mercoledì 31 ottobre 2012

Prestigiatori dell'invisibile

Oggi, nei paesi di cultura anglosassone è Halloween. Anziché mettere sul davanzale una innocua zucca di plastica comprata al supermercato, vi proponiamo di festeggiare questa affascinante ricorrenza non nostra, in modo un po' più terrifico, in compagnia del massimo esperto di letteratura e materiali horror del mondo: sua maestà Stephen King. Sotto i cui panni da autore ipercommerciale da megastore, (lo sa bene Antonio Faeti che gli ha dedicato un bellissimo saggio, La casa sull'albero), si cela un grande, grandissimo scrittore. E anche un colto, coltissimo conoscitore dell'animo umano e della letteratura che nei suoi più riposti meandri si inabissa. Come mostra Danse macabre, (io ho la prima edizione integrale edita in Italia, quella di Theoria del 1992; oggi è in commercio l'edizione Sperling), sterminato catalogo dell'horror in cinema, fumetto, letteratura, ma soprattutto fine esegesi dell'angoscia, della paura, della scrittura nera, dei lettori che amano incubi e terrore e della fascinazione che il mondo dell'Ombra da sempre esercita su bambini e ragazzi. Che non per nulla sono fra i prediletti protagonisti di alcune fra le sue più celebri storie. Ve ne proponiamo alcuni brani. Spegnete la luce. E buona lettura.



Quando Coleridge parlò di «sospensione dell'incredulità» nel suo saggio sulla poesia di immaginazione, penso sapesse che che l'incredulità non è come un pallone, che può essere sospeso in aria con uno sforzo minimo; è come un peso di piombo, e dev'essere alzato e tenuto su con la forza.
[...] E quando incontro qualcuno che dice: «Non leggo fantasy né vado a vedere quei film, non c'è niente di vero», sento una certa simpatia. Non riescono a sollevare il peso della fantasia. I muscoli della loro immaginazione sono troppo deboli.
In questo senso i bambini sono il pubblico perfetto per l'horror. Questo è il paradosso: i bambini, molto deboli fisicamente, sollevano con facilità il peso dello scetticismo. Sono i prestigiatori dell'invisibile, un fenomeno perfettamente comprensibile quando e se si considera la prospettiva dalla quale vedono le cose. I bambini manipolano abilmente la logistica dell'entrare nelle case di Babbo Natale (passa dai camini perché si fa piccolo piccolo, e se non c'è il camino c'è la buca delle lettere, e se non c'è  la buca delle lettere c'è sempre lo spazio sotto la porta), il Coniglio Pasquale, Dio (un omone un po' vecchio, grande barba bianca, un trono), Gesù [...], il diavolo, Ronald McDonald, il Re degli Hamburger, il Ranger Solitario, e altri mille.



La maggioranza dei genitori crede di capire questa apertura mentale meglio di quanto, in molti, casi, capiscano davvero, e cercano di evitare che i bambini vedano qualcosa che puzzi troppo di orrore e terrore. [...] Ma uno degli strani effetti Doppler che sembrano accadere durante il selettivo dimenticare che è parte integrante del crescere, è il fatto che praticamente tutto ha il potenziale di impaurire i bambini sotto gli otto anni. In certi momenti e in certi posti i bambini hanno letteralmente paura delle loro ombre. [...]
Visti in questa luce, anche i film Disney sono campi minati di terrore, e i cartoni animati che verranno a quanto pare programmati e riprogrammati fino alla fine del mondo, sono di solito i peggiori esempi. Esistono adulti che, se gli viene chiesto quale sia la cosa più terribile vista al cinema da bambini, risponderanno il momento in cui la mamma di Bambi è uccisa dal cacciatore, o in cui Bambi e suo padre scappano per fuggire all'incendio.



Altri ricordi disneyani che fanno il pari con l'orrore batraciforme che abita la laguna nera includono le scope che marciano impazzite in Fantasia [...] ; la notte sul Monte Calvo nello stesso film; le streghe di Biancaneve e della Bella addormentata nel bosco, una con la rossa mela avvelenata (e a quale bambino non viene insegnato subito il concetto di VELENO?), l'altra con il filatoio mortale; fino alla Carica dei 101, relativamemente innocuo, che pure presenta la logica nipotina delle streghe Disney degli anni Trenta e Quaranta, la Malvagia Crudelia Demon, con la sua magra, perfida faccia, la sua voce potente (gli adulti a volte dimenticano quanta paura facciano le voci forti ai bambini, anche perché vengono da giganti del loro mondo, gli adulti), e il suo piano di uccidere tutti i cuccioli di dalmata (leggi «bambini», se si è piccoli) e farne pellicce.
Eppure sono i genitori ovviamente che continuano a sottoscrivere l'abitudine della Disney di riprogrammare quei film, scoprendosi addosso la pelle d'oca quando si ricordano di quel che li impauriva da bambini... perché ciò che fa un buon film dell'orrore [...] è togliere i nostri puntelli da adulti e farci scivolare per la discesa verso l'infanzia. E lì la nostra ombra può diventare ancora una volta quella di un cane cattivo, una bocca spalancata, o una figura scura che ci chiama. [...]



L'ironia di tutto questo è che i bambini riescono a trattare con il fantastico e l'orrore alle sue condizioni molto meglio degli adulti. Noterete che ho usato il corsivo per le parole “alle sue condizioni». Un adulto accetta il cataclismico terrore di Non aprite quella porta perché lui o lei sanno che è solo una finta, che quando la scena è girata i morti si alzeranno e si laveranno via il sangue finto. Il bambino non riesce a fare queste distinzioni e il film è giustamente vietato. I bambini non hanno bisogno di vedere quelle scene [...]. Ma il punto è: se si mette un bambino di sei anni a vedere una proiezione di Non aprite quella porta insieme a un adulto reso temporaneamente incapace di distinguere fra finzione e «le cose vere» (come dice Danny Torrance, il bambino di Shining) [...], io dico che il bambino avrà incubi per una settimana. L'adulto sarebbe internato per un anno in una stanza imbottita, e scriverebbe a casa con i pastelli a cera.



Nella vita di un bambino una certa dose di fantasy e di orrore mi sembra una cosa perfettamente a posto, anche utile. Per la loro capcità di immaginare, i bambini riescono a conviverci, e per la loro posizione unica nella vita, sono capaci di usare certi sentimenti. E capiscono anche molto bene la loro posizione. Persino in una società relativamente ordinata come la nostra, capiscono che la loro sopravvivenza è totalmente al di fuori del loro controllo. I bambini sono «dipendenti» fino all'età di otto anni in ogni senso della parola. Dipendenti dal padre e dalla madre (o di un ragionevole facsimile) non solo per il cibo, i vestiti e una casa; dipendono da loro per non sbattere con la macchina contro un pilone del ponte, per essere portati allo scuolabus in tempo, per essere riaccompagnati a casa dopo essere stati dagli scout, perché comprino medicinali con tappi a prova di bambino; dipendono dagli adulti anche per non prendere la scossa con il tostapane o cercando di giocare con la il Salone di Bellezza di Barbie nella vasca da bagno.



La direttiva di sopravvivenza dentro di noi ci invita a lottare contro questa necessaria dipendenza. Il bambino si accorge della sua essenziale mancanza di controllo, e sospetto che sia questa scoperta a metterlo a disagio. È la stessa ansietà aleggiante che provano molti viaggiatori in aereo. Non hanno paura perché pensano che l'aereo non sia sicuro; hanno paura perché hanno ceduto il controllo, e se qualcosa va storto possono solo stare lì seduti a tormentare la rivista della compagnia aerea o i sacchetti per vomitare. Cedere il controllo è contrario alla direttiva di sopravvivenza. [...]
Questa nascosta ansietà e ostilità verso i piloti delle loro vite può essere una delle spiegazioni per cui, come i film Disney che escono in perpetuo ogni Natale, anche le vecchie favole sembrano andare avanti per sempre. Un genitore che alzerebbe le mani terrificato al pensiero di portare i bambini a vedere Dracula [...] certo non obietterebbe se la bambinaia gli leggesse Hansel e Gretel prima di metterli a letto. Ma considerate: la favola di Hansel e Gretel comincia con un volontario abbandono [...], continua con un rapimento [...], con la schiavitù, con un'illegale detenzione, e alla fine con un giustificabile omicidio e cremazione.
Anche gli ansiosi viaggiatori di aereo hanno le loro favole, i film dell'interminabile serie Airport, che come Hansel e Gretel e i cartoni della Disney mostrano ogni segno di poter andare avanti per sempre...

martedì 30 ottobre 2012

Di fronte a una diversità così vera

Che cos'è la diversità? Dovremmo saperlo dopo tanto parlarne e scriverne. Invece a stare alla cronaca, ma anche ai semplici comportamenti di tutti i giorni di gente né meglio né peggio di noi, a quanto pare siamo ancora in alto mare quanto a chiarezza sul tema. Perché la diversità è inafferrabile e stabilire cosa la determini, agli occhi altrui e propri, e fissare il discrimine che la sancisce è quanto mai arduo. Penso anche a tanti libri per bambini e ragazzi appunto, che a volte appaiono realizzati più per rassicurare le coscienze, non sempre pultissime, degli adulti, che per rendere conto ai bambini della difficoltà che si prova davvero davanti a essa. E senza pensare che i guai cominciano sempre quando ci si sente, e ci se mette, dalla parte del giusto. Il film L'estate di Giacomo ha il merito di  lasciare soli senza filtri di fronte a una diversità così vera che appartiene realmente all'attore che interpreta il protagonista: Giacomo (Zulian), il nome è il medesimo nella vita e nel film.



Giacomo è sordo: lo vediamo con un apparecchio acustico, nelle prime immagini del film. Un intervento, non dichiarato, lo libera dello stesso apparecchio nelle scene successive. Ascoltiamo la sua strana voce nei dialoghi con l'amica, Stefania (stesso nome nella realtà e nella finzione; l'attrice è la sorella del regista), che lo accompagna nei lunghi, pigri vagabondaggi nel corso di un'estate vissuta fra i campi, sulle rive del fiume Tagliamento (siamo in Friuli), fra giostre di paese, nei boschi, sulle strade in bicicletta. Il film diretto da Alessandro Comodin, ha avuto un'accoglienza strepitosa e ha ricevuto una montagna di premi fra cui il Pardo d'oro Cineasti del Presente al Festival di Locarno 2011 (temo che nelle sale abbia smesso di circolare, ma lo potete acquistare qui).



Fin dalle prime scene, l'unicità di questo ragazzo salta agli occhi, anche in rapporto all'amica, che è invece una ragazza “normale”. Guardando il film, ci si chiede che impressione si avrebbe se le medesime battute, anziché recitate dalla voce acerba e inesperta di Giacomo, fossero pronunciate da una voce “corretta”. Forse si avrebbe l'impressione di un ragazzo come gli altri, attraversato da tutte le incertezze che comporta quella nota, complessa esperienza che è il passaggio fra adolescenza ed età adulta.



Tuttavia le reazioni di Giacomo alle cose e alle situazioni, al di là della sua voce strana, sono del tutto imprevedibili, contrassegnate da una qualità che lo rende decisamente non conforme. Giacomo, per esempio, è connotato da una ingenuità che non è quella dell'età a cui appartiene, è irrequieto, si spaventa moltissimo per cose da nulla, ha vere e proprie furie, si diverte pervaso da una felicità istintiva, e sempre esprime tutto ciò che prova con una intensità mai mediata, mai censurata, ma candidamente espressa senza inibizioni. In questo, credo, sta sopprattutto la sua diversità, che certamente si può immaginare legata al suo handicap infantile. Cosa si prova di fronte a lui? Difficile dirlo. Curiosità, simpatia, diffidenza, fastidio, tenerezza, commozione, perplessità, sorpresa, indifferenza, interesse, disagio, solidarietà, distacco?



Tutte queste cose insieme, penso: perché Giacomo è uno specchio che ci restituisce tutti i nostri sentimenti, le nostre emozioni, i nostri pensieri e ci mette soprattutto di fronte a noi stessi, esperienza quanto mai complessa e imbarazzante, costringendoci a prendere atto di quel che proviamo e pensiamo, infrangendo in questo modo l'immagine rassicurante, accettabile che abbiamo di noi stessi. Io credo che sia questo, soprattutto, che non si perdona a chi, senza volerlo, ci pone un problema. Il problema dello scarto da una norma a cui cerchiamo di conformarci per essere accettati, amati, apprezzati, per corrispondere a quello che ci viene chiesto: in famiglia, a scuola, nel lavoro, nelle relazioni umane. E in tutti gli ambienti, persino in quelli che riteniamo più aperti e solidali (perché ogni ambiente ha i suoi conformismi, i suoi tabù, e fedi e ideologie non salvano nessuno). Perché la diversità è una perfida cartina di tornasole che ci costringe a a vedere l'ipocrisia di principi e certezze, e a mettere in discussione i parametri e i valori condivisi su cui faticosamente, e spesso a prezzo della nostra autenticità, costruiamo le nostre vite e le nostre identità. L'estate di Giacomo è un film prezioso che sfugge a etichette e appartenenze, e ha il merito di non offrire soluzioni, di lasciarci all'esperienza delle cose così come sono, di indurci a riflettere senza vie di fuga, facendoci rimanere con molti (sani) dubbi su quel che davvero siamo.

lunedì 29 ottobre 2012

Avventure/ 5: Voglio diventare una libraia indipendente

[di Antonella Giuliano]

Qualche settimana fa ci ha telefonato Antonella Giuliano. Non la conoscevamo. Ci ha chiesto di ricevere i nostri cataloghi perché stava per aprire una libreria per ragazzi a Lecce. A noi piace la gente avventurosa, e ci siamo messi a chiacchierare, facendole un sacco di domande. Poi, ci è sembrato che dicesse cose davvero interessanti sulle origini del suo progetto e sulla sua formazione. Così le abbiamo chiesto di scrivere un post per il blog. Eccolo qui.

Oggi
È arrivato il postino: tra le buste di bollette da pagare, un bel po' di buste gialle e bianche. Apro uno a uno i plichi. Sono i cataloghi che ho richiesto alle case editrici. Devo studiare l’assortimento. Mi sto preparando. Voglio diventare una libraia indipendente.

Ieri
Ho cominciato ad avvicinarmi alla letteratura per l’infanzia lavorando come educatrice negli asili nido comunali di Firenze. Un amore nato così, quasi per caso. Poi, un giorno, sono capitata nel sito della libreria Centostorie di Roma e ho scoperto il Corso per aspiranti librai. Sembrava interessante, economicamente non troppo impegnativo e facilmente accessibile! In Italia, ci sono anche altre opportunità formative per librai: la Scuola per Librai Umberto ed Elisabetta Mauri, la Scuola Librai Italiani di Orvieto e l’Accademia Drosselmeier di Bologna, legata alle poliedriche e infaticabili Giannine. Ma offrono una preparazione specialistica a fronte di un investimento notevole di tempo e di denaro. Il corso della libreria Centostorie, invece, è breve, pragmatico e low cost. E io puntavo solo a chiarirmi le idee.

Dicembre 2011. Freddo. Roma. Quartiere Centocelle. Via delle Rose. La prima reazione è la perplessità: una libreria per bambini in una via senza passaggio di un quartiere così periferico? Ma l’ottimismo è la mia arma vincente e, incuriosita, entro nella libreria Centostorie. C’è un bel tepore. Saranno i termosifoni o gli sguardi confortanti degli altri aspiranti librai? 
Prima di entrare, pensavo che il desiderio di aprire una libreria mia fosse poco realistico: come competere con Internet, megastore, librerie di catena? E con la televisione, i videogiochi, le app? Sono bastate due giornate di corso per scoprire che si può fare. Alla faccia della recessione.  Bisogna solo liberarsi dell’idea, romantica e ammuffita, del libraio-custode del Tempio della Cultura, in attesa che i discepoli si affaccino sulla soglia.
Bisogna darsi da fare affinché quella soglia sia varcata da lettori e aspiranti tali e, soprattutto, per fare in modo che tornino. 

Se poi la specialità è libri per bambini e ragazzi, l'impegno raddoppia, perché deve coinvolgere intere famiglie. La libreria indipendente specializzata per bambini  è da sempre, e oggi sempre più, un progetto culturale ampio, che propone ai bambini e alle loro famiglie laboratori creativi e attività di gruppo per avvicinarli al mondo della letteratura di qualità e al piacere della lettura.


I miei compagni di corso sono un catalogo di varia umanità. Ci sono i determinati e  i velleitari; quelli che rischiano l’osso del collo e quelli che partono con le spalle coperte; quelli che hanno un negozio sfitto e gli sembra una buona idea stimolare la vita culturale del natio borgo selvaggio e quelli che pensano che una libreria conceda più spazio per la famiglia di un lavoro d’ufficio. C’è chi è stanco del solito tran tran e non vede l'ora di mollare i codici penali per gli albi illustrati; e chi pensa che sarebbe bello aprire una libreria per bambini in Puglia, perché per far crescere la sua terra servono uomini che sappiano pensare, ed è meglio che comincino da piccoli. Quella sono io.


Non mancano i dubbi e le perplessità, ma prevale la voglia di crederci, di pensare che l’idea possa trovare la strada per realizzarsi. La storia di Centostorie ci conforta. Ci conforta, ma non ci illude: Arianna e Antonella hanno tenacia e passione, capacità di attirare l’attenzione e interessare il pubblico, suscitare curiosità, farsi conoscere da bambini, famiglie, scuole e istituzioni del territorio, lavorando dentro e fuori dalla libreria. A volte, loro stesse sono incredule del successo della loro impresa.  
Poi si parla di mercato, giro d'affari e attività collaterali; di rapporti con distributori e case editrici, di comunicazione e nuove tecnologie, di organizzazione dello spazio e di assortimento dei libri. Esco da Centostorie e mi sento pronta anche a scalare montagne.

Oggi
Ho aperto la mia libreria? Non ancora. Ma ci sto lavorando seriamente. E mi sembra di essere a buon punto.
Tanti problemi. Soprattutto per l’investimento. Non sono cifre ingenti, ma comunque difficili da ottenere: le banche chiedono garanzie; e il pubblico ha tempi lunghi ed esiti incerti! Dubbi e incertezze, ogni giorno. Ma ho deciso di provarci: è forse il primo progetto della mia vita che mi appassiona veramente.
E il corso per librai? Mi ha fornito l’abc delle competenze del libraio, gli strumenti minimi per elaborare il mio progetto di libreria. Adesso, tutte le mie decisioni hanno un senso più preciso. Sono uscita da Centostorie con una tabella di marcia e con le idee un po’ più chiare.

Domani (forse)
Sono le nove. Alzo la saracinesca. Eccola la mia libreria! Odora ancora di nuovo, di libri, di legno, di emozioni forti, di speranze coltivate e di timori.
Comincio a sistemare quello che ieri sera, dopo l’incontro con Bruno Tognolini su “Poesia nei, dei, con e per i bambini” non avevo messo in ordine. Ho fretta: nel pomeriggio per i bambini ci sarà il laboratorio di origami. 
Devo fare un ordine; passare dal tipografo per ritirare le locandine del festival del libro; chiamare una preside e la bibliotecaria per fissare l’appuntamento. Altro che vita sedentaria! Primo cliente: una mamma che vuole un libro con una bambola di pezza! Poi due nonne, un po’ timorose; poi prendono confidenza e sembrano non volersene andare più.


Ma, per prima cosa, come ogni mattina, ho acceso il computer e sono andata a leggermi il blog dei Topipittori. Oggi c'era un mio pezzo: “La mia vita da libraia. La forza delle storie al tempo della crisi”. Ricordo quando Paolo, prima che aprissi la libreria, mi chiese di raccontare come il corso per librai avesse inciso nella mia decisione di mettermi nell’impresa. Adesso posso dire che quel corso mi ha cambiato la vita, anzi che ha contribuito a chiarire a me stessa la strada da seguire per sentirmi felice. Allora cosa aspettate? Venite a trovarmi in libreria.


Naturalmente, vi terremo tutti aggiornati - qui o su Facebook - su quello che succede in quel di Lecce. Ad Antonella, il più grosso, caloroso e rinfrancante: «In bocca al lupo!» 

Le altre “Avventure” sono:
1) Uno studio con dieci illustratori
2) Una stamperia tutta la femminile
3) Un’etichetta di autoproduzioni
4) Un collettivo di illustratrici
4 bis) Un posto per disegnare insieme (e scusate l’errore di numerazione)

venerdì 26 ottobre 2012

Guarda che panorama!

[di Monica Monachesi. Foto di Giulia Bortot]


Lo scorso sabato, 20 ottobre, a Sàrmede, si è tenuto il primo appuntamento aperto al pubblico: la presentazione della mostra del trentennale, in anteprima per bibliotecari e insegnanti. Titolo: Guarda che panorama! Le immagini della fantasia si apre, domani, 27 ottobre, quindi questo centinaio di appassionati, giunti da da tutto il Veneto e anche da più lontano, ha a tutti gli effetti inaugurato la Casa della Fantasia, nuova sede espositiva sarmediana.


Il desiderio che ci ha spinti a questo esperimento, che ha avuto grande successo, è stato quello di condividere le scoperte fatte e gli incontri appassionanti avuti, costruendo la mostra e dialogando con gli illustratori. Abbiamo parlato quindi di bellezza, quella che per Dostoevskij “salverà il mondo” e di informazione, quella che rende davvero liberi di scegliere, in una maratona della visione durata ben tre ore e mezza, condotta da me d introdotta da Ketty Gallon che ha aperto l’incontro portando i saluti della Fondazione e ringraziando la rivista Andersen, in dono a tutti i partecipanti.


Durante la prima parte dell’incontro ho alternato proiezione di immagini e letture di brani, tratti da libri. e da riflessioni di illustratori ed editori.
Siamo partiti presentando le quattro sezioni della mostra. Il giro ha preso il via dall’opera di Roberto Innocenti, ospite d’onore dell’anno: ho letto alcuni suoi scritti soffermandomi su Rosa Bianca e Storia di Erica, due libri che parlano della vulnerabilità dell’essere umano e in cui l’enormità di eventi mondiali viene raccontata attraverso le vicende di piccoli protagonisti. Due libri perfetti per sottolineare che l’arte offre la chiave giusta per rispondere all’esigenza profonda e legittima dei bambini di capire cose inspiegabili come la guerra.
Alle parole di un grande russo, Josif Brodskij, pronunciate al ricevimento del premio Nobel per la letteratura 1987, ho affidato l’introduzione alla sezione tematica:

Ogni nuova realtà estetica ridefinisce la realtà etica dell’uomo. 
Giacché l’estetica è la madre dell’etica. 
Quanto più ricca è l’esperienza estetica di un individuo, 
quanto più sicuro è il suo gusto, tanto più netta sarà la sua scelta morale e tanto più libero – anche se non necessariamente più felice – sarà lui stesso.

Copertina di David Pintor: la Baba Jaga porta a spasso la casa stregata tra le betulle.

Per curare il libro illustrato Nel bosco della Baba Jaga. Fiabe dalla Russia, edito da Franco Cosimo Panini, e per creare, con il contributo di Davide Giurlando, la nuova sezione dedicata a 12 simboli della fiaba e del folklore russo, ho svolto una approfondita ricerca iconografica sul mondo delle immagini in Russia. Ecco alcuni riferimenti al materiale proiettato all’incontro:

I maestri dell’animazione russa sono tanti (e vi rimando all’omonimo imperdibile cofanetto di 4 Dvd). La battaglia di Kerzents è un’animazione in stop motion del 1971, diretta da Ivan Ivanov, Vano e Jurij Norshtejn su musiche di Rimsky-Korsakov.

 La battaglia di Kerzents
Fu realizzata ispirandosi all'iconografia tradizionale, russa, cioè a dipinti, affreschi e icone medievali come questa:


L’opera di Jurij Norshtejn e di sua moglie Franchesca Yarbusova spicca fra tutte.
Da due capolavori come Il riccio nella nebbia e La lepre e la volpe, che potete vedere qui sotto, sono stati tratti due libri, per ora disponibili in inglese.





Ivan Bilibin (1876 – 1942), è l’illustratore liberty che più di ogni altro si è dedicato alla fiaba russa: la sua Baba Jaga e la sua Vassilissa sono indimenticabili.


Vladimir Lebedev, “il re del libro per bambini”, e Samuil Maršak rivoluzionano il modo di concepire l’illustrazione e dichiarano: “Il bambino non ha bisogno di un surrogato, ma di una vera arte”. In Francia, la casa editrice Memo ha ripubblicato alcuni libri di questi autori.
Vchera i segodnia (Ieri e oggi), 1925.
Slonenok (L’elefantino), 1922.
 I Luboki sono stampe popolari, nate per abbellire le case, vietate sotto il regno di Pietro I il Grande (Mosca 1672 - San Pietroburgo 1725), poiché assunsero un taglio notevolmente satirico.

Palech, Mstiora, Kholui e Fedoskino sono quattro piccoli villaggi attorno a Mosca, sedi di secolari scuole di pittura di icone. Dopo il 1917, non potendo più sopravvivere dipingendo temi religiosi, cominciarono a rappresentare temi del folklore nazionale su meravigliose scatole laccate.




Infine, un film imperdibile per capire la Siberia è Dersu Uzala: il piccolo grande uomo delle pianure, tratto da due libri scritti da Vladimir K. Arseniev e diretto da Akira Kurosawa: una storia di amicizia per imparare il rispetto della Natura.
E ora provate a rispondere a una domanda: nel bosco della Baba Jaga, proprio vicino alla casa dalle zampe di gallina, c’è una citazione che l’illustratrice Clotilde Perrin ha aggiunto al racconto: la trovate?

Illustrazione di Clotilde Perrin.

Se volete approfondire, Nel bosco della Baba Jaga. Fiabe dalla Russia, fresco fresco di stampa, offre nove fiabe russe illustrate da nove illustratori: Anna Castagnoli, Fabio Facchinetti, Artem Kostyukevich, Pep Montserrat, Clotilde Perrin, David Pintor, Sacha Poliakova, Valerio Vidali, Józef Wilkon.

Ma ritorniamo al nostro giro: dopo una breve pausa, si sale al primo piano per visitare la sezione Panorama, con i 60 illustratori che non potrò qui nominare tutti. In omaggio a chi mi ospita, parto da un libro di rime che cantano le fiabe.

Antonella Abbatiello, Alfabeto delle fiabe, Topipittori.

Continuo leggendo della morte distratta dal “segreto della vita”,


Violeta Lopiz, I pani d'oro della vecchina, Topipittori.

e proseguo con: libri da avere in casa per conoscere e disegnare,

Joelle Jolivet, Zoo Logico, Rizzoli.

libri dove "tutti fanno tutto",

Madalena Matoso, Pourquois pas toi, Editions Notari.

e libri di ritratti che più profondi non si potrebbe.

Beatrice Alemagna, La gigantesca piccola cosa, Donzelli.

Concludo con le parole di Alain Serres, autore ed editore Rue di Monde: Dai libri si impara a vivere liberi!

[...] Un bambino, ha il diritto, da appena nato e sin dal primo secondo (e non uno di più!), a esser preso sul serio. Ed è per questo che si deve subito evitare di considerarlo come un poppante e bisogna immediatamente offrirgli un libro! [...] Ma attenzione! Non un libro banale e luccicante. Non un libro dove le bambine sono sempre rosa e i ragazzini sono blu di rabbia. Non un libro che tace la verità del mondo, dove i papà non piangono mai, dove si nascondano le paure, dove la morte non esiste. Non un libro dove il testo è meramente tradotto dall’immagine, nel caso il bambino non capisca al primo colpo. Non un libro che non sceglie che parole a portata di bambino, per evitargli che gli si appesantisca la testa con troppe scoperte. [...] Non un libro per poppanti, ma un libro che prenda sul serio questo piccolo essere umano. Perché passo passo, pagina dopo pagina si costruisce la sua libertà di agire e di pensare. Con un bel libro, un bambino ha il tempo di interrogarsi, di amare, di supporre. Si domanda chi è e chi desidera essere. [...] Quando si impara sin da piccoli a farsi teletrasportare nello spazio magico di un libro, si sente sempre il bisogno di ritornarci. Ci si ritorna perché ci si può ritrovare faccia a faccia davanti a sé stessi. Ci si può sedere attorno ad una frase, attendere, sognare, e immaginare tra le righe... una storia ancora più bella di quella che si sta leggendo: la propria.

E la soluzione all'illustrazione di Clotilde Perrine, l'avete trovata?
Il piccolo riccio col fagottino in spalla, omaggio al capolavoro dei Norshtejn!

P.S.
Questo, invece, è il ritratto della Casa della fantasia. Vi aspettiamo!

Illustrazione di Beatriz Martin da Case, Il gioco di leggere.

giovedì 25 ottobre 2012

Fra peluche e cinismo

Della bella rivista bimestrale Gli asini. Educazione e intervento sociale abbiamo già parlato qui. Allora, questo intrepido giornale era al suo secondo numero. Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto dal direttore, Luigi Monti, la notizia dell'uscita del numero di settembre, l'undicesimo. In quarta di copertina, parole lucidissime che non si possono non sottoscrivere. Sono tratte da un articolo dal titolo Fra peluche e cinismo, di Giuseppe Montesano, scrittore, insegnante e filosofo napoletano, di cui vi riportiamo, in accordo con Gli asini, che ringraziamo, un lungo brano:  vi consigliamo caldamente di leggerlo. Se siete interessati ad abbonarvi a Gli asini, andate qui. In fondo all'articolo, l'indice di questo numero, con tutti i contributi presenti.


Da Fra peluche e cinismo di Giuseppe Montesano


Io sono un privilegiato: insegnando al liceo la mia platea è diversa da quella delle scuole medie, degli istituti tecnici e professionali. Piccola e media borghesia. È più facile lavorare. Ma la vera realtà delle scuole tra Napoli e Caserta è quella dell’obbligo: lì la catastrofe è già avvenuta, nel senso che tutte le tecniche pedagogiche non hanno senso quando intorno non funziona niente e la scuola non ha un ruolo centrale nella società, ma ne è soltanto un’appendice; quindi il suo malessere è solo sintomatico di un male più vasto ed enfatizzare le responsabilità della scuola è una fissazione da politici, per scaricare le responsabilità. Bisognerebbe stare più zitti, fare quel che si può fare nel piccolo, nel quotidiano, far circolare idee, far leggere, far vedere cose, sia ai piccoli che ai grandi: i ragazzi sono avidi di sapere, di conoscere, però non lo sanno finché non lo vedono, non lo vivono, non sanno quello che desiderano davvero. L’adolescenza è un’età in cui si può ancora cambiare, è forse l’ultima possibilità, ma quando si vede quello che viene offerto a chi potrebbe cambiare, si capisce che il risultato non può che essere sconfortante.


Loro, i ragazzi, continuano beatamente e tristemente e in modo depresso a essere ignoranti, non sulle cose scolastiche soltanto ma sul mondo, e qui si apre la questione se sia la scuola a dover fare la parte della società, se debba sopperire alle sue mancanze, se debba raddrizzarne le storture: io sinceramente credo di no. La scuola deve dire per esempio chi è Platone, non può non dirlo, e non solo perché sta scritto nel misero programma ministeriale, ma perché è il suo unico compito, la sua unica chance, deve spiegare la geografia astronomica, i terremoti, i pianeti, le cose elementari e importanti della cultura. Però si tratta di un punto di partenza, quando invece è considerato il punto di arrivo, diventando così una stupida gabbia, e non un grimaldello per aprire la gabbia. Questo non succede solo perché molti insegnanti sono pigri, ripetitivi, figli di questa società e quindi uguali agli alunni, ma anche perché gli alunni adolescenti hanno sì una grande potenzialità, che gli insegnanti, adulti, in genere non hanno più, ma questa energia spesso non sanno nemmeno di averla e non sanno che possono usarla per sapere e capire il mondo: tutto gli insegna, dalla scuola alla famiglia alla società, che il mondo devono solo accettarlo senza capirlo. Poi tra gli insegnanti ci sono i soliti “incomprensibili”, come li chiamo io, persone che spontaneamente hanno voglia di resistere, di mettersi in gioco, di usare la propria vita per fare qualcosa, perché avvertono la sensazione di essere altrimenti dei vigliacchi. Credo che questo valga per tutti, non solo per studenti e insegnanti, e se qualsiasi persona che vive qua in Campania avvertisse profondamente questo turbamento, si comporterebbe diversamente già con i figli a casa, con le altre persone: non va dimenticato che i ragazzi vengono educati per strada, in discoteca, in mille altri modi, ma soprattutto a casa, in famiglia, dove per famiglia io però intendo una cosa malefica, che qui è ancora molto più forte di quanto si immagina: la famiglia allargata, l’ambiente. Non a caso i grandi gruppi criminali si chiamano “famiglie”, quella cosa che tende a risucchiarli nel già fatto, già visto, già vissuto, già pensato.


Isole a Gomorra
Il familismo è ossessivo, una specie di sistema, di meccanismo, fatto per riassorbire qualsiasi cosa metta in crisi questa catastrofe organizzata che va avanti sulla base di un equilibrio folle, delirante se visto dall’esterno, ma normale per chi ci vive dentro; è una forma di normalizzazione dell’assurdo che tende anche ad “aiutare” perversamente le persone, purché non mettano in discussione questo modello culturale. Per esempio, la scuola in certe zone del casertano dice all’alunno di non preoccuparsi, spiega che in cambio del fatto di non dare fastidio la vita sarà comoda, è semplicemente un meccanismo quotidiano della società che si è completamente impadronito di un’isola, perché la scuola è un’isola, e dal mio punto di vista farebbe meglio a restare un’isola: visto che non possiamo avere la “scuola che vogliamo”, allora meglio isolata piuttosto che ingoiata da questo tipo di società locale e forse ormai globale.
È meglio l’isolamento da questa società dell’illegalità legalizzata che toglie ai ragazzi il respiro, gli toglie qualsiasi forma di diversità possibile; i grandi titoli dei giornali parlano sempre del folclore criminale, non parlano mai della cosa più interessante, cioè l’illegalità diventata legale sia tecnicamente, nella società, ma soprattutto nella testa delle persone.


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È una mutazione profonda e grave, che rende difficile ogni discorso, ogni ragionamento, perciò da queste parti diventa difficile arrivare al piano etico: ed è per questo che da queste parti «etica» è una parola ipocrita, utilizzata da coloro che ne sono la negazione; una parola che più viene detta, ripetuta, utilizzata dal gruppo familista – che va dal politico all’ultimo dei custodi di edifici pubblici – e meno diventa reale nei comportamenti, nei gesti, nella vita quotidiana delle persone. Ma anche nella dimensione privata, nelle relazioni affettive tra i ragazzi, con le famiglie, che spesso sono o disastrosamente assenti o iperaffettive in senso falso: “Faccio finta di darti tutto perché in realtà non ti sto dando niente di essenziale”, oppure conflittuali in maniera aperta, totale: “la giungla è fuori casa e io la porto anche dentro”, anche se questo è più raro.
Quello che una volta si chiamava proletariato o sottoproletariato ha gli stessi comportamenti della borghesia caramellosa e fasulla: comportamenti tipici di ceti sociali falsificati e falsi per natura e storia, quelli della borghesia culturalmente intesa (“fatti i fatti tuoi e arraffa quel che puoi tramite parenti e politici”) si spostano dentro la giungla dell’ex proletariato o “popolo”, il che non ammorbidisce la giungla, né la coltiva, né funziona da lenitivo, ma aumenta soltanto la scissione dentro le persone e tra le persone. 

Andate, ma davvero, per esempio come insegnanti, a Scampia o al Parco Verde o al Villaggio Coppola: i ragazzini che nella criminalità ci vivono da sempre anche se non sono tecnicamente “criminali” sono completamente spaccati a metà, tra l’orsetto di peluche comprato all’ipermercato e lo spaccio pomeridiano nei luoghi delle periferie coatte, tra bisogno di affetto morboso, infantile, con un’età mentale e affettiva di tre anni, e un’età reale, fisica, di quaranta, e quaranta vissuti nella totale alienazione da bello e bene. Un ragazzino di tredici anni di certe scuole medie di Scampia oscilla tra un bambino affettivamente disastrato e un adulto disastrato, per cui ha un cinismo da adulto, il peggiore possibile, e nello stesso tempo una fragilità morbosa dal punto di vista affettivo: veramente un miscuglio tragico. Il ragazzino che vorrebbe essere cullato e amato è lo stesso che dice al compagno “devi morire, ti uccido”, che utilizza la legge del più forte, l’unica filosofia nuova che si sta spandendo dal basso, il che è terrificante, perché questa era la filosofia predatoria e semi-segreta delle classi alte del liberismo ideologico, mentre adesso è filosofia di massa. Di fronte a questo forse valgono sempre le stesse cose, cioè le isole, le minoranze, i singoli, che però non devono restare soli. “Là dove sarete in tre, io ci sarò”, recita un passo degli Apocrifi; non troppi, perché presto diventano massa, ma non uno solo, e nemmeno due, cioè la coppia: il Cristo avventuroso e tagliente degli Apocrifi sa che la coppia può diventare l’inizio di ogni trappola familista, l’origine di ogni egoismo cieco. Nello stesso tempo il Cristo straccione non chiede mai astratti e impossibili sacrifici, e dice di amare il prossimo “come se stessi”, non ipocritamente più di se stessi: chiede un lavoro psicologico su di sé, non chiede la menzogna untuosa e politica della religione.  E qui, senza alcuna coltivazione delle persone e dell’io, la violenza divenuta filosofia inconscia e incosciente (ma ormai attraverso il liberismo ideologizzato e vincente anche apertamente propagandata) disgrega le regole non per farne altre, ma per sopravvivere in mezzo alle macerie. Altrove forse la violenza è più attutita, ma le dinamiche e le mentalità sono identiche, da almeno trenta quarant’anni questo posto è diventato come tutti gli altri.

mercoledì 24 ottobre 2012

Far finta, sul serio

[di Annamaria Gozzi]

Qui non ci sono storie, le storie non sono storie, qui si fa finta sul serio.


I papaveri nel Mago di Oz del Teatro dell'Orsa.


È la frase con cui si presenta il Teatro dell’Orsa col quale collaboro da alcuni anni. E per  far finta sul serio hanno messo in scena Il Mago di Oz dentro una biblioteca, in mezzo ai libri. È successo alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, il 7 ottobre scorso, dove a bambini e adulti è stato possibile accompagnare Dorothy e i suoi amici lungo la strada di mattoni gialli per arrivare al cospetto del grande Oz, alla Città di Smeraldo.

La strada la facevi davvero, e si snodava tra scaffali di libri che, di certo, non stavano zitti. Su quel percorso incontravi sul serio lo spaventapasseri senza cervello, il leone codardo, l’omino di latta, potevi addormentarti in un campo di papaveri, ascoltare un storia alla luce debole di un lumino, ritrovare la strada o farti aggiustare il cuore. 

E ogni volta che ti perdevi, perché anche perdersi è bello nelle grandi storie, c’era sempre un mago con un campanello a riportarti in direzione della Città di Smeraldo. E poi ascoltavi streghe buone o streghe cattive e ti commuovevi per il valore dell’amicizia. 

 
Dorothy e la Città di Smeraldo nel Mago di Oz del Teatro dell'Orsa.


Come tutti i grandi classici Il Meraviglioso Mago di Oz di L. Frank Baum è un libro che ci racconta la vita e ci pone le grandi domande sul coraggio, sull’amicizia, sul partire per ritrovare la strada di casa. Poi succede che i libri chiamano altri libri e le storie si incatenano ad altre storie e per costruire il percorso del Mago di Oz è servito l’aiuto di un albo illustrato, L’aggiustacuori di Arturo Abad. A partire dalla meravigliosa illustrazione di Gabriel Pacheco, lo scenografo Franco Tanzi con mani piene di poesia ha creato il rifugio dei cuori ammaccati, scuciti o infreddoliti e, in quella minuscola bottega si è sistemato con mani sapienti di mimo a ricucire ferite, dispensare messaggi, avverare desideri.

L'aggiustacuori di Gabriel Pacheco.
Dietro il percorso teatrale di Oz c’è tutta la fatica, che conosco bene, di Monica Morini e Bernardino Bonzani che si sono occupati di tutto: dall’ideazione alla regia, dalle scene ai costumi e soprattutto dell’interpretazione dei personaggi insieme agli allievi del laboratorio permanente del Teatro dell’Orsa.

L’esperienza del Mago di Oz ha coinvolto cinque biblioteche della città che, nell’arco di una settimana, hanno ospitato le narrazioni ispirate a ogni personaggio del romanzo. Sempre fra gli scaffali dei libri, in una biblioteca si raccontavano imprese di coraggio; 



La bottega dell'aggiustauori di Franco Tanzi.
nell’altra, di amore, e poi di sciocchi e di furbi, di streghe e magie. In totale sono state narrate e messe a bibliografia più di trenta fiabe tratte dalla letteratura per l’infanzia. C’erano i libri di Rodari, ma anche albi recenti come L’alfabeto delle fiabe di Bruno Tognolini, Nove storie sull’amore di Giovanna Zoboli o Un leone a Parigi di Beatrice Alemagna.

Com’è che si insegna ad amare i buoni libri?
Io credo si debba attraversarli, viverci dentro. E in questo tempo, dove alle fiere del libro ti capita di incontrare inquietanti Geronimo Stilton in baffi e pelliccia, è necessaria la voce del teatro, quello che fa sul serio, che chiama i libri buoni che ti fa sentire il battito nel petto dell’omino di latta, ti fa ruggire di coraggio insieme al leone, ti riporta a casa con uno schiocco di scarpette d’argento.


La bottega dell'aggiustauori di Franco Tanzi, nel Mago di Oz del Teatro dell'Orsa.

La compagnia del Teatro dell’Orsa è nata una decina di anni fa dagli attori e registi Bernardino Bonzani e Monica Morini. Poi la compagnia si è allargata a musicisti, scenografi, attori, registi. Produce e interpreta spettacoli di teatro civile e di memoria, e ha ottenuto il riconoscimento di numerosi premi. In parallelo, produce spettacoli di teatro per ragazzi e di narrazione ispirati ai classici e alla narrativa moderna. Di recente ha partecipato al festival internazionale di narrazione ad Arzo, in Svizzera, animando due classici: I viaggi di Gulliver e L’Odissea.

Il leone e l'uomo di latta.

Lo spaventapasseri.
Il Mago Berni.

Condivido con Monica e Bernardino diversi progetti. Spesso ci entusiasmiamo sulle pagine di un libro: che si tratti di un testo di trecento anni fa o di una novità fresca di stampa non importa, sono le pagine a chiamarci. E quando conduciamo laboratori di idee e lettura, anche con gli adulti, sempre più spesso ci capita di proporre libri per ragazzi o, ancor più, albi illustrati. Ci siamo accorti che a volte per affrontare grandi temi bastano poche parole unite alla bellezza delle illustrazioni. Siamo anche convinti che non esistano età per leggere, i libri sono per tutti. Come dice Nick Hornby:  Evitare i libri per ragazzi solo perché non si è più ragazzi è come sostenere che i gialli andrebbero letti da poliziotti e criminali.

Qui sotto, video dei Racconti della buonanotte del Teatro dell'Orsa.