Che cos'è la poesia? Per rispondere può essere utile osservare un poeta. Può essere alto, basso, minuto, possente, magro, ben messo, riccio, bruno, biondo, barbuto, irascibile, amabile, dispotico, lieto... Non importa, non è questo che conta. La sua apparenza è indifferente. Il suo carattere anche. A noi preme osservarlo dentro, in una zona nascosta, che non si manifesta. Perché è dentro di lui che accade quel che non accade dentro di noi. E per quanto detesti essere spiato, per quanto si risenta della nostra curiosità che reputa un'invadenza, non può opporsi a questa evidenza.
Da noi escono parole. Da lui, i nomi delle cose. Noi siamo sempre lì, nell'approssimazione del dire. Lui si muove nell'esattezza del pronunciare. Non sappiamo dove si trovi, in lui, questo organo prodigioso in cui le parole sembrano finire per riemergere a battezzare le cose. Però lo percepiamo. Lo immaginiamo, come in certe tavole antiche in cui l'umano si dispiega in un'anatomia fantastica di spiriti, sensi, disposizioni, virtù. E che si tratti dell'endecasillabo di un sonetto o di una filastrocca, la faccenda, a ben vedere, non cambia. Quell'organo - imparzialmente, onestamente, severamente, soavemente, disciplinatamente - lavora nel medesimo modo, con la medesima cura, per la medesima ragione.
Come fa un poeta a sapere che la gloria scarlatta di quell'elefante ha nome Bumpanza? Come avrà inteso che la scioccheria di quell'essere che spunta dalla macchina rossa, sciarpa al vento, fa Popoverme? Da cosa avrà intuito che la mestizia di quel cane in pigiama va sotto il nome di Cagnasito?
Man mano che Roberto Piumini scriveva le poesie di La casa di Topo Pitù, distillando nomi dalle illustrazioni di Carll Cneut (come farebbe un genetista che da un segmento di Dna ricostruisce l'identità del suo proprietario e la sua storia), la nostra casa ha iniziato a riempirsi di ospiti.
Bumpanza, Popoverme, Cagnasito, li abbiamo già nominati, proseguiamo con Ippopotamo Bombò, Lapin Lazzero, Topulo e Lupoto, Cinerella, Piccia Pace... La cosa strana è che a noi sembrava di conoscerli tutti benissimo. No, detto così non va bene. C'era la sopresa di quei nomi nuovi fiammanti a dire cose che avevamo sempre saputo, ma senza saperlo: la fatica e la gioia di esser pesci, gatti, pecore, merli, fenicotteri, conigli, topi, cavalli, grilli, oche, balene... C'era, insomma, la poesia.
I personaggi di questo libro, che abbiamo visto per la prima volta tre anni fa, nell'edizione originale di Querido-De Eehnoorn, alla fiera di Bologna, ci sono parsi subito irresistibili: una popolazione animale eccentrica, indaffarata e industriosa, impegnata in faccende e vicende misteriose, solo apparentemente minime, come quelle che potrebbero far parte della vita e della giornata di un bambino.
E alla fine, abbiamo deciso di acquisire i diritti delle illustrazioni di Carll Cneut, realizzate per illustrare un'antologia in lingua fiamminga sul tema degli animali, incantati dalla loro bellezza, dalla precisione e dall'intenistà del loro dettato.
In cosa sta la straordinarietà di queste figure?
Nel vedere forme ben note, che pensavamo già di conoscere benissimo - un elefante, un gatto, un cane, un agnello...-, come fossero nuove fiammanti, mai viste prima.
Immagini che suggerivano che per quello specifico gatto, per quel particolare cane, per quell'unico elefante, per quel solo agnello, le correnti definizioni fossero inservibili e che, per far posto a questa schiera di inimitabili creature, andasse rifondata la nostra idea delle cose. Per fare questo, era chiaro, all'osservatore erano necessari silenzio, meraviglia, attenzione, riflessione.
Se oggi guardo le immagini di Cneut e leggo le parole di Piumini, oltre a provare il grande piacere della bellezza a cui sanno dare corpo due talenti evidentemente eccezionali, mi sembra di essere sul punto di capire qualcosa di importante, che però alla fine rimane nascosto, inafferrabile.
Se ci si riflette bene, la parola e l'immagine fanno due cose esattamente opposte, l'una portandoci alle soglie dell'altra.
Da noi escono parole. Da lui, i nomi delle cose. Noi siamo sempre lì, nell'approssimazione del dire. Lui si muove nell'esattezza del pronunciare. Non sappiamo dove si trovi, in lui, questo organo prodigioso in cui le parole sembrano finire per riemergere a battezzare le cose. Però lo percepiamo. Lo immaginiamo, come in certe tavole antiche in cui l'umano si dispiega in un'anatomia fantastica di spiriti, sensi, disposizioni, virtù. E che si tratti dell'endecasillabo di un sonetto o di una filastrocca, la faccenda, a ben vedere, non cambia. Quell'organo - imparzialmente, onestamente, severamente, soavemente, disciplinatamente - lavora nel medesimo modo, con la medesima cura, per la medesima ragione.
Come fa un poeta a sapere che la gloria scarlatta di quell'elefante ha nome Bumpanza? Come avrà inteso che la scioccheria di quell'essere che spunta dalla macchina rossa, sciarpa al vento, fa Popoverme? Da cosa avrà intuito che la mestizia di quel cane in pigiama va sotto il nome di Cagnasito?
Man mano che Roberto Piumini scriveva le poesie di La casa di Topo Pitù, distillando nomi dalle illustrazioni di Carll Cneut (come farebbe un genetista che da un segmento di Dna ricostruisce l'identità del suo proprietario e la sua storia), la nostra casa ha iniziato a riempirsi di ospiti.
Bumpanza, Popoverme, Cagnasito, li abbiamo già nominati, proseguiamo con Ippopotamo Bombò, Lapin Lazzero, Topulo e Lupoto, Cinerella, Piccia Pace... La cosa strana è che a noi sembrava di conoscerli tutti benissimo. No, detto così non va bene. C'era la sopresa di quei nomi nuovi fiammanti a dire cose che avevamo sempre saputo, ma senza saperlo: la fatica e la gioia di esser pesci, gatti, pecore, merli, fenicotteri, conigli, topi, cavalli, grilli, oche, balene... C'era, insomma, la poesia.
I personaggi di questo libro, che abbiamo visto per la prima volta tre anni fa, nell'edizione originale di Querido-De Eehnoorn, alla fiera di Bologna, ci sono parsi subito irresistibili: una popolazione animale eccentrica, indaffarata e industriosa, impegnata in faccende e vicende misteriose, solo apparentemente minime, come quelle che potrebbero far parte della vita e della giornata di un bambino.
E alla fine, abbiamo deciso di acquisire i diritti delle illustrazioni di Carll Cneut, realizzate per illustrare un'antologia in lingua fiamminga sul tema degli animali, incantati dalla loro bellezza, dalla precisione e dall'intenistà del loro dettato.
In cosa sta la straordinarietà di queste figure?
Nel vedere forme ben note, che pensavamo già di conoscere benissimo - un elefante, un gatto, un cane, un agnello...-, come fossero nuove fiammanti, mai viste prima.
Immagini che suggerivano che per quello specifico gatto, per quel particolare cane, per quell'unico elefante, per quel solo agnello, le correnti definizioni fossero inservibili e che, per far posto a questa schiera di inimitabili creature, andasse rifondata la nostra idea delle cose. Per fare questo, era chiaro, all'osservatore erano necessari silenzio, meraviglia, attenzione, riflessione.
Se oggi guardo le immagini di Cneut e leggo le parole di Piumini, oltre a provare il grande piacere della bellezza a cui sanno dare corpo due talenti evidentemente eccezionali, mi sembra di essere sul punto di capire qualcosa di importante, che però alla fine rimane nascosto, inafferrabile.
Se ci si riflette bene, la parola e l'immagine fanno due cose esattamente opposte, l'una portandoci alle soglie dell'altra.
2 commenti:
La fatica (sua) e la gioa (nostra) di essere la Zoboli.
Cneut e Piumini son quel che sono, ma se non fossero stati guardati, intesi e detti così, da lei, l'avrebbero mai saputo?
Noi di certo no.
Monica Rabà
Sarà mio!
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