venerdì 4 marzo 2011

Nel corpo dell'immagine

Suonatore di tamburo su cavallo, Deccani, sec. XVIII
Il coltissimo e documentatissimo blog A journey round my skull, dedicato a illustrazione, arte, immagini, immaginario, e sfavillante di meraviglie (da qualche giorno, ancora più abbagliante grazie al nuovo layout e alla nuova denominazione), nel luglio del 2010 postò un interessante articolo sulle miniature Mughal, lette in relazione ad Arcimboldo (a cui Milano dedica, in questi giorni, l'ennesima mostra...). Così recita il testo che accompagna le immagini riportate.
  
Le opere che più da vicino ricordano nella concezione e nell'esecuzione le teste composite di Arcimboldo sono le pitture miniate Mughal, mosaici di forme intrecciate di animali e uomini. Nella tradizione Hindu queste pitture rappresentano la credenza dell'unità interna di tutti gli esseri e illustrano la dottrina della trasmigrazione delle anime attraverso le successive reincarnazioni. 

Donna su dromedario, Murshidabad, sec. XVIII
È possibile, e tuttavia non è documentato, che Arcimboldo sia stato stimolato a sperimentare figure composite dopo avere visto le miniature indiane, o negli avori o nei libri che appartenevano alla collezione imperiale di curiosità. Nell'opera di Arcimboldo, inoltre, e nei calligrafici ritratti di animali, così come nelle esposizioni interessanti e provocatorie delle Wunderkammer, l'intenzione è sottolineare l'ambigua e mistica relazione fra uomo e mondo naturale. È anche possibile che Arcimboldo, come i pittori indiani, cercasse di esprimere la credenza della metempsicosi, una dottrina popolare a quei tempi, e una di quelle che certamente aveva una presa sul suo imperiale, enigmatico signore Rodolfo II (testo tratto dal volume From Asia in the Making of Europe, Volume II: A Century of Wonder).

Uomo e tigre, tardo Mughal, periodo Shah Alam, sec. XVIII
A parte la bellezza di queste immagini di animali, quello che mi colpì al primo sguardo fu la somiglianza di concezione con due immagini realizzate da Simona Mulazzani per il libro Vorrei avere, in cui nel corpo di una balena e di un elefante si leggeva la presenza di una folla di ombre animate, un coacervo di figure viventi in silenziosa coabitazione: bestie, fiere, oggetti, piante, fiori...


Demoni ed elefante, Murshidabad, Bengala, sec. XVIII
Questo muto esercito di vite trascorrenti nell'unità individuale mi conquistò immediatamente per la profonda religiosità, per la poesia, e per la stessa verità biologica, ecologica che sottendeva. Conosciute le smaglianti miniature Mughal, chiesi poi a Simona se le fossero state di ispirazione, dando per scontato che le conoscesse. Simona fu molto stupita perché non solo non aveva mai visto queste pitture, peraltro in effetti difficilmente accessibili e rare da incontrare, ma la coincidenza di avere realizzato qualcosa di così affine a una cultura e a una religione tanto lontane, la sorprendeva molto.

Per quel che mi riguarda, credo che in effetti, la ricerca che ogni disegnatore compie all'interno dei proprio universo formale, del proprio immaginario, delle potenzialità della propria visione, lo spinga attraverso una quantità di esperienze concettuali in altri ambiti esperite in altro modo, attraverso altri medium, altre discipline, altri linguaggi. Così quello che la religione o la letteratura o la poesia raccontano in concetti e parole, il disegno, quando è praticato come strumento di indagine, è in grado di fissarlo con efficacia, precisione e immediatezza attraverso le proprie specifiche modalità espressive. E in questo sta, appunto, la sua prodigiosa forza conoscitiva.
Nel corpo dell'immagine, sembrano suggerirci i misteriosi animali Mughal, dormono le religioni, i sogni, gli incubi, le culture, le tradizioni, i pensieri, le idee che ci legano gli uni agli altri, e che silenziosamente attraversano il tempo, per emergere con intatta potenza, nel presente.
Le miniature Mughal sono tratte dal volume fuori catalogo Flora and Fauna in Mughal Art.



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