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lunedì 24 dicembre 2012

Ma cosa si fa a Natale senza un libro?

[di Marta Sironi]

Alle tante e valide proposte avanzate da questo stesso blog per regalare un libro a Natale, vorrei aggiungerne una: anche tra i bambini c’è chi se lo aspetta e lo desidera.
Selma Lagerlöf, in un racconto autobiografico di recente pubblicato anche in Italia nella raccolta titolata appunto Il Libro di Natale (Iperborea, 2012), ricorda il Natale dei suoi dieci anni e i suoi più vivi desideri di allora: “So bene, ma così bene, quel che vorrei. Non sono belle stoffe per vestiti, né pizzi, né broccati, né pattini da ghiaccio, né caramelle o cioccolatini”.
La notte della Vigilia di Natale è tradizione di casa Lagerlöf stare svegli a leggere:

Vedete, devo dire che c'è una tradizione a Mårbacka, che quando si va a dormire la Vigilia di Natale si ha il permesso di avvicinare un tavolino al letto, metterci sopra una candela, e poi leggere finché si vuole. Questa è la più grande di tutte le gioie di Natale. Non c'è niente di più bello che starsene lì sdraiati con un bel libro avuto in regalo, un libro nuovo che non si è ancora mai visto e che nessun altro in casa conosce, e sapere che si può leggere pagina dopo pagina finché si riesce a stare svegli. Ma cosa si fa la notte di Natale, se non si sono ricevuti libri?

E inizia con questo atteggiamento e chiarezza d’intenti a scartare con emozione i pacchetti trovando tutti gli strumenti più raffinati per il ricamo, tutto quello che serve per ‘iniziarla’ a una futura vita di piccola donna, ma non quell’unico ‘chiaro desiderio’ che la renderebbe semplicemente felice.
Per fortuna la forma dell’ultimo pacchetto è inconfondibile: “Eccomi davanti il più bel libro del mondo, un libro di fiabe”.
Ma quando la piccola Selma prova a leggerlo non capisce niente e ci vuole la mamma anche solo per il titolo: Nouveaux contes de fées pour les petits enfants par Madame la Comtesse de Ségur. La delusione si stampa in faccia alla bimba che si abbandona alla più amara delle considerazioni:

Gustave Doré, illustrazione per Histoire,
de Blondine de Bonne-Bleu et de Beau-Ninon
.
Ricevere un libro in francese è quasi peggio che non riceverne neanche uno. Faccio fatica a trattenere le lacrime. Ma per fortuna mi cade l’occhio su una figura. La più incantevole principessina del mondo viaggia su una carrozza tirata da due struzzi e, a cavallo di uno dei due struzzi, c'è un paggetto in alta livrea con lo stemma ricamato e le piume sul cappello. La principessima ha le maniche a sbuffo e una sontuosa gorgiera. Gli struzzi hanno in testa alti pennacchi e le redini sono ornate di grosse catene d'oro. Non si può immaginare niente di più bello.
Man mano che sfoglio, trovo un vero e proprio tesoro di illustrazioni: altere principesse, re maestosi, nobili cavalieri, fate raggianti, orribili streghe, meravigliosi castelli fatati. No, non è un libro per cui piangere, anche se è in francese. 
Per tutta la notte di Natale me ne sto sdraiata a guardare le figure, soprattutto la prima, quella con gli struzzi. Mi basta quella per passarci ore.


Costretta dalle circostanze, la piccola Selma scopre, così, il potere narrativo delle illustrazioni e passa la notte di Natale a guardare quelle splendide figure, immaginandosi le storie che intendono raccontare. E il giorno di Natale, con l'aiuto di un dizionario di francese, dà la scalata alla misteriosa lingua del testo.
La fine non ve la racconto. Magari la leggerete stasera, a letto, con accanto un tavolino e sopra una candela. Buon Natale.

Gustave Doré, illustrazioni per Histoire de Blondine, de Bonne-Bleu
et de Beau-Ninon e per Le bon Petit Henri.

Per Nouveaux contes de fées pour les petits enfants par Madame la Commesse de Ségur
Gustave Doré realizzò 34 illustrazioni: 14 per la versione di serie e 20 per la prima edizione (Hachette, 1863).

lunedì 5 maggio 2014

Iscriviti, te lo strillo!

© Anna Martinucci
Dal 16 al 21 giugno prossimi, a Sàrmede, si terrà il corso "Progettare libri".
Ci sono ancora alcuni posti disponibili, quindi è venuto il momento di fare un po' di spudorata pubblicità, nella forma di endorsement da parte di alcune testate internazionali e personaggi celebri

Scherzi a parte, di questo corso abbiamo parlato già in tutti questi post e del corso hanno anche scritto in molti (leggete questo, per esempio). Per evitare di ripetermi, ho chiesto ad alcune ex allieve di spiegare le ragioni per le quali è valsa la pena frequentarlo. Sono illustratrici, educatrici, figure poliedriche del mondo dell'editoria, appassionate di libri per ragazzi. Ecco che cosa hanno pensato di potervi dire:



    Astrid Branca - educatrice - Castello 2013-14     Il corso "Progettare libri" mi ha dato gli strumenti per tradurre in "cose" reali e tangibili, ciò che per me era semplice intuizione. Molte sono state le scoperte, ma la sorpresa maggiore è stata quella di trovarmi, insieme agli altri, capace di condividere i "mondi"più o meno nascosti di ognuno, sia nel processo creativo sia nella realizzazione finale. Piegare, contare, cucire, rilegare, riempire con idee fogli, forme e strutture di carta definite e"rigide", richieste di un compito a cui non era possibile esimersi, soprattutto per volontà e intima passione.
Quello che resta è quel bisogno di continuità, quel piacere nel provarsi, nel fare e nell'inventare. Necessità di "applicazione" quotidiana    

Il libro burattino di Astrid Branca

    Tostoini (alias Roberta Ragona) - apprendista stregone - Castello 2013-14     Volendo lavorare con l'illustrazione, sapere cosa succede dal momento in cui le tavole escono dalle proprie mani e finiscono in un libro è sempre una buona idea. Ancora migliore è pensare a come potrebbe essere fatto il proprio libro prima di cominciare a disegnare.
Per certi versi un albo illustrato è come un pesce: non sapere come partire dal pesce intero per arrivare al piatto va benissimo se si vuole solo mangiarlo; ma per imparare a cucinarlo, può essere utile saperne qualcosa in più.
Un pesce e un albo illustrato sono entrambi pieni di insidie e parti che pungono e tagliano; i primi risultati sono disastrosi, ma quando tutto riesce ti senti tronfio come se fossi il primo uomo ad aver mai prodotto un libro, o cotto un pesce, sulla faccia della terra.
"Progettare libri" è un buon modo di affrontare con più consapevolezza quello che succede tra un'illustrazione e un libro finito, sul rapporto tra la forma di un libro e la sua sostanza. Basta ricordarsi di togliere le branchie.     

Una fanzine realizzata da Tostoini

    Geena Forrest – laureata in scienze forestali - Sàrmede 2013    È passato un anno dal corso "Progettare libri" e devo ancora capire se grazie a questo corso sono le mie idee che hanno trovato una forma o tutte le forme insegnate che hanno messo in moto la mia testa e le mie mani. Poco importa: è passato un anno e io vivo ancora di rendita. Sarà che c'erano anche i compiti per casa.
Sia che vogliate darvi all'autoproduzione o presentare alla prossima Fiera non solo un bel portfolio, ma progetti veri che mostrino già il libro che avete in mente o venire finalmente a conoscenza di tutti i segreti della stampa offset (perché, vi ricordo, un libro alla fine lo si deve anche stampare e dimenticarlo sarebbe un grosso errore), questo è il corso che fa per voi.     

"C'era una volta un re, seduto sul sofà”: una csb binding per un "libro infinito"
realizzato a Sàrmede in meno di 36 ore (ma consecutive) da Geena Forrest.

     Ilaria Mozzi - illustratrice - Castello 2012-13     Perché un illustratore dovrebbe fare il corso "Progettare libri"? Di perché ne avrei 1.743.  Il primo: è indiscutibilmente utile. A Progettare libri non si apprende solo a “costruire” libri, a capire il funzionamento dell’editoria e a fare eleganti rilegature (che a Natale fanno comunque sempre un bel figurone!).
 A "Progettare libri" si impara a risolvere problemi, a relazionarsi con gli altri, e soprattutto si impara a pensare.  Uno sguardo più ampio, un approccio al lavoro più completo, e inaspettate collaborazioni sono tra i risultati più belli ottenuti da questo corso (… e non dimentico la mia fantastica stecca osso, da cui oramai sono dipendente!) L’“onda magica” del corso io la sto vivendo ancora pienamente, a distanza di quasi due anni.
 Per chi vuole costruirsi un percorso solido nell’illustrazione e nell’editoria, o per chi semplicemente cerca stimoli e nuove strade per alimentare la propria creatività, a mio parere, Progettare libri è un corso insostituibile. Immancabile.    

E poi i libri non solo si progettano, ma si stampano anche.
Qui Irene Rinaldi e Alessandra de Cristofaro con Dario, il mastro tipografo.
(Sàrmede 2013)

    Rossana Bossù - illustratrice - Sàrmede 2013     Perché un illustratore dovrebbe fare il corso “Progettare libri”? La risposta è racchiusa nel titolo stesso del corso. Il progetto di un libro si basa sulle idee, legate a doppio filo al formato, alla rilegatura, alla carta con cui verrà realizzato. La prima cosa che Paolo ci ha detto durante il corso è stata: «Voi credete di imparare determinate cose da questo corso ma ne imparerete altre». Così è stato!
Io ho imparato a pensare a un libro come un progetto completo, non solo le illustrazioni ma tutto l’insieme. Un libro come uno spazio in cui muoversi, uno spazio da arredare con idee e immagini.
Partire dal formato e dal tipo di rilegatura, che si tratti di una fanzine, di un leporello o di un albo illustrato, è il primo passo per farsi venire delle idee, il che non mi sembra poco!     


Un progetto realizzato da Rossana Bossù a Sàrmede.

    Gioia Marchegiani - illustratrice - Cecchina 2012     «Sei su una zattera assieme al tuo orsacchiotto preferito e a tua sorella. Devi scegliere cosa buttare giù perché la zattera non vada a fondo. Cosa scegli di fare?» È questo un gioco che si fa  a volte con i bambini, e credo ben possa illustrare (è il caso di dirlo!) una delle tante ragioni per cui valga la pena fare il corso “Progettare libri”.
Anche per illustrare un libro bisogna prendere delle decisioni e capire cosa è importante e cosa è superfluo. Per farlo è fondamentale conoscere  le regole e i vincoli, strutturali e commerciali, che sono alla base della produzione dell'oggetto libro e apprendere come la rilegatura, il formato e la carta siano parte integrante del processo creativo e del linguaggio espressivo. Investire in questa competenza è fondamentale nel percorso di crescita professionale di ogni illustratore così come lo è la ricerca stilistica e la competenza tecnica.
Quindi, per tornare al nostro dilemma iniziale, perché il bambino/illustratore della zattera possa scegliere bene, oltre alla sua fantasia è necessario che abbia i giusti strumenti per dare a quell'assurda domanda una risposta che lasci tutti a bocca aperta    

La "Storia che sale molto in alto" di Gioia Marchegiani,
nella versione Corso Pirulino.

    Chiara Fedele - illustratrice e neo micro-editrice - Castello 2013-14     Ho voluto iscrivermi al corso "Progettare libri" dopo aver visto tra le mani di una mia amica illustratrice un piccolo quadratino di carta che improvvisamente si è aperto in una sorta di spirale, con pagine e che si voltavano e rivoltavano e si srotolavano sotto i miei occhi, rivelando una narrazione grafica, senza parole ma con un senso profondo.
Mi sono sempre considerata un illustratore-esecutore, non di certo un autore. Perciò l'approccio che ho avuto, fino alla prima lezione era di ottenere più nozioni “tecniche” su quello che stava intorno al mio lavoro di esecutore. Mi sbagliavo di grosso.
I limiti tecnici imposti da Paolo sono stati, con mia grande frustrazione, un intero universo di possibilità.
Di volta in volta i piccoli spazi o i limiti di cuciture e tagli erano come enormi tele bianche dove poter scrivere quello che volevo, narrare come desideravo, si narrare, anche io mi sono data la possibilità di raccontare.
In più il confronto con i compagni dimostrava ogni volta l'unicità di ognuno di noi.
Devo dire che l'approccio al lavoro dopo il corso è cambiato radicalmente. La progettazione nasce ancora prima di un testo o di una storia, e non si limita più alla tecnica di un illustrazione. La tecnica si piega alle idee. Finalmente.     

Illustracicci, © Chiara Fedele


    Nicoletta Petruzza - illustratrice e artigiana - Sàrmede 2013     Due (di mille) cose che ho imparato a "Progettare Libri". La prima (e sta già nel titolo del corso) è che un libro si progetta, come un qualsiasi oggetto di design, come qualunque cosa abbia necessità di assolvere a una funzione, di rispondere a un bisogno.
Perchè un'illustratore dovrebbe fare un corso sulla progettazione del libro?? Per lo stesso motivo per cui un architetto che sa disegnare ha bisogno di conoscere una marea di nozioni tecniche per poter progettare una casa. Per lo stesso motivo per cui un coreografo non può fare una coreografia senza considerare la dimensione del palco; un pasticcere non può fare una torta alta 6 metri senza sapere dove e come verrà cotta. Un illustratore non può illustrare un libro se non sa come si fa materialmente un libro. Ci sono cose che non possono essere ignorate.
La cosa divertente è che tutti questi elementi, che costituiscono dei vincoli in fase progettuale, possono essere sfruttati a nostro vantaggio e diventare parte attiva del libro.
La seconda cosa che si impara è la coerenza. Un libro è un oggetto, ha una sua materia, ha una sua struttura, ha una sua estetica. Che abbia un testo o meno, un libro è fatto per narrare, per raccontare qualcosa... e la narrazione per essere efficace deve essere coerente con la struttura del libro. Se la storia narrata ha uno sviluppo "lineare", anche il libro dovrà seguire tale sviluppo. Se la storia ha un andamento "circolare" e riporta al punto di partenza, sarebbe bello che il libro la seguisse. Se la storia cambia registro, anche il libro può cambiare forma, colori, carta, può vestirsi e trasformarsi per essere ciò che vogliamo che sia. Durante il corso Paolo ci ha mostrato infinite strutture-libro e ha cucito a mano anche "infinite" rilegature, per darci gli strumenti e gli stimoli necessari per guardare un libro con occhi nuovi.
Un libro è un'esperienza. È una porta che si apre verso un altro mondo. E deve essere pensato per il tipo di avventura che si andrà a vivere. Deve essere solido per resistere alle tempeste, deve essere lieve per volare, deve avere un filo per tornare.     

Al corso non si impara solo a fare libri, ma anche a Guardarli bene.
Qui, Julia Racsko, Ilaria Proietti e Laura Campadelli alle prese con Komagata.
(Sàrmede 2013)

Per informazioni sul corso ed eventuali iscrizioni:

Fondazione Mostra Internazionale d'Illustrazione per l'Infanzia Štěpán Zavřel 
c/o Casa della Fantasia
Via Marconi, 2 - 31026 Sàrmede (Treviso) - Italia

Tel. +39 0438 959582
Fax. +39 0438 582780

www.sarmedemostra.it
info@sarmedemostra.it 
Skype: mostra.sarmede


lunedì 24 ottobre 2011

La verità della realtà

Qualche giorno fa, in treno, andando a Padova per parlare all'università di immagini e parole, invitata da Donatella Lombello, ho letto Riflessi e ombre, un libro di Saul Steinberg (con Aldo Buzzi), che parla, guarda un po', di parole e di immagini. Saul Steinberg sapeva usare benissimo entrambe. Di sé, infatti, il disegnatore diceva “di essere uno scrittore che disegnava invece di scrivere”, come riporta Aldo Buzzi nella brevissima introduzione al volume.
Leggendo queste parole mi è venuto in mente Dino Buzzati che una volta ha scritto:  “Il fatto è questo: io mi trovo vittima di un crudele equivoco. Sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista. Il mondo invece crede che sia viceversa e le mie pitture quindi non le 'può' prendere sul serio. La pittura per me non è un hobby, ma il mestiere; hobby per me è scrivere. Ma dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o che scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie.” Ecco, il punto è questo, credo: raccontare.

Illustrazione di Saul Steinberg
Riflessi e ombre è un libro magnifico. L'intelligenza che lo attraversa è limpida come un diamante. Limpido lo sguardo che si posa sulle cose, e che ci fa vedere, nel senso pieno e autentico della parola. Ci apre gli occhi. Si legge in un viaggio e in un viaggio si ha l'esatta misura di cosa sia un racconto: visivo; verbale. Dovrebbero inserirlo come lettura obbligatoria in tutte le scuole, le accademie, i corsi, le facoltà eccetera di illustrazione, disegno, design, pittura eccetera.
Quando mi sono alzata dal mio posto per scendere alla stazione di Padova, ho guardato con invidia i passeggeri che rimanevano seduti.
Destinazione, Venezia.


Lo scorso Natale, grazie a una cara amica che ci ha prestato la sua casa, abbiamo fatto una lunga vacanza a Venezia. Stare a Venezia più dello spazio convulso di un fine settimana, è un lusso inimmaginabile. Certo, visite a mostre e a musei. Ma anche giornate intere a perdere tempo, semplicemente camminando e guardando. Spesa al mercato di Rialto. Col buio, poi, a casa a leggere e a dormicchiare. La mattina, come personaggi di un film di Woody Allen, corsa alle zattere, nel gelo e nella luce. Penso sia stata una vacanza fra le più belle mai fatte.

Da poco, mi è capitato fra le mani un libro di Lorenzo Mattotti, Venise. En creusant dans l'eau, pubblicato da Galeriemartel nel 2008 (e, in occasione di una mostra tenutasi alla Fondazione Bevilacqua La Masa, in italiano, nel 2009, dal Consorzio Venezia Nuova, e, nel 2011, dalle edizioni Logos, col titolo Venezia. Scavando nell'acqua). Sfogliandolo, ho pensato che mai avevo visto immagini che, come quelle, fossero in grado di restituire esattamente la verità di questa città. Ho ritrovato in questi disegni in bianco e nero, l'esperienza fatta da pochissimo di stare a Venezia, di essere in questa città.


Un luogo così celebre e celebrato, da risultare sfuggente, da nascondersi a sguardi e visioni distratti dietro cliché realizzati per sostituirsi alla realtà. Si può andare a Venezia, in effetti, e tornare a casa senza esserci mai stati. Così, come, mi viene da dire sfogliando il libro di Mattotti, si può essere stati a Venezia, senza esserci mai andati. Come è possibile, questo?


Ce lo spiega Saul Steinberg nel libro di cui ho appena parlato, in una pagina illuminante sul disegno dal vero (e del disegno parla anche qui)

Da studente di architettura ho fatto con la scuola un bel viaggio di istruzione a Ferrara e a Roma. È lì che per la prima volta ho fatto dei disegni dal vero. Io, che non ho mai avuto una preparazione artistica professionale e ho imparato a disegnare facendo dei disegni, avevo pensato fino allora più che altro al disegno inventato, cose di fantasia. Durante quel viaggio ho capito come è difficile fare un disegno dal vero, quanto è importante capire la natura, la verità della realtà. Capire la verità dell'oggetto del disegno – uomo, architettura, paesaggio – è una cosa complessa perché non è una verità visibile, una verità superficiale. E richiede un grande sforzo, un impegno che qualche volta, per pigrizia si cerca di evitare (è più facile inventare). Si deve riuscire a stabilire una complicità con l'oggetto che si disegna, fino a arrivare a una conoscenza profonda di esso. Non si disegna bene se si dice una bugia. E inversamente: se in un disegno dal vero si è detta la verità, il disegno risulta automaticamente un buon disegno. Un'altra difficoltà del disegno dal vero è che ci obbliga a trovare delle risposte a domande mai poste prima d'ora. Quello che si fa lavorando nello studio risponde spesso a domande che già si conoscono.



Fare un ritratto è difficile. Bisogna prima passare un momento critico in cui rapidamente – se si è fortunati – ci si sbarazza di tutti I luoghi comuni sull'oggetto del disegno. Più che inventare è difficile abbandonare le virtù accumulate. Quello che si è scoperto ieri già non è più valido. Non è possibile trovare del nuovo senza prima abbandonare qualcosa.
C'è una morale in questo. È l'avarizia che ci trattiene, specialmente se non solo siamo innamorati di quello che abbiamo scoperto ma siamo anche sicuri che è buono. C'è chi, lavorando dal vero, usa continuamente il bagaglio trovato ieri, lavora dal vero senza davvero guardare, senza lavorare dal vero.
Perché ho una tale riluttanza a lavorare dal vero? E cerco tutti i pretesti per non farlo? È difficile dire la verità su qualsiasi cosa, o rappresentare se stesso attraverso qualcos'altro.”




giovedì 22 dicembre 2011

Un abete speciale

Milano, foto di Alessio Mesiano, 2009
[di Valentina Colombo]
 
Secondo la tradizione meneghina, l'albero di Natale s'ha da fare il giorno di Sant'Ambrogio. Si prende un abete, vero o finto che sia, e durante alcune ore, o minuti, lo si rimpinza di lucine, palline, fili argentati e cascate di perline, finte candele, pigne, fette di arancia seccate e fiocchetti di vario tipo.
L'albero di Natale, con il suo sbarlugginio luccicheggiante (definizione coniata da una mia professoressa del liceo e mai dimenticata) è simbolo di molte cose. Potremmo dilungarci sulla sua storia da un punto di vista religioso e antropologico, collegandoci ai riti propiziatori dei popoli pagani o a quelli religiosi medievali. Ma non è mia intenzione parlare di questo, e sul significato dell'albero vi rimando al post di qualche giorno fa della brava Antonella Abbatiello.
Anche quest'anno siamo stati invasi dalle immagini degli alberi più strani: quelli fatti di tappi di sughero, quelli di bottiglie di vetro, quelli a piramide di libri e chi più ne ha più ne metta. Non è mancato il servizio al Tg (uno qualunque) sull'accensione dell'albero al Rockefeller Center a New York, con famiglia presidenziale abbracciata inclusa, il report sul Natale all'altro emisfero, dove l'abete stona un po' con i 35 gradi dell'estate, per non parlare delle polemiche sull'albero di Natale troppo poco o troppo lussuoso in Piazza del Duomo, qui a Milano. A Roma l'albero scelto dal Comune è risultato così brutto da spingere la Giunta a rimuovere quello che era già stato ribattezzato "rotolone".

Curiosamente, su una testata nazionale, non ricordo quale fosse, un articolo sulla crisi della Grecia era corredato dall'immagine di uno sparuto abetino spelacchiato, decorato con due o tre palline rosse. Insomma, l'abete in crisi. Come a dire: stiamo messi così male che nemmeno facciamo l'albero. E in effetti, il nostro caro vegetale abbellito è diventato col passare degli anni simbolo di come stiamo, come staremo, che cosa abbiamo fatto, quanto stiamo bene o male. Un oggetto simbolo, se vogliamo, del consumismo e dello spreco, "più luci metti, più sei ricco". Ma per i bambini l'albero è solo un albero: magico, fatato, li accompagna verso la sorpresa del Natale, fa parte del rito dei regali, dell'attesa e dei desideri. Ecco, Rodari, aiutami tu a dirlo, cos'è Un abete speciale:

Quest'anno mi voglio fare
un albero di Natale
di tipo speciale,
ma bello veramente.
Non lo farò in tinello,
lo farò nella mente,
con centomila rami
e un miliardo di lampadine,
e tutti i doni
che non stanno nelle vetrine.
Un raggio di sole
per il passero che trema,
un ciuffo di viole
per il prato gelato,
un aumento di pensione
per il vecchio pensionato.
E poi giochi,
giocattoli, balocchi
quanti ne puoi contare
a spalancare gli occhi:
un milione, cento milioni
di bellissimi doni
per quei bambini
che non ebbero mai
un regalo di Natale,
e per loro ogni giorno all'altro è uguale,
e non è mai festa.
Perché se un bimbo resta senza niente,
anche uno solo, piccolo,
che piangere non si sente,
Natale è tutto sbagliato.

Riflettendo su questo, mi sono messa a scartabellare tra gli albi alla ricerca di alberi di Natale illustrati che avessero questa forza atavica e infantile, questa purezza di significato. In generale, trovo i libri sul Natale piuttosto leziosi e trash. È diventata una sfida quindi trovare dei begli alberi dentro dei bei libri, ma ce l'ho fatta. Buon Natale a tutti.

Jean de Brunhoff, Il secondo libro di Babar, Mondadori

Arturo e Zefiro, Pom, Flora, e Alessandro non hanno mai visto niente di più bello dell'abete tutto splendente di luci.











Yvan Pommaux, Avant la telé, l'école de loisirs, 2002
J.C. Touzeil ed Eric Battutt, L'épicéa, Milan Jeunesse
J. otto Seibold e Vivian Walsh, Olive, una renna molto speciale, Fabbri editori.




S. Turner, Stille Nacht, Carlsen Verlag
R. S. Berner, Apel, Nuss und schneeballschlacht, pag. 75, Gerstenberg Verlag

L'idea che esista un albero di Natale di carote e mele mi fa sorridere. E l'ossicino di cane, è un tocco di assoluta dolcezza.

C. Van Allsburg, The polar express, Andersen Press

L. Snicket e Lisa Brown, The latke who couldn't stop screaming, McSweeney
Dr. Seuss, Il Grinch, Mondadori Junior

- Perfetto- disse il Grinch. -La mia ultima tappa sarà la più simbolica, e adesso lo vedrete: prima di dirvi addio ruberò pure l'abete!-

Diabolico.








E. Chichester Clark, Melrose e Croc, Aer
Questo libro è pieno di palline, lustrini, alberi e decorazioni natalizie. Ma la sensazione di vero Natale traspare da questa pagina, verso la fine del libro, quando Melrose e Croc sono finalmente amici, e non più soli.















H. C. Andersen e M. Boutavant, L'albero di Natale, Rizzoli

M. Boutavant, Il Giro del mondo di Mouk, Fabbri editori

R. Briggs, Father Christmas, Penguin



Cartolina di Natale di Nicoletta Costa



giovedì 30 maggio 2013

“Tu non sei niente”

DOMENICA
Tempo grigio a nord della Loira.
Foschie e nebbie nelle valli.


Comincia verso le tre. Il pranzo della domenica è finito da poco. C’è stato il solito episodio dei piatti. «A chi tocca?» «A me no! Ho già apparecchiato.» «E perché a lui non tocca mai? Non lo fa neanche durante la settimana…»
   Lui, sono io.  E il turno dei piatti non mi tocca durante la settimana semplicemente perché non ci sono, sono via. Frequento il liceo come interno in un convitto, a ottanta chilometri da qui, dall’altra parte di Parigi.
  Posso anche farli, i piatti, se insistono. Tanto è come se già fossi via. Sono arrivato ieri, verso le sei, e tra poco riparto. Me ne vado ancora prima che se ne accorgano. Non partecipo nemmeno più a queste discussioni che solo l’anno scorso erano parte della mia vita. Sono qui provvisoriamente, e li guardo da lontano. Nella mia testa, mi sono già chiuso la porta alle spalle.
   Faccio un po’ d’ordine in camera mia. O meglio, nella mia vecchia camera: ci sto così poco ormai, che di me non c’è quasi più traccia. Mio fratello Eric ha invaso tutto, attaccato alle pareti i poster coi piloti di formula uno, seminato sul letto e la moquette i suoi vestiti e le sue riviste.
   Ora sono solo. I miei fratelli sono già usciti, uno dopo l’altro. Mio padre non so dov’è.  Mia madre è in soggiorno a stirarmi la camicia.
   Ed ecco, comincia. Mal di pancia. Non proprio male. Solo una sensazione di vuoto, una mano, dentro, che mi stringe lo stomaco. In questi momenti ho freddo. Parto fra un’ora. Un’ora persa, ingoiata da questa paura vaga. Angoscia.
   La valigia non è ancora chiusa. Ci ho messo la camicia stirata e il sacco di tela per la biancheria sporca della settimana. Come su tutti i miei vestiti e sui miei oggetti personali sopra ci sono un numero e una lettera: 92A. Là non sono che un numero.  
Faccio scattare le serrature, a sinistra e a destra. La valigia non è grande né troppo pesante. Una valigia a buon mercato, in Skai, con una tasca esterna. Ci sistemo anche il panino che mi ha preparato mia madre (prosciutto, tre fette di pomodoro, una foglia di insalata). Non lo mangerò, ma è indispensabile, credo, al rito della partenza.

Parto ancora prima di partire. Prendo le distanze da loro. Che restano al caldo, alla luce, e mi respingono. Ce l’ho con loro ma non lo dico, taccio. Incomprensibile, come al solito, nello spazio segreto che mi sono costruito. Invisibile, ma non lo sanno, perché non mi guardano.
   Li amo, certo, senza dubbio, ma è un’evidenza, una necessità. Sarebbe un inferno non amarli. Li amo per precauzione, per errore. Perché si ha bisogno di amare, ci sono slanci incontrollati che mettono in pericolo fuori dalla propria zona di sicurezza. Quando uno ama, si espone, mette a nudo una parte di se stesso, ed è proprio lì che possono ferirti. Ferire a vita, ferire a morte.
   Amare i genitori e i fratelli è un rischio minimo. È un amore così banale che non sconvolge, non impegna.
   Amo questo genere di pensieri, mi ci diverto segretamente. E me ne vergogno. Sono un ingrato, un egoista. È male. Me li lascio girare in testa, sono armi contro un male più assoluto: non essere riamato, amare e non essere amato. So bene che se mi lasciassi andare, se non reprimessi il mio cuore fino a soffocarlo, amerei alla follia, brucerei d’amore. A volte mi capita, nei momenti in cui l’emozione è d’obbligo, Natale o la festa della mamma, e scrivo poesie ridicole, grondanti di amore inutile.


Lavoro realizzato dai ragazzi della scuola media Leonardo da Vinci,
di Palermo, nel 2102, dopo la lettura di Un altro me di Bernard Friot, (nella foto).

Quello che avete appena letto, è l'attacco del romanzo di Bernard Friot, Un autre que moi (Éditions de la Martinière, 2003), da noi pubblicato nella collana Gli anni in tasca con il titolo Un altro me.
Un giorno, Bernard mi ha raccontato di avere ricevuto più lettere dai suoi lettori per questa autobiografia della sua giovinezza, che per tutti gli altri suoi libri (titoli come le famose Histoires pressées che in Francia hanno venduto centinaia di migliaia di copie, se non qualche milione, e avute numerosissime ristampe). Come la lettera di una giovane lettrice chi gli scrisse: "Questo libro mi ha aiutato a richiudere la porta sulla mia adolescenza".
Lettere di adulti, ma anche di ragazzi, che lo ringraziavano per aver raccontato quel periodo così difficile della sua esistenza: trovare espresso un disagio così forte, e così poco facile da esprimere, con quella precisione, aveva avuto un effetto liberatorio, salutare, catartico per molti di coloro che avevano incontrato quel libro sulla propria strada.

Palermo, 2102, dopo la lettura di Un altro me di Bernard Friot.
Dare parole, e quindi ordine, forma, senso, a esperienze, emozioni, stati d'animo rimasti senza parole, è uno dei grandi compiti e meriti della letteratura, ed è una delle ragioni per cui si ritengono i libri e la lettura tanto importanti nella formazione di bambini, ragazzi, adolescenti. 
Non è una esperienza facile, quella della letteratura. Tutt'altro: richiede attenzione, capacità analitica, intima disposizione al confronto, e a queste bisogna esser educati. Ma varrebbe la pena riflettere che queste doti sono fondamentali anche nella vita, oltre che nella letteratura, e che quindi la letteratura può costituire una palestra ideale in questo senso, facendo attenzione a non sottrarre alla lettura quella dimensione di privatezza, mistero e scoperta personale che la rendono attraente. 
Ci siano accorti che la collana Gli anni in tasca muove in modo specifico il desiderio di mettersi in contatto con gli autori per condividere il piacere della lettura, e a propria volta per condividere le proprie esperienze.
La condivisione dell'esperienza è importante, e forse la ragione per cui la collana Confessions di Éditions de la Martinière, come Gli anni in tasca, muove questo desiderio è che parte esattamente dal presupposto di condividere con i lettori gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza.
Quasi tutte le persone che si sono cimentate nello scrivere le autobiografie de Gli anni in tasca ci hanno riportato un'esperienza complessa, a un tempo liberatoria e frustrante, appagante e ardua. Il passato ha quella sua tipica bellezza da cartolina solo quando lo si tiene a debita distanza. Quando si è costretti a osservarlo da vicino, rivela una complessità sconcertante, a volte paralizzante. E chi accetta di affrontarla mostra una certa tempra.
Deve essere per questo che questi libri, se non hanno incontrato, eccetto alcuni casi, un largo pubblico, hanno avuto grandi appassionati, estimatori profondi, lettori attentissimi e motivati, che poi, a loro volta, hanno anche avuto il merito, dal nostro punto di vista, di farsene interpreti con i ragazzi.
Di questo siamo piuttosto orgogliosi. Ci piacerebbe naturalmente che le potenzialità di questi libri potessero esprimersi meglio, arrivando a un pubblico più largo. Ma non disperiamo.

Con il permesso di Bernard Friot, oggi pubblichiamo due lettere di un ragazzo di venunt'anni, Mathieu, che riflette sul libro Un altro me (la prima inviata all'editore, la seconda all'autore, dopo aver ricevuta la sua risposta):

Mi piace quando il sonno tarda ad arrivare.
Ci sono persone che temono l'insonnia, non è il mio caso: se l'uomo della sabbia, una sera, è occupato altrove, altri compagni più reali sono sempre là, sul mio comodino. I libri.
Questa notte mi sono sintonizzato su “Un altro me” di B. Friot.
La sua copertina dagli occhi blu mi guardava con espressione fredda e tranquilla, e ho cominciato a girare le pagine meccanicamente.
Come al solito quando apro un libro, sono arrivato alla fine tutto d'un fiato. E raramente ho incontrato un libro capace di far provare tante emozioni con così poche parole. Come dire? È un po' come se avessi letto la mia stessa storia. Mi identifico sempre un po' troppo con gli eroi.

Non sapremo mai cosa ne sia stato di Cahuzac, ne quale fosse la realtà familiare di  Delpech. Sta al lettore immaginarlo.

È buffo, ma questo libro mi ha fatto venire voglia, a mia volta, di scrivere delle confessioni. Benché a ventun'anni sia ancora un po' giovane per questo.

In ogni caso, grazie per questo bel testo.

Cordialmente

***

Alla fine trovo il coraggio di rispondere.
Mi sono piaciute molto la sue riflessioni sul libro, “un messaggio spedito al mare”. Mi sembra il punto di vista delle edizioni La Martinière che offrono ai lettori la possibilità di contattare gli autori. E questo mi ricorda alcuni progetti.

Una volta letto, cosa fare di un libro? Chiuderlo da qualche parte, in biblioteca, finché non ci torna la voglia di riprenderlo o in attesa che qualche ospite non ce lo chieda in prestito? Perché, piuttosto, non regalarlo, condividere la sua emozione con un altro? Insomma, trasmettere il messaggio... Alla fine di ogni libro bisognerebbe mettere una quindicina di pagine bianche, perché i lettori possano lascia traccia del loro passaggio, e lasciare, a loro volta, una testimonianza. Così il libro si arricchirebbe dei contributi dei suoi lettori... e se un giorno, per il più incredibile dei casi, tornasse nelle mani del suo autore, che piacere sarebbe per lui scoprire il cammino percorso dal suo libro!

La ringrazio dell'incoraggiamento. Sono davvero creativo? Non lo so. Piuttosto ho l'impressione di creare per rispondere a una piccola voce che mi dice sempre “tu non sei niente”, provare a me stesso che non sono il vuoto. La mia forza forse è quella della disperazione... O quella della speranza: come saperlo?

Così, scriverò. Forse non delle Confessioni. Perché, a parte tutto, mi sento ancora troppo vicino alla mia infanzia per poterla guardare obiettivamente, ma altre cose. Mi piacerebbe scrivere per i ragazzi, scrivere quello che non ho potuto leggere da bambino. Scrivere quello che avrebbe potuto dare speranza ad alcuni miei amici che oggi non ci sono più.

Cosa l'ha spinta a scrivere? Perché ha deciso di scrivere libri per bambini? Le risposte mi interessano :).

Buona continuazione

Palermo, 2102: suggestioni dalla lettura di Un altro me di Bernard Friot.

lunedì 22 aprile 2013

Da Sant’Agostino al Flash Book Mob

Città invisibili, atelier per la mostra ABC arte contemporanea.
[di Marnie Campagnaro]

Domani, 23 aprile, in tutto il mondo si festeggia la Giornata Mondiale del Libro e del diritto d’autore, iniziativa patrocinata dall’Unesco: una data simbolica per chi si occupa di letteratura e promozione della lettura. Anche il nostro gruppo di lavoro, nel dicembre del 2011, ancora in pieno fermento progettuale, ha deciso di scegliere questa data per realizzare la giornata evento del progetto Città invisibili, promosso dalla Regione del Veneto, inaugurato il 26 ottobre 2012 nell’ambito del IX Forum del libro a Vicenza, con  l’obiettivo di creare nuovi spazi di incontro e di educazione culturale per i più piccoli e veicolare una maggiore conoscenza della letteratura dell’infanzia, dell’arte e del patrimonio artistico italiano, attraverso il Gruppo di Ricerca sulla Letteratura per l’infanzia dell’Università di Padova diretto da Donatella Lombello.

Letture animate nelle scuole per il Festival Città invisibili.

Ricordo bene come nacque l’idea di questo evento speciale. Mancavano solo due giorni a Natale. Assieme alle mie inseparabili compagne d’avventura, Alessandra Carraro e Roberta Zago, eravamo sedute in un piccolo bar nel centro cittadino di Padova, e mentre stavamo discutendo alcuni punti del nostro programma prima della pausa natalizia, ci siamo scambiate i regali. Ovviamente non potevano mancare i libri. Sorridenti, senza poterci appoggiare sul tavolino pieno di scartoffie, e nella confusione più totale del locale, abbiamo sfogliato i nostri libri, iniziando a leggere qualche riga assieme ad alta voce.  È  stata una folgorazione. Così ci siamo dette: “Perché non organizzare assieme alle altre iniziative in programma il 23 aprile anche una grande lettura corale in cui tutti contemporaneamente, indipendentemente dal luogo e dall’età, possono leggere assieme ad  alta voce un pezzettino della propria storia preferita?”
Detto fatto. 

Marbie Campagnaro, Alessandra Carraro e Roberta Zago, curatrici di Città invisibili.

Il Flash Book Mob è diventato così l’evento a più alto impatto visivo ed emozionale di Città invisibili, intorno a cui abbiamo fatto convogliare tutta la pianificazione della giornata: volevamo trasformare la lettura solitaria del libro in un’azione visibile, condivisa,  simbolica. Una grande campagna collettiva a sostegno dell’importanza della lettura. Nel maggio del 2012, abbiamo poi scoperto con grande soddisfazione che l’iniziativa del Flash Book Mob, di cui abbiamo adottato il nome, era stata già lanciata con successo da case editrici come Donzelli, Instar, Iperborea, Minimum Fax, Nottetempo, La Nuova Frontiera e Voland.

Città invisibili, mostra ABC arte contemporanea.
Cosa succede domani mattina, 23 aprile? Fra le nove cinque e le nove e dieci, bambini, ragazzi, insegnanti, sindaci, assessori e bibliotecari, genitori, nonni, zii, amici, e quanti vorranno unirsi liberamente all’iniziativa, si ritroveranno nella piazza più vicina alla scuola o in un luogo all’aperto del proprio comune o frazione, portando con sé il proprio libro preferito e tenendolo in mano. 
Alle nove e un quarto, contemporaneamente, in tutte le piazze, inizierà il Flash Book Mob: dopo un segnale convenuto (un fischio, uno squillo...) e mostrando ognuno il proprio il libro, tutti assieme diremo ad alta voce: “I libri sono come la mente: funzionano solo se li apri”. Ciascuno poi aprirà il proprio libro e inizierà a leggerlo ad alta voce, in contemporanea con tutti gli altri.


Città invisibili, libri d'artista alla mostra Click City.
Anche i bambini e le insegnanti della scuola dell’infanzia parteciperanno perché, come abbiamo fatto loro notare, i bambini possono raccontare ad alta voce la loro storia preferita, raccontando ciò che vedono sulle figure. 
Dopo tre minuti, lo stesso segnale decreterà la fine del Flash Book Mob, con un grande applauso. Ogni appuntamento del Flash Book Mob sarà filmato (durata massima di 30 secondi) e inviato al nostro gruppo di lavoro come video promozionale dell’iniziativa.
A Bassano del Grappa, gli insegnanti in collaborazione con l’attivissima Biblioteca Civica hanno chiamato a raccolta oltre 2.500 ragazzi per inondare con i loro libri e la loro lettura ad alta voce le piazze del centro storico. Affollatissimo anche il Flash Book Mob organizzato a Lonigo, con 1550 ragazzi.

Città invisibili, Festival Villa del Conte.
A Vigonza, così come pure ad Arzignano, si ritroveranno quasi 800 bambini, con la festa che continuerà nel pomeriggio presso la splendida Biblioteca Civica. Oltre 400 ragazzi saranno rispettivamente coinvolti a Portogruaro, San Zenone degli Ezzelini, Valeggio sul Mincio, Carmignano di Brenta, San Giorgio in Bosco. Saranno invece oltre 300 gli studenti che si sono dati appuntamento nelle piazze di Cittadella, Castelfranco Veneto, Este, Massanzago, Battaglia Terme, Vicenza, Ponte San Nicolò, senza dimenticare tutti i  comuni aderenti del Veneto che aderiscono con numeri che rasentano i duecento ragazzi a raduno. Una grande festa del libro per ricordare ai nostri bambini, e soprattutto ai noi adulti l’importanza di rinnovare quotidianamente la sana abitudine di condividere la lettura ad alta voce.

ABC della mia Città, ad Arzignano.

Il Flash Book Mob sarà poi seguito da diverse attività dedicate al libro: “a scuola senza zaino” ovvero i ragazzi a scuola solo con i libri di letteratura; inaugurazioni di mostre dedicate agli abbecedari “ABC della mia città”; letture animate, letture sotto  l’ombrello, mostre del libro, mercatini, baratti del libro, bookcrossing, laboratori creativi, conferenze, spettacoli. A Monselice, grazie a un accordo con Ascom, gli alunni della scuola primaria “Giorgio Cini” gireranno per i negozi aderenti all’iniziativa, e in cambio di letture ad alta voce ai clienti del negozi, riceveranno in dono un libro o un albo illustrato per rimpinguare gli scaffali della loro biblioteca scolastica. È un’azione pilota per strutturare in occasione della prossima edizione un’iniziativa forte a sostegno della campagna della Sinnos I libri? Spediamoli a scuola!.

Città invisibili a Castelfranco per promuovere letteratura ragazzi.

In questi mesi, durante gli incontri di preparazione del progetto, insegnanti e amministratori ci hanno talvolta manifestato la loro perplessità rispetto alla realizzazione del Flash Book Mob, chiedendoci: “Ma come facciamo a leggere tutti assieme ad alta voce nello stesso luogo? I bambini non capiranno nulla! Non è meglio leggere piano o fare una lettura silenziosa?”.

Città invisibili, incontri di formazione della Biennale, al Museo Diocesano di Padova.

Confortate dai commenti positivi di bambini e ragazzi, già appassionatamente impegnati nella ricerca del “loro” libro preferito per l’evento del 23 aprile, abbiamo ricordato loro che sino al X secolo “la lettura normale veniva fatta ad alta voce”. Desueta e fuori dall’ordinario era semmai la lettura silenziosa e bisbigliata. Sant’Agostino, nelle sue Confessioni, rivela che quando cercava un testo nelle biblioteche di Cartagine e di Roma, lo doveva fare (e quindi leggere) in mezzo a un brusio ininterrotto, talmente abituato alla lettura ad alta voce che oramai non sentiva più alcun rumore. Alberto Manguel docet.



venerdì 10 gennaio 2014

La materia dell'essere

Prima di Natale, Revista Emilia, ottima rivista digitale brasiliana dedicata alla letteratura per ragazzi edita, ci ha inviato il link di una recensione dell'edizione brasiliana del nostro Velluto. Storia di un ladro, edita nel 2013 da Pequena Zahar.

L'abbiamo molto apprezzata, e con noi i suoi autori, Antonio Marinoni e Silvana D'Angelo, al punto che ci siamo trovati d'accordo all'idea di tradurla per pubblicarla e condividerla su questo blog. Ringraziamo Silvana che si è assunta l'onere della traduzione.

Velluto. Storia di un ladro, da noi edito nel 2007, conta numerose traduzioni all'estero (è stato pubblicato in Francia, Brasile, Messico, Germania, Olanda, Corea) e la cosa interessante è che questa sua fortuna continua, a distanza di anni, prolungando la sua vita editoriale.  Il che dimostra che un 'libro bello' non è solo una accattivante novità creata per fare tendenza, come forse ancora qualcuno è tentato di pensare.

Velluto: un raffinato racconto per parola e immagine

di Mara Dias

Velluto. Storia di un ladro  è senza dubbio un testo letterario. Meglio, è un’opera d’arte costituita da testo e immagine.
Protagonista è Velluto, un ladro. Non, però, un ladro qualsiasi, considerato che non entra nelle case per rubare. Velluto è alla ricerca di altro: un odore, un ricordo. Davanti a lui, le case si aprono. Suo desiderio è catturare “l’alito segreto della casa che era la mia”. A questo scopo Velluto non ha bisogno di armi convenzionali, ma esclusivamente del proprio naso. Punto di partenza della narrazione sono i ricordi che si sprigionano dagli odori delle cose, ad esempio dai libri della biblioteca di casa: “Adesso capisco da dove vengono le note raggelate di neve, il profumo del tè alla russa, bollito nel samovar, che inspiegabilmente percepisco in questa casa. Più mi avvicino al salotto, più chiaramente avverto il multiforme odore dei libri”.


Scegliere un ladro come protagonista di un libro per ragazzi, sebbene non si tratti di un ladro comune, non è usuale, soprattutto nel nostro tempo che a questo tipo di pubblico dedica in gran numero pubblicazioni “politicamente corrette”.
Nemmeno la casa in cui Velluto si introduce, è una casa comune: i suoi abitanti, una ballerina e un architetto, sono entrambi legati al mondo dell'arte. La loro dimora è abitata da oggetti, aromi e storie che fanno riferimento a un universo artistico. Procedendo nella lettura, si riscontrano in questo libro intelligenza e delicatezza.

Intelligenza per il modo in cui è costruita la narrazione, a dimostrare che la vita è fatta dei ricordi legati agli oggetti che ciascuno trova importanti. Questo racconto, infatti, è una riflessione sul valore delle cose, sulla persistenza degli oggetti nella nostra vita. In un mondo in cui il valore del singolo è definito dall’avere, gli oggetti mostrati nel libro – libri, piante, opere d’arte, strumenti di lavoro – pongono in risalto un universo materiale che definisce l’essere in opposizione all’avere.
Delicatezza nel ritmo che articola la storia: un ritmo lento. Le lunghe descrizioni sono belle e concedono al lettore il tempo di creare nella propria mente l’immagine di ciò che è descritto. La descrizione predomina sull'azione. È come se, nelle doppie pagine riservate all’illustrazione, fossero raccontate al lettore tante piccole storie.


Spesso si interrompe la lettura per rivolgere l'attenzione alle immagini, e poi si torna al testo, riprendendo a leggere. Questo movimento amplifica la comprensione del racconto.

Nel complesso si tratta di un'opera molto raffinata. Il linguaggio è preciso, non compromesso dalla necessità di una eccessiva semplificazione a beneficio dei piccoli lettori, e tuttavia elegante e chiaro. Il modo in cui è utilizzato, denota cura letteraria. Il libro comincia con questa frase: “Tra i ladri, io sono famoso”. Tale cura è dimostrata dall’inversione dei termini, che pone in risalto la “professione” del personaggio. E prosegue: “Mi chiamo Velluto. Entro nelle case come una carezza, passo come un’onda che si stende sulla sabbia”. La scelta lessicale è puntuale, precisa, brillante. In questo modo il linguaggio crea un’atmosfera poetica.


Velluto  è un’opera aperta, se tale si definisce un’opera che a ogni lettura propone elementi nuovi di comprensione e interesse.  Secondo Jouve [Vincent Jouve, A leitura, São Paulo: FEU, 2002. p.137.], nella lettura dell'opera letteraria si distinguono tre funzioni: la prima sta nel modo in cui il racconto immerge il lettore in una certa cultura, portandolo a oltrepassare i propri limiti, e questo in Velluto lo si osserva chiaramente, poiché il lettore è continuamente invitato a interagire con le immagini e con le suggestioni culturali in esse presenti.


La seconda funzione sta nella pluralità dei significati trasmessi dal testo letterario - e anche questa è presente nel libro analizzato, poiché nel corso della lettura è impossibile non stabilire collegamenti della natura più diversa, per esempio non immaginare che Velluto sia legato alla famiglia a cui la casa appartiene, e si trovi lì con uno scopo ben preciso, scatenando nel lettore la ricerca di possibili significati. La terza funzione è legata alla possibilità di esperire situazioni inedite, e anche in questo senso Velluto è positivo: per esempio, il lettore è spinto ad attuare nella propria esperienza la medesima ricerca olfattiva compiuta nel libro dal protagonista.

Le illustrazioni si articolano in doppie pagine, simmetricamente scandite: vi sono doppie pagine con l’illustrazione in primo piano e poco testo, e pagine con una decisa predominanza di testo e solo qualche dettaglio dalle illustrazioni precedenti. È un gioco di ricerca e osservazione.
Ogni illustrazione è ricca di dettagli. Man mano che Velluto entra nella casa e va scoprendo i diversi odori degli oggetti, noi osserviamo le immagini degli ambienti che lui attraversa. Famosi oggetti di design e opere d’arte altrettanto famose affollano le illustrazioni. I risguardi del volume riportano tali opere, d’arte e di design, fornendo puntuali informazioni su di esse, quali i nomi degli autori, le date in cui furono realizzate, i titoli. La lettura in questo modo si trasforma nella caccia al tesoro di queste immagini all’interno del libro.

La tecnica con cui sono state realizzate le illustrazioni, acquerello con sovrapposto tratteggio a pennino, crea voluti effetti di luce. Dove il tratteggio è più accentuato, regnano l'ombra e oscurità: è la parte buia della casa in cui si muove Velluto che, d’altra parte, è un ladro. Nella parte chiara delle immagini, dove il tratteggio è più leggero, si muovono invece i legittimi abitanti della casa.

L’elemento di novità non sta tanto nella tecnica utilizzata, quanto nella composizione degli elementi: luce e ombra; opere d’arte; oggetti di design; ritmo della narrazione. A ogni giro di pagina è come se accompagnassimo Velluto nella sua esplorazione della casa. Forma e contenuto formano, di fatto, un insieme coerente.


*Mara Dias si è laureata in Lettere alla Università di San Paolo, dove ha conseguito il Dottorato in Lingua ed Educazione. Attualmente, è coordinatrice della sezione di Lingua e Letteratura Portoghese  presso il Colégio Renascença e si occupa della formazione dei docenti.