

Insieme alle parole ho subito visto alcuni dettagli di immagini, non delle immagini complete, ma degli elementi che le componevano. I Topi mi hanno chiesto di lavorare con lo stesso stile delle foto "manipolate" con cui, un paio di anni fa, sono stata selezionata in Fiera. Ho iniziato a scegliere le foto, inizialmente ho cercato tra le foto che avevo già usato. Sono foto che ho preso in diversi anni a gironzolare nei mercatini. Non ne ho tante e quando le compro ne scelgo sempre poche; quando sono mie sento un po' come un senso di responsabilità, come se dovessi adottare le persone che sono state fotografate. La prima volta che ho comprato delle foto ero a un mercatino a Berlino, davanti a una bancarella che straboccava, avrei voluto prenderle tutte, c'erano interi album con tanto di parole e date e nomi. Ho dovuto scegliere per forza e quelle che ho scelto le ho tenute sempre con me, senza usarle, per almeno 2 anni. Quando ho iniziato a fare quelle illustrazioni, le ho fatte con estrema libertà e leggerezza, senza pensare bene a una storia, giocando sugli spazi vuoti che mi offrivano.

Giulia Sagramola, lo storyboard.

Per il li libro di Giusi avevo bisogno di tante foto di bambini, non potevano mancare. Nella mia piccola collezione invece scarseggiavano. Un giorno ho rivisto le foto di mia madre a casa di mia nonna e le ho chiesto se potevo usarle, ugualmente con quelle di mio padre. Le prime illustrazioni sono venute fuori senza pensarci troppo e portavano con sé la libertà dell'approccio che ho sempre avuto con questa tecnica, come di un gioco.

Giulia Sagramola, tavole per Sonno gigante sonno piccino, work in progress.

Poi però le cose hanno iniziato a prendere forma e ho sentito la necessità di una direzione, di una scaletta, in pratica di creare del ritmo. Ho steso il layout che vedete e ho iniziato a ragionare in modo più razionale su cosa mancava e cosa no. Per fare questo lavoro e arrivare alle altre illustrazioni è passato diverso tempo, anche scandito dai vari periodi dedicati agli altri lavori.

Giulia Sagramola, tavole per Sonno gigante sonno piccino, work in progress.

Il libro è stato ultimato l'anno scorso, pochi mesi fa gli ultimi ritocchi di grafica. Nel mentre, la vita è trascorsa per tutta la mia famiglia, con anche grandi cambiamenti, non posso non pensarci ogni volta che sfoglio queste pagine. Le parole di Giusi ti abbracciano e ti portano davvero in un viaggio magico, per poi andare a dormire sereni. Spero che lo facciano anche con le persone che sono dentro queste foto, e con voi.

Giulia Sagramola, tavole per Sonno gigante sonno piccino, work in progress.

martedì 7 maggio 2013

Si può non

Negli ultimi decenni, al progressivo deteriorarsi dell'autorità genitoriale si è accompagnato il prosperare di una vera e propria cuccagna manualistica finalizzata a insegnare a padri e madri l'importanza dell'impartire regole, divieti e sanzioni ai propri figli: dal celebre I no che aiutano a crescere a Digli di no. Fallo per lui!, da Se mi vuoi bene, dimmi no a Le regole che fanno crescere a I sì che aiutano a crescere a I bambini hanno bisogno di regole ecc. L'impressione generale, in tutto questo, guardandosi intorno, e al di là di quanti sì e no ai bambini debbano essere, giustamente, detti, è che gli adulti, in generale, abbiano idee molto confuse in merito a cosa sia una regola e a cosa serva, a cosa significhino autonomia, libertà e responsabilità.
La questione non è banale: andando al nocciolo, non si tratta di stabilire formule magiche che facciano sopravvivere alla minore età delle nuove generazioni, ma di riflettere su diritti e doveri, giusto e sbagliato, rispetto di sé e del prossimo, libertà, capacità di operare scelte, relazione fra collettività e individuo.

In una parola, la questione in ballo è quella, niente meno, del libero arbitrio che è alla base dell'etica. Ed è per questo che i manuali, seppur spavaldamente fiduciosi nel potere dell'individuo di costruire se stesso come un mobiletto dell'Ikea (con un incomprensibile libretto di istruzioni in dodici lingue), a volte danno l'impressione di avere una funzione più tranquillizzante che sostanziale, lasciando grandi e piccoli, genitori e figli in balia di questioni fondamentalmente irrisolte, e in una confusione che anche semplicemente nella vita di tutti i giorni può avere conseguenze significative.
Per non sottovalutare la portata del problema e la qualità delle risposte, varrebbe sempre la pena ricordare che sono più di diecimila anni che gli esseri umani, attraverso filosofie, religioni, scienze e letterature, ci discutono su e continuano a farlo tutt'ora. Perché di una cosa possiamo essere certi: non ci sono risultati acquisiti definitivamente in questo ambito: la storia non ci garantisce niente, è un flusso di eventi in continuo cambiamento in cui tutto è costantemente rimesso in discussione, e per questo l'eredità culturale da una generazione all'altra va rinnovata e ricostruita costantemente, pena il suo decadimento.


Detto questo, per non perdersi d'animo di fronte a questioni tanto complesse, va considerato che se il problema del libero arbitrio è un problema squisitamente umano, noi siamo esseri umani, quindi, teoricamente, all'altezza del compito. Importante è non pensare di risolvere questioni rilevanti prendendo scorciatoie, e impegnarsi a trovare buone risposte, che sono quelle che i bambini chiedono, con la consapevolezza che non saranno magari definitive, e che si potranno correggere col tempo, l'ascolto e le esperienze, soprattutto se si è in loro compagnia. Perché non credo esista una compagnia migliore per riflettere su tutto ciò, della loro. Primo perché i bambini spesso sono più allegri e vispi della gran parte degli adulti e, secondo, perché, come hanno affermato i più importanti pedagoghi della storia, da Jean Jacques Rousseau a Maria Montessori, possiedono una profonda capacità di riflessione sulle grandi questioni, un vivo senso della giustizia e in questo senso sono in grado di insegnare molto a chi sta loro vicino.


Tutto ciò, a preambolo di un libro che dal mio punto di vista appare come una versione evoluta dei vecchi manuali di buon comportamento. O, meglio, una via di mezzo fra questo e un manuale di educazione civica. Perché, in effetti, se dell'educazione non si vuol fare unicamente una faccenda (pur dotata di una sua ragione d'essere) di collocazione di cucchiai, tovaglioli e posti a tavola, sempre si finisce nel campo delle regole che disciplinano la vita della collettività, e in quello della relazione fra individuo e organismo sociale.
A questi temi Giusi Quarenghi dedica una riflessione interessante dedicata ai piccoli, dal titolo, molto significativo, di Si può, che così principia:

Non sempre si può - ma a volte si deve -

fare quello che salta in mente.

Non sempre si deve - ma a volte si può 
-
fare non come dice la gente.



Si può anche non volere

non dovere, non potere.

Non riuscire a fare questo

ma essere capaci di fare quello.

Essere né di meno, né di più

essere come sei tu.


Attraverso un uso delle parole che precipita il lettore in medias res e ribalta il consueto punto di vista, la questione è presa di petto. Rivolgendosi ai bambini, la voce che qui parla, forte e chiara, introduce un concetto nuovo: si può fare non. Un concetto dirompente, che cambia le carte in tavola.
perché la prima conseguenza dell'introduzione di questo concetto, è che il divieto smette di essere una imposizione decisa al di fuori della nostra sfera, e ineluttabile, per ricadere invece nel dominio della libera scelta. E infatti, qualche riga più sotto, l'autrice afferma che si può anche non volere, non dovere, non potere. In un contesto, come il nostro, in cui la progressiva ineducazione, prima ancora che maleducazione, va di pari passo a un progressivo conformismo, si tratta di una indicazione importante. Perché le due cose sono fortemente legate.


Il fascino della trasgressione per i bambini, per i ragazzi sta nell'andare contro, più che a una norma, a un divieto, espresso dalla più familiare e odiata delle espressioni: non si può. Ma se utilizziamo queste tre parole riconsiderandone l'ordine, la prospettiva muta completamente e davanti a noi si apre il campo aperto della libertà, con tutte le sue possibilità. Ogni cosa, allora, capiamo improvvisamente, non dipende più da quello che una voce esterna ci dice che dobbiamo essere o non essere, fare o non fare, ma da noi, da quello che per noi decidiamo, da quello che vogliamo (mi viene in mente la risposta che un bambino di una scuola Montessori diede a una signora in visita, la quale, perplessa, osservava che i bambini lì facevano “tutto quello che volevano”: “Noi non facciamo tutto quello che vogliamo, noi vogliamo quello facciamo”). Basta una semplice inversione fra verbo e negazione, e diventiamo responsabili dei nostri gesti e dei nostri pensieri, ce ne assumiamo le conseguenze.


Cosa sono le cose che si possono non fare? Moltissime. Le cose che si possono non fare sono come i giorni di non compleanno, a stare ad Alice e alle sue cronache da Dietro lo specchio, ma anche da Wonderland: sono più di 364, sono tutti i giorni di una vita (come ci insegna da sempre la poesia, per esempio nelle parole di Wisława Szymborska in Disattenzione, quando ci invita all'unico vero dovere che abbiamo verso noi stessi: quello di essere noi nel mondo, e non solo in noi stessi o nel mondo). E il paragone non è a effetto. Il dominio della libertà e quello delle parole, hanno molto in comune: cambiare una regola consolidata, che normi un comportamento o una frase, può voler dire fare una rivoluzione. Alice si trova per la prima volta a riflettere sul significato delle cose quando precipita in un mondo che usa le parole in modo diverso dal suo, e di cui non coglie la logica, e quindi il senso. E comincia per questo a riflettere su ciò che ha sempre dato per acquisito. In questo rivedere costantemente il proprio punto di vista, in questo prendere le proprie misure in un confronto accettato con quelle del mondo, sta, appunto, il processo della crescita.


Giusi Quarenghi nel suo libro invita i bambini a compiere un viaggio analogo; li esorta a precipitare in un equivalente della tana del bianconiglio, a scivolare dietro lo specchio. Un percorso nella sostanza della libertà che solo può portare a crescere, e che non si risolve in una opposizione statica e asfittica fra permesso e divieto, ma fa appello ai desideri profondi dell'individuo, alla sua necessità di differenziazione e di relazione, al suo bisogno di Sé e al suo bisogno dell'Altro.
C'è tanto “mondo” in questo testo: la pelle dei fichi, i mucchi di foglie secche, la febbre, i muretti, i cachi e i bruchi, il vomito, le pozzanghere, i gechi, la pioggia, il pane, le ortiche, le formiche, le mani, i piedi, la neve fresca, l'influenza, le rane, la luna, i rami, l'erba, il vento, le ombre, le stelle... E c'è anche tanto “sé”, espresso nel momento dell'essere: l'avere e il non avere paura, l'avere e il non avere schifo, il guardare, il vedere, il parlare, il provare, l'arrivare, l'ascoltare, il dondolare, l'annoiarsi, lo sbagliare, il non dare la colpa, il non voler fare pace, il rincorrere, il sopportare, l'arrampicarsi, il capire, l'arrossire, il brontolare, il non dormire, il ridere, il pensare, il carezzare, il tirare dritto, lo star soli, il non andare d'accordo, l'osservare, il raccontare...


Una varietà di esperienze e di fenomeni che costringe il lettore ad allargare l'orizzonte dello sguardo nel pensare alla libertà. E che sposta il discorso delle regole a quello, tout court, della vita e dell'interesse che proviamo, nel viverla, a trovarne, appassionatamente, il senso. Che poi è l'orizzonte largo, larghissimo in cui i bambini sono immersi e dentro il quale va a cadere il senso di quel che accade loro e quello delle loro azioni. Ridurre il discorso della libertà, dei diritti e dei doveri, all'ambito ristretto di una casa, di una famiglia, di un ambito parentale, di una classe, di approvazioni e disapprovazioni, di gratificazioni e frustrazioni, di premi e castighi, ci dice Giusi Quarenghi, è fare loro un torto. Un torto immenso.
A questa mancanza di prospettiva e di significato nell'educare viene il sospetto si debba attribuire quel tragico errore tanto spesso commesso di interpretare l'essere bambini per una malattia incomprensibile, ingestibile.

Chi è vivo può ammalarsi, 

disturbare, preoccupare...

Niente pillole per favore

non corriamo dal dottore.

In questo senso sono certa che la lettura di questo libro oltre che ai bambini, sarà proficua anche agli adulti, come lo è quella di ogni albo illustrato di valore.
Chiedo scusa ad Alessandro Sanna, autore delle illustrazioni del libro, per avere parlato solo del testo di Giusi Quarenghi. Lo so: a proposito di un libro illustrato non si fa. Ma il tema trattato e il modo con cui lo è stato, mi stavano particolarmente a cuore. Per questo ho esaurito tutto lo spazio. Di buono c'è che le illustrazioni hanno una tale visibilità che mi affido alla loro forza e alla perspicacia e all'occhio acuto dei nostri lettori per la loro lettura.
(gz)

Grazie a Franco Cosimo Panini Ragazzi per averci messo a disposizione le immagini del libro.

giovedì 20 settembre 2012

Che cos'è una casa?

I tre porcellini scritti da Giusi Quarenghi e illustrati ai Chiara Carrer.

La fiaba dei tre porcellini, di origine anglosassone, sembra essere stata inventata per riflettere sulla questione. La più recente versione che ho in mente, quella, deliziosa, di Steven Guarnaccia, ne fa non per nulla una sofisticata parabola per architetti, dove il motivo tradizionale dei materiali (carta, lamiera, legno, mattoni) diventa spunto ottimale per ripercorrere a grandi passi le tappe più importanti dell'architettura del Novecento che con spavalda creatività ha esplorato il concetto di abitazione, sperimentando le forme e i materiali diversi con cui è possibile costruire.

I tre porcellini scritti da Giusi Quarenghi e illustrati ai Chiara Carrer.

Giusi Quarenghi nella sua versione nuova di zecca, riprende la fiaba partendo dalla medesima domanda e ne fa una sorta di manifesto per le generazioni future, una favola dal ritmo galoppante che, cercando di stabilire cosa sia casa e cosa no, fornisce una risposta fluida, musicale, magnetica, in equilibrio fra antropologia, sociologia, ecologia e psicoanalisi. Risposta che, se come quella di Guarnaccia, parte dal motivo dei materiali, lo fa per approdare a una smaterializzazione, a un superamento, proponendo ai bambini una storia che non mancherà di lasciarli stupefatti, per la sorpresa di trovarsi improvvisamente, in questa faccenda di sicurezza e pareti, all'aperto, nella notte, sotto le stelle, senza il tradizionale rifugio di quattro solide mura attorno a sé.

I tre porcellini scritti da Giusi Quarenghi e illustrati ai Chiara Carrer.

I bambini, dei tre porcellini, quel che da sempre più amano è proprio il motivo delle tre casette. Che piacere vederle volare via, una dopo l'altra: quella fragilissima, quella meno fragile e, infine, in apprensione per la sorte della terza, scoprire con sollievo che la casetta in mattoni del maialetto più prudente e astuto resiste al soffio del lupo cattivo. Un piacere molto simile a quello di avere o di costruirsi una piccola casa, a propria misura, in fondo al giardino o in cortile o nella propria stanza, in cui star soli o in compagnia, sapendosi a un tempo separati dagli altri e vicini a essi, contemporaneamente liberi, contenuti e protetti. Perché in effetti I tre porcellini, fiaba di casette, è storia di spazio, interno ed esterno, cioè di identità, crescita e autonomia. Come Giusi Quarenghi, implacabilmente, mette in luce fin dalle prime righe, adombrando in un incipit travolgente il momento fatidico, e quanto mai attuale, dell'allontanamento dei figli ormai grandicelli dal “nido parentale” (momento che, come a tutti è noto, è diventato nella nostra società quanto mai problematico).

I tre porcellini scritti da Giusi Quarenghi e illustrati ai Chiara Carrer.

E in questo stesso momento, proprio quando della storia pensavamo ormai di conoscere tutto, mentre senza mezzi termini siamo precipitati in medias res, ci si rivela, apriti cielo, una notizia inedita: uno dei tre porcellini, in realtà, è una femmina, occultata finora dal vasto e comprensivo plurale maschile del titolo, che di maschi e femmine fa un solo fascio. Annunciata questa semplice ed esplosiva evidenza, ecco che la storia prende subito, come prevedibile, tutt'altro corso.
E la terza casetta diventa qualcosa di totalmente imprevisto. Saltata a piedi pari l'opzione “solida casetta di mattoni”, l'attenzione di Giusi è catturata dal fuoco acceso nel caminetto del terzo porcellino: quello che nella versione tradizionale della favola scalda il pentolone in cui il lupo cattivo, calatosi nella canna fumaria coll'intenzione di farsi una scorpacciata, si brucerà il deretano.

I tre porcellini scritti da Giusi Quarenghi e illustrati ai Chiara Carrer.

Nella nuova storia è questo fuoco a prendersi tutto il posto, a divampare, facendosi lui stesso casa. Sarà perché la femmina è per definizione “angelo del focolare”, che il focolare diventa il segno dell'ingresso del femminile nella fiaba? Può darsi, ma certo è un angelo molto poco convenzionale questa porcellina, che al tradizionalismo dei fratelli, oppone una vocazione al nomadismo e al cielo stellato. E “nel punto estremo della coda della notte” costruisce una casa di luce e calore, lasciando gli architetti dell'accademia con un palmo di naso, a baloccarsi con materiali più o meno tradizionali e  innovativi.

I tre porcellini scritti da Giusi Quarenghi e illustrati ai Chiara Carrer.

Come va a finire la storia, non ve lo dico. È una sorpresa. Aggiungo solo una cosa. Cosa significa  illustrare una fiaba, illuminando il senso riposto del testo, ce lo mostra con esattezza e rigore una stupefacente Chiara Carrer che della casetta di fuoco dà una rappresentazione visionaria e perfetta: quella di un campo di energie, raffigurato da cerchi concentrici scarlatti. Una casa, cioè, che prima di essere materia, è campo di forze, sorgente di energia, polo vitale, movimento armonico di espansione e contrazione, diastole e sistole del cuore, del respiro.

I tre porcellini scritti da Giusi Quarenghi e illustrati ai Chiara Carrer.

I tre porcellini scritti da Giusi Quarenghi e illustrati ai Chiara Carrer.
Una rappresentazione della casa interiore, viva, calda, accesa, che ognuno ha in sé, o dovrebbe avere, per poter abitare nella propria pelle, sapendo difendersi dai nemici, ospitare gli amici, crescere nella solitudine e nella compagnia. La casa invisibile e necessaria che dobbiamo saperci costruire da noi, prima di pensare alla solidità e alla fragilità di quella, fatta di legno, cartone, mattoni, cemento o che dir si voglia, che ci accoglierà. La casa più nostra ed ecologica del mondo. Una vera casa per il futuro. Ci voleva decisamente una porcellina, per farcelo presente.


giovedì 24 maggio 2012

A scuola tra bosco, cielo e prato

[di Giulia Mirandola] 

Per la seconda volta sono salita in Val di Pejo accompagnata da visitatori d'eccezione: Alessandro Riccioni, Alicia Baladan e Giusi Quarenghi. Come un anno fa, la meta è stata una pluriclasse di montagna, ai piedi del monte Vioz, nel Parco Nazionale dello Stelvio. Non più la scuola elementare Bevilacqua, chiusa definitivamente in un clima di scontento e incertezze nel giugno 2011, bensì la Scuola Pejo Viva, un'esperienza inedita in Trentino e originale di per sé, basata sull'insegnamento parentale, documentata giorno per giorno attraverso un sito: strumento di comunicazione consono ai tempi che corrono.

Scuola Pejo Viva.
Da settembre 2011, nove bambini dai sei ai dieci anni e i rispettivi genitori, seguiti quotidianamente da un gruppo coeso di insegnanti volontari, fanno scuola "senza scuola", in due aule ricavate con semplicità da un appartamento a pochi passi dal vecchio edificio scolastico. La campanella è appesa a una legnaia, le bandiere sono quelle dell'Europa, dell'Italia e del Marocco (in classe ci sono tre bambini marocchini). Nessuno avrebbe scommesso sulla durata oltre Natale di Scuola Pejo Viva, quando la realtà mostra che ciò è stato possibile. In questi giorni Fatima, Davide, Arianna, Agnese, Lorenzo, Maryam, Omar, Nicola, Lisa si preparano agli esami, la prova per loro più difficile.

Alicia e Alessandro.
 La porta della scuola si è aperta innumerevoli volte nel corso dei mesi ad ospiti saliti in quota per conoscere da vicino questa realtà e ascoltare i tanti perché di una scelta radicale come quella di rinunciare alla cosiddetta scuola di tutti, la scuola pubblica. Da parte mia ho cercato di avvicinare il racconto di Scuola Pejo Viva a persone che a titolo diverso si occupano di storie. Tra loro, un antropologo visuale, Michele Trentini, che sta progettando un documentario sull'argomento; Alessandra Henke, una giornalista di Radio 3, che dedicherà alla vicenda un radio documentario in cinque puntate per il programma "Tre soldi"; Luigi Monti, direttore della rivista "Gli asini", che nell'intervistare il maestro Alberto Delpero ha scoperto un nuovo mondo; tre autori, Riccioni, Baladan, Quarenghi, che con i loro versi e illustrazioni hanno seminato letteratura per l'infanzia; Maria Giaramidaro, attiva nel campo della promozione della lettura e fondatrice di Oliver Associazione Culturale, che da Mazara del Vallo ha risalito la penisola per osservare differenze e somiglianze tra la Sicilia e il Trentino.


Alessandro, Maria e Giulia.
L'arrivo di Riccioni, Baladan e Quarenghi portava con sé una motivazione: fare poesia. Riccioni e Baladan si sono concentrati sulle pagine del loro Cielo bambino, prima attraverso una "ginnastica" di gesti e parole condotta da Alessandro Riccioni, adatta a slegare il linguaggio e a sciogliere con il corpo la mente. Poi con un gioco dell'oca magnifico, disegnato da Alicia Baladan, ingrandimento con variazioni dell'ultima tavola del libro, giocato a squadre di "soli", "lune" e "comete", con un grande dado di cartone. Riccioni si è presentato ai bambini come "l'omino tondo che fa impazzire il mondo" ed essendo un poeta di parola ha fatto impazzire per un po' chiunque gli capitasse a tiro. Con Alicia il gioco era all'aperto, tra terra e cielo, in mezzo a improvvisazioni in rima, risate, pegni in forma di canto e molto dialetto mescolato alla lingua italiana.
Il gioco dell'oca di Alicia, da Cielo bambino.

I bambini all'opera.
Sul rapporto tra dialetto pegaese e lingua italiana ha lavorato a fondo Giusi Quarenghi, impegnata due giorni dopo nella costruzione di un libro di grande formato, A scuola tra bosco, cielo e prato. Si tratta di un progetto collettivo di scrittura, che verrà presentato in sede d'esame.


A scuola tra bosco, cielo e prato.
Giusi e i bambini al lavoro
Nelle sue pagine cartonate rilegate a spago, scritte e colorate a mano, i bambini raccontano chi sono, dove hanno fatto scuola, con quali maestri, su quali materie e con che orario settimanale, cosa è loro piaciuto di più e cosa di meno. La pagina finale è un esempio di bilinguismo applicato al collage: oggetti raccolti durante una passeggiata nel bosco vengono commentati con didascalie in italiano e in pegaese, a rimarcare che la padronanza bilinguistica non può prescindere dal lessico e dalla grammatica italiana.
Il pomeriggio è stato un momento di festa trascorsa al Mulino dei Turri. Giusi Quarenghi ha impastato pane e raccontato storie che affondano nelle origini di questo cibo antico. Ne è sortita una grande pasta madre, nata sotto gli occhi di bambini, genitori, anziani, distribuita cruda a piccole pagnotte e affidata alle cure di tante mani. Una metafora azzeccata per salutare la Scuola Pejo Viva e augurare buona crescita a chi ha studiato qui.




Al Molin dei Turi per far il pane con Giusi.