Conoscete Alan Bennett? Certo che sì: è quello che ha scritto La sovrana lettrice che tutti avrete letto. E, se ancora non l'avete fatto, smettete immediatamente di leggere questo post e, così come siete, anche in accappatoio e con la testa bagnata, correte in libreria a procurarvelo. Detto questo, oggi vi parleremo di un delizioso librino di questo autore che tratta di immagini e pittura, dal titolo L'imbarazzo della scelta. Perché Alan Bennett ama molto andar per gallerie e pinacoteche al punto da essere stato nominato trustee della National Gallery e da aver dedicato trasmissioni radiofoniche e televisive a questo tema. Bennett è una di quelle fortunate persone che può parlare di qualsiasi argomento senza correre il rischio non solo di non essere noiosa, ma profondendo tesori di umorismo e intelligenza. Insomma, una rarità. Leggere questo libro mi fa sempre venire in mente, a proposito di gallerie, quella scena in cui Audrey Hepburn, figlia di un falsario e innamorata di un falso ladro di opere d'arte, durante un colpo in un museo parigino, nel tentativo di rubare la Venere di Cellini, si traveste da donna delle pulizie. Lei è Audrey, regina di eleganza, nessuno può crederla una colf, con quel corpo da gatta egizia. Il suo downplay la fa solo più splendente.
Lo stesso vale per Alan Bennett, quando afferma: Sui quadri in sé non sono sicuro di aver molto altro di significativo da dire, se non «Questi sono i quadri che mi piacciono». Bennett avvicina ogni opera d'arte come un passante che, dotato di limitati interessi artistici, per ripararsi dalla pioggia si infilasse per caso in una chiesa e lì si trovasse davanti, che so, a un Caravaggio. Allo stupore per quel vivido dramma di ombre e luci, mescolerebbe il buon senso e una certa cruda propensione al luogo comune, chiedendosi per esempio come sia possibile che santi oltre la settantina dispongano da fisici da centometristi.
Quel che mi incanta di questo sguardo, così britannico, infatti, è il registro piano, oserei dire basso, con cui, con consapevolezza del proprio limite ma senza complessi di inferiorità, avvicina l'alto. E per tale ragione ritengo che i brevi saggi contenuti nel libro, possano essere utilissimi a chi si occupa di didattica dell'arte, e sia sempre alla ricerca di modi e idee per avvicinare al sublime bambini e ragazzi. In questo libro, Bennett spiega in modo puntuale e preciso il suo rapporto con l'arte, il modo in cui da giovane ha cominciato a guardare quadri, e la ragione per cui molti di questi gli piacciano, lo attraggano, lo incuriosiscano o, semplicemente, lo divertano. Per esempio, sono molto interessanti le sue idee su come una precoce, e semplice, esposizione di menti giovani a oneste riproduzioni di opere artistiche, a scuola, a casa, in biblioteca, possa costituire un'ottima base per la formazione di una buona cultura visiva. Lo spiega con chiarezza a proposito del compito, affidatogli dai supermercati Sainsbury's in veste di mecenate, di selezionare quattro riproduzioni di quadri, da distribuire, incorniciate, nelle scuole nei pressi dei punti vendita, corredate da dossier illustrativi. In queste immagini ne vedete due fra quelli selezionati, di John Millais e Stanley Spencer.
Il pensiero va a una nostra nota catena di supermercati che da anni plagia Arcimboldo creando detestabili uomini rapanello e terrificanti cani zucchina. A ognuno il suo.
Le considerazioni di Bennett sul perché delle proprie scelte sono illuminanti, oltre che, spesso, esilaranti. Quel che sempre colpisce è la confidenza che il suo sguardo sa prendere con le opere su cui si posa. Il modo in cui le avvicina e le legge, in una dimensione umana che non teme l'errore, l'ignoranza, l'ingenuità e persino la stupidità. Nello scritto I quadri che mi piacciono, contenuto in L'imbarazzo della scelta, e nato da un documentario televisivo sulla Leeds City Gallery a cui Bennett collaborò, questo atteggiamento viene fuori in modo esemplare, quando scrive, appena dopo la frase riportata poco sopra:
Nella trasmissione ho semplicemente pubblicizzato la mia personale ignoranza, sperando che ciò incoraggiasse altre persone che si sentono impreparate nel campo dell'arte a visitare la stessa Art Gallery. Dopotutto la collezione di Leeds non è di quelle che incutono soggezione. Intanto è relativamente piccola, e chiunque abbia un paio di ore libere la può vedere quasi per intero. A parte gli acquerelli, è incentrata soprattutto sul Novecento e ha alcuni dei migliori dipinti inglesi moderni visibili in provincia.
La Galleria è anche accogliente e – merito tutt'altro che secondario – ha molti posti a sedere, spesso occupati da personaggi piuttosto eccentrici. Ma va bene così. Val la pena ripetere che la gente entra in una galleria d'arte per i motivi più svariati; alcuni, è vero, perché amano la pittura, ma per molti guardare i quadri non è la cosa più importante. Entrano perché piove, magari per rimanere un po' al caldo, o perché sono stanchi di stare in piedi; forse sono in anticipo per un appuntamento, oppure sperano di rimorchiare proprio lì – tutte ottime ragioni. Una galleria, in fondo, è un po' come un parco. Ma si può sperare, si può confidare che l'arte «passi», che venga assimilata con la coda dell'occhio. Perché la coda dell'occhio è l'ingresso di servizio della mente.
Ecco, in questo passo Bennett usa un verbo, confidare, che non a caso evidenzia, e un concetto, quello di coda dell'occhio come ingresso di servizio della mente, che sono molto interessanti. E proprio con quest'ultimo concetto conclude un altro suo bellissimo librino sull'arte dal titolo Una visita guidata che vi riporto:
Un altro equivoco è che anche le persone sappiano sempre quel che vogliono dalla National Gallery. In realtà – e non lo dico in tono paternalistico – non lo sanno. Se i visitatori venissero solo per guardare i quadri la National Gallery sarebbe un posto molto più vuoto.
La verità è che la gente viene qui per le ragioni più varie: per rilassarsi un po', o per ripararsi dalla pioggia, o per guardare i quadri, o magari per guardare le persone che guardano i quadri. C'è da sperare, anzi c'è da contarci, che queste opere riescano in qualche modo a emozionarli, e che, uscendo, portino con sé qualcosa di inaspettato e di imprevedibile.
Voglio terminare raccontandovi di una persona che è andata a far spese e ora è stanca, o magari è appena uscita dal lavoro e ha mezz'ora buca prima di prendere il treno a Charing Cross. Senza cercare qualcosa di particolare e forse senza neanche allontanarsi troppo dall'ingresso, si potrà imbattere nell'immagine di un balcone di Napoli del 1782 con dei panni stesi ad asciugare. È di Thomas Jones e forse non si può neanche definire esattamente un'immagine; è più il frammento di un edificio – quel tipo di cose che si notano con la coda dell'occhio. Ed è per questo, forse, che il pendolare stanco lo vede. Ma io ho grande fiducia nella coda dell'occhio e in quell'osservazione di E. M. Forster che ho gia citato: «Solo quello che vedi con la coda dell'occhio ti tocca nel profondo.»
“Per guardare le persone che guardano i quadri” mi ha fatto tornare in mente quello che diceva Alberto Giacometti: “Una volta io andavo al Louvre e i quadri mi davano sempre l'impressione del sublime. Adesso vado al Louvre, e non posso fare a meno di guardare la gente che guarda le opere d'arte. Il sublime per me adesso sta nelle facce di quelli che guardano”.
A breve, in un prossimo post, parlerò di questo secondo libro, che ha passaggi di smagliante intelligenza. E torneremo sulla confidenza e sugli occhi.
Lo stesso vale per Alan Bennett, quando afferma: Sui quadri in sé non sono sicuro di aver molto altro di significativo da dire, se non «Questi sono i quadri che mi piacciono». Bennett avvicina ogni opera d'arte come un passante che, dotato di limitati interessi artistici, per ripararsi dalla pioggia si infilasse per caso in una chiesa e lì si trovasse davanti, che so, a un Caravaggio. Allo stupore per quel vivido dramma di ombre e luci, mescolerebbe il buon senso e una certa cruda propensione al luogo comune, chiedendosi per esempio come sia possibile che santi oltre la settantina dispongano da fisici da centometristi.
John Millais, Isabella. Walker Art Gallery, Liverpool. |
Stanley Spencer, Southwold 1937. Aberdeen Art Gallery & Museums. |
Le considerazioni di Bennett sul perché delle proprie scelte sono illuminanti, oltre che, spesso, esilaranti. Quel che sempre colpisce è la confidenza che il suo sguardo sa prendere con le opere su cui si posa. Il modo in cui le avvicina e le legge, in una dimensione umana che non teme l'errore, l'ignoranza, l'ingenuità e persino la stupidità. Nello scritto I quadri che mi piacciono, contenuto in L'imbarazzo della scelta, e nato da un documentario televisivo sulla Leeds City Gallery a cui Bennett collaborò, questo atteggiamento viene fuori in modo esemplare, quando scrive, appena dopo la frase riportata poco sopra:
Nella trasmissione ho semplicemente pubblicizzato la mia personale ignoranza, sperando che ciò incoraggiasse altre persone che si sentono impreparate nel campo dell'arte a visitare la stessa Art Gallery. Dopotutto la collezione di Leeds non è di quelle che incutono soggezione. Intanto è relativamente piccola, e chiunque abbia un paio di ore libere la può vedere quasi per intero. A parte gli acquerelli, è incentrata soprattutto sul Novecento e ha alcuni dei migliori dipinti inglesi moderni visibili in provincia.
La Galleria è anche accogliente e – merito tutt'altro che secondario – ha molti posti a sedere, spesso occupati da personaggi piuttosto eccentrici. Ma va bene così. Val la pena ripetere che la gente entra in una galleria d'arte per i motivi più svariati; alcuni, è vero, perché amano la pittura, ma per molti guardare i quadri non è la cosa più importante. Entrano perché piove, magari per rimanere un po' al caldo, o perché sono stanchi di stare in piedi; forse sono in anticipo per un appuntamento, oppure sperano di rimorchiare proprio lì – tutte ottime ragioni. Una galleria, in fondo, è un po' come un parco. Ma si può sperare, si può confidare che l'arte «passi», che venga assimilata con la coda dell'occhio. Perché la coda dell'occhio è l'ingresso di servizio della mente.
André Derain, Barconi sul Tamigi, Leeds Art Gallery |
Un altro equivoco è che anche le persone sappiano sempre quel che vogliono dalla National Gallery. In realtà – e non lo dico in tono paternalistico – non lo sanno. Se i visitatori venissero solo per guardare i quadri la National Gallery sarebbe un posto molto più vuoto.
La verità è che la gente viene qui per le ragioni più varie: per rilassarsi un po', o per ripararsi dalla pioggia, o per guardare i quadri, o magari per guardare le persone che guardano i quadri. C'è da sperare, anzi c'è da contarci, che queste opere riescano in qualche modo a emozionarli, e che, uscendo, portino con sé qualcosa di inaspettato e di imprevedibile.
Voglio terminare raccontandovi di una persona che è andata a far spese e ora è stanca, o magari è appena uscita dal lavoro e ha mezz'ora buca prima di prendere il treno a Charing Cross. Senza cercare qualcosa di particolare e forse senza neanche allontanarsi troppo dall'ingresso, si potrà imbattere nell'immagine di un balcone di Napoli del 1782 con dei panni stesi ad asciugare. È di Thomas Jones e forse non si può neanche definire esattamente un'immagine; è più il frammento di un edificio – quel tipo di cose che si notano con la coda dell'occhio. Ed è per questo, forse, che il pendolare stanco lo vede. Ma io ho grande fiducia nella coda dell'occhio e in quell'osservazione di E. M. Forster che ho gia citato: «Solo quello che vedi con la coda dell'occhio ti tocca nel profondo.»
Thomas Jones, A Wall in Naples. National Gallery, London. |
A breve, in un prossimo post, parlerò di questo secondo libro, che ha passaggi di smagliante intelligenza. E torneremo sulla confidenza e sugli occhi.
7 commenti:
chi è Bennett ? voglio fidarmi e leggere il libro. strano che tu dia per scontato che lo si conosca... Bennett stesso si stupirebbe di essere più noto dell'autore di Guernica...
Isabel, se clicchi sul nome Alan Bennett nel post vai a una lunga voce di wikipedia che spiega tutto dell'autore. Il che significa che l'autore del post è perfettamente consapevole che la sua conoscenza non è scontata. "La sovrana lettrice" è stato un best sellers, se mi ricordo bene due o tre anni fa.
mai sentito...ma ora mi rifaccio...thanx
la memoria!!! vado a leggere di lui e trovo che è l'autore di The history boy, commedia trasposta in film che mi è piaciuto tantissimo... : ( che figura...
è lo stesso tipo di "sguardo" con cui la voce narrante di un altro libro speciale di Bennett, "La cerimonia del massaggio", osserva la gente al funerale di Clive... compriamo anche questo! ale riccio
Hai ragione, Alessandro. E in generale c'è da dire che di Bennett varrebbe la pena di leggere tutto.Ma proprio tutto.
Ho conosciuto Bennet proprio grazie ai Topi e La sovrana lettrice è imperdibile! Ora "mi toccherà" leggere anche questa proposta... : )
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