Uno, a volte, si chiede: ma come nascono i libri? Oltre a chiederlo a se stesso, questo uno generico lo chiedeva sempre anche a Leo Lionni e lui una volta, per torglierselo di torno, ha risposto con una paginetta memorabile che forse ricorderete.
C’è posto per tutti possiamo raccontarvi, invece, perché finisce come finisce. Cosa altrettanto interessante, anche perché, come forse saprete, tutti gli scrittori del mondo, e tutti gli insegnanti di scrittura creativa del mondo, e tutti i manuali sullo scrivere del mondo sono concordi nell'affermare la seguente verità: che niente c’è al mondo di più difficile per chi si cimenta nella scrittura che dare una buona e degna fine al proprio romanzo o racconto o testo. È il banco di prova ultimo. L’inaggirabile cartina di tornasole. Vera e propria dannazione. L’incubo che tormenta le notti e le veglie creative, dato che spesso quel che ci si ritrova fra le mani o, meglio, sulla pagina, è qualcosa di improprio o troppo fiacco o troppo incoerente o frettoloso o noioso o prolisso, insulso, banale, deludente, eccessivamente ermetico, eccessivamente didascalico e via discorrendo.
Se ci pensate, è comprensibile che sia così: se l’inizio è la matrice in cui è contenuta in nuce tutta la storia, e un buon avvio rappresenta il 50% del lavoro, la fine è il momento in cui si tirano le fila, si chiude il cerchio, è il redde rationem che fa venire tutti nodi al pettine. Contingenza non facilissima da affrontare.
Attenzione: come finisce C’è posto per tutti non ve lo riveleremo. Saremmo pazzi, a farlo. Per scoprirlo, dovrete catapultarvi in libreria, dove si trova da qualche giorno. Vi spiegheremo solo il perché.
Ecco come è andata: il libro era bell’e finito. Massimo (che di cognome fa Caccia) ci aveva portato le tavole complete. L’avevamo debitamente sepolto sotto una montagna di complimenti e feste. Nei giorni successivi, guardavamo e riguardavamo le sue immagini, e, come d'uso, le mostravamo, fieri e gonfi d'orgoglio, agli intimi di passaggio. Fra questi, la nostra amica libraia Diletta Colombo.
Diletta in silenzio le guardò sfilare una a una sotto il suo occhio implacabile e sincero. E, alla fine, disse: «Bello. Ma io se fossi un bambino e non sapessi dove diavolo sono finiti tutti quegli animali alla fine della storia, ci rimarrei troppo male...»
Ci guardammo, basiti. Come avevamo fatto a non pensarci? Diletta aveva capito in un secondo quel che noi non avevamo capito per mesi. In fretta e in furia, ci precipitammo a telefonare a Massimo per comunicargli che una nostra amica si era accorta che al libro in realtà mancava l’ultima tavola. Che, a questo punto, chiedeva a gran voce di essere fatta. Gli spiegammo cosa Diletta ci avesse detto e lui, con il suo fare sornione, rispose che avrebbe visto quel che riusciva a fare...
Che poi gli è riuscito benissimo. Un vero colpo di genio di cui naturalmente non vi diremo nulla. Ma senza Diletta, a cui infatti questo libro è dedicato, il libro no, proprio non sarebbe com’è.
C’è posto per tutti possiamo raccontarvi, invece, perché finisce come finisce. Cosa altrettanto interessante, anche perché, come forse saprete, tutti gli scrittori del mondo, e tutti gli insegnanti di scrittura creativa del mondo, e tutti i manuali sullo scrivere del mondo sono concordi nell'affermare la seguente verità: che niente c’è al mondo di più difficile per chi si cimenta nella scrittura che dare una buona e degna fine al proprio romanzo o racconto o testo. È il banco di prova ultimo. L’inaggirabile cartina di tornasole. Vera e propria dannazione. L’incubo che tormenta le notti e le veglie creative, dato che spesso quel che ci si ritrova fra le mani o, meglio, sulla pagina, è qualcosa di improprio o troppo fiacco o troppo incoerente o frettoloso o noioso o prolisso, insulso, banale, deludente, eccessivamente ermetico, eccessivamente didascalico e via discorrendo.
Se ci pensate, è comprensibile che sia così: se l’inizio è la matrice in cui è contenuta in nuce tutta la storia, e un buon avvio rappresenta il 50% del lavoro, la fine è il momento in cui si tirano le fila, si chiude il cerchio, è il redde rationem che fa venire tutti nodi al pettine. Contingenza non facilissima da affrontare.
Attenzione: come finisce C’è posto per tutti non ve lo riveleremo. Saremmo pazzi, a farlo. Per scoprirlo, dovrete catapultarvi in libreria, dove si trova da qualche giorno. Vi spiegheremo solo il perché.
Ecco come è andata: il libro era bell’e finito. Massimo (che di cognome fa Caccia) ci aveva portato le tavole complete. L’avevamo debitamente sepolto sotto una montagna di complimenti e feste. Nei giorni successivi, guardavamo e riguardavamo le sue immagini, e, come d'uso, le mostravamo, fieri e gonfi d'orgoglio, agli intimi di passaggio. Fra questi, la nostra amica libraia Diletta Colombo.
Diletta in silenzio le guardò sfilare una a una sotto il suo occhio implacabile e sincero. E, alla fine, disse: «Bello. Ma io se fossi un bambino e non sapessi dove diavolo sono finiti tutti quegli animali alla fine della storia, ci rimarrei troppo male...»
Ci guardammo, basiti. Come avevamo fatto a non pensarci? Diletta aveva capito in un secondo quel che noi non avevamo capito per mesi. In fretta e in furia, ci precipitammo a telefonare a Massimo per comunicargli che una nostra amica si era accorta che al libro in realtà mancava l’ultima tavola. Che, a questo punto, chiedeva a gran voce di essere fatta. Gli spiegammo cosa Diletta ci avesse detto e lui, con il suo fare sornione, rispose che avrebbe visto quel che riusciva a fare...
Che poi gli è riuscito benissimo. Un vero colpo di genio di cui naturalmente non vi diremo nulla. Ma senza Diletta, a cui infatti questo libro è dedicato, il libro no, proprio non sarebbe com’è.
6 commenti:
è un genio quella lì.
Questo libro sembra meraviglioso!
Questo libro è meraviglioso!
aaaah! non vedo l'ora di vederlo! :)
Insomma, decidetevi: "è" meraviglioso, o "sembra" meraviglioso? La distinzione non è di poca importanza.
Mi è piaciuto subito questo libro, netto e sincero.
Non so perché ma mi ha fatto pensato all'ultimo film di Crialese, Terraferma.
"C'è posto per tutti" mi sembra una bella metafora per un tempo in cui agli esclusi non restano che le stive di navi, che non sempre raggiungono la terraferma.
Bravi, un libro che si presta a un lavoro infinito, per continuare a raccontare la storia di tutti gli esseri viventi.
Agata Diakoviez
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