[di Zosia Dzierzawska]
Quando Giovanna e Paolo mi hanno chiesto di contribuire alla collana Gli anni in tasca con la storia della mia infanzia, sono rimasta stupefatta. Ricordo ancora la passeggiata di ritorno dalla casa editrice verso lo Studio Armad'illo, emozionata, felice e confusa. Ricordo di essermi fermata in strada per chiamare i miei genitori a Varsavia. "Mamma, farò un libro!", dissi, "un libro sulla nostra famiglia!"
Era, cari amici, il novembre 2012.
All’epoca disegnavo da circa un anno e mezzo. Avevo appena terminato il MiMaster di illustrazione, che avevo iniziato quasi per gioco, e stavo ancora cercando di capire se l’illustrazione potesse diventare un mestiere per me e se davvero fossi disposta a farlo. Fino a quel momento non avevo mai realizzato fumetti, nonostante sognassi di scrivere e disegnare un libro intero. Un libro intero? Ero elettrizzata, ma anche terrorizzata. Da dove inizio, mi chiedevo, camminando per corso Lodi in quella sera di novembre.
Così mi tuffai nella realizzazione del fumetto, all’inizio timida e insicura ma con sempre più determinazione, mentre andavo conquistando una maggiore consapevolezza di ciò che realmente significava fare quel libro. Ho iniziato ad annotare le idee in un piccolo taccuino blu che ho ricevuto in regalo da un amico. Ho parlato con i miei genitori e cugini. Ho cercato di capire come tradurre le idee in immagini e la serie di immagini in un insieme coerente. Ho cercato di non forzare la struttura e la simmetria, in modo tale che la storia si sviluppasse secondo il suo ritmo. Mi sono concessa del tempo (un sacco di tempo, con grande apprensione dei miei editori!) per capire cosa dire e come.
Una cosa mi è apparsa chiara fin da subito: il disegno era la parte facile. Richiedeva un sacco di tempo – una quantità pazzesca di tempo – ma rimaneva pur sempre la parte più semplice. Scrivere, concepire delle cose – questa è stata la parte più difficile. Il disegno necessita di tempo, naturalmente, ma con la pratica si acquisisce una certa agilità nel processo: lo scarabocchio illeggibile su una pagina diventa a mano a mano uno storyboard un po’ più definito, poi un profilo a matita chiaro e deciso, finché si trasforma in una pagina finita in Photoshop.
Si può impiegare fino a una settimana per completare una singola pagina (e spesso mi è capitato), ma in quella fase si cammina comunque su un terreno sicuro. La vera lotta è tra la pagina vuota e quel primo scarabocchio illeggibile. La creazione di qualcosa dal nulla. L’unica difficoltà che il passare del tempo non è affatto riuscito a risolvere. Pensare ogni capitolo da zero è rimasta la vera sfida.
Mi era stata data una straordinaria libertà da parte dei Topipittori. Ero libera di sviluppare la storia in qualsiasi direzione volessi. D’altra parte, però, nessuna limitazione significava anche nessuna linea guida. Così ho scritto e riscritto, disegnato e ridisegnato, finché non sentivo che le pagine "funzionavano". Era quello il punto d'arrivo – o funzionavano oppure no, nel qual caso le riscrivevo più volte finché non sentivo che potevano andare. E guardavo, stupita, come un mucchio di pagine bianche si trasforma in qualcosa d’altro; diventa un libro. Ci sono voluti più di due anni ma ecco che, finalmente, la storia ha preso forma. Forse non è un libro perfetto, ma è divertente, è strano ed è certamente fatto con amore. Ne sono davvero orgogliosa, e spero piacerà anche a voi.
Zosia ha scritto questo post in inglese, ecco la versione originale:
When Giovanna and Paolo asked me to contribute to Gli anni in tasca collection with a story of my own childhood, I was astonished. I still remember the walk back from their place to Studio Armad’illo, thrilled, happy and confused; I remember stopping in the street to call my parents in Warsaw. “Mom, I’m making a book!”, I said, “a book about our family!”
That was, dear friends, November 2012.
I had only been drawing for about a year at that time. I was freshly out of an illustration master I had taken up on a whim, and still figuring out whether drawing was something I was capable (and willing) to make a living out of. I had hardly made any comics until then, let alone dreamt of writing and drawing a full-length story. An entire book? I was thrilled, but I was also terrified. How do I even start, I wondered, walking down corso Lodi on that November evening.
So I plunged into the making of the comic, shy at first, unsure, then with more and more determination, and a better sense of what it actually means to be making that book. I started putting down ideas in a little blue notebook I got from a friend. I talked to my parents and cousins. I tried to understand how to translate the ideas into images, and the series of images into a coherent whole. I did not push much for structure or symmetry. I let the story develop in its own pace. I gave myself time (a lot of time, much to the dismay of my publishers) to figure out what to say and how.
One thing became clear pretty quickly – drawing was the easy part. It took a lot of time – it took a crazy amount of time – but it was still the easy part. Writing, thinking up stuff – that was the hard part. Drawing takes time of course, but with practice, you get comfortable with the whole process: the illegible squiggle across a page becomes a slightly better defined storyboard, then it becomes a clear and steady pencil outline, then it becomes a finished page in photoshop. It can take as much as a week to finish a single page (as it often did), but it is still safe territory. The real struggle lies between the empty page and that first, illegible squiggle. The conjuring of something from nothing. That did not get easier with time at all. Thinking up every chapter from scratch remained the real challenge.
I had been given an extraordinary amount of freedom by Topipittori; I was free to develop the story in any direction that I pleased. No limitations, however, also meant no guiding points. So I wrote, and rewrote, and drew, and redrew, until the pages “felt right”. That was it - it either “felt right”, or it didn’t, in which case I would just rewrite it over and over again, until I felt it worked. And I watched, amazed, how a pile of blank pages grows into something; becomes a book. It’s taken over two years for it to take shape, but there you have it. It’s a book that may not be perfect, but it is fun, it is weird, and it’s certainly made with love. I’m really proud of it, and I hope you like it too.
Quando Giovanna e Paolo mi hanno chiesto di contribuire alla collana Gli anni in tasca con la storia della mia infanzia, sono rimasta stupefatta. Ricordo ancora la passeggiata di ritorno dalla casa editrice verso lo Studio Armad'illo, emozionata, felice e confusa. Ricordo di essermi fermata in strada per chiamare i miei genitori a Varsavia. "Mamma, farò un libro!", dissi, "un libro sulla nostra famiglia!"
Era, cari amici, il novembre 2012.
Schizzo. |
All’epoca disegnavo da circa un anno e mezzo. Avevo appena terminato il MiMaster di illustrazione, che avevo iniziato quasi per gioco, e stavo ancora cercando di capire se l’illustrazione potesse diventare un mestiere per me e se davvero fossi disposta a farlo. Fino a quel momento non avevo mai realizzato fumetti, nonostante sognassi di scrivere e disegnare un libro intero. Un libro intero? Ero elettrizzata, ma anche terrorizzata. Da dove inizio, mi chiedevo, camminando per corso Lodi in quella sera di novembre.
Pianificando un capitolo. |
Così mi tuffai nella realizzazione del fumetto, all’inizio timida e insicura ma con sempre più determinazione, mentre andavo conquistando una maggiore consapevolezza di ciò che realmente significava fare quel libro. Ho iniziato ad annotare le idee in un piccolo taccuino blu che ho ricevuto in regalo da un amico. Ho parlato con i miei genitori e cugini. Ho cercato di capire come tradurre le idee in immagini e la serie di immagini in un insieme coerente. Ho cercato di non forzare la struttura e la simmetria, in modo tale che la storia si sviluppasse secondo il suo ritmo. Mi sono concessa del tempo (un sacco di tempo, con grande apprensione dei miei editori!) per capire cosa dire e come.
Il progetto del libro ingombra le pareti... |
Una cosa mi è apparsa chiara fin da subito: il disegno era la parte facile. Richiedeva un sacco di tempo – una quantità pazzesca di tempo – ma rimaneva pur sempre la parte più semplice. Scrivere, concepire delle cose – questa è stata la parte più difficile. Il disegno necessita di tempo, naturalmente, ma con la pratica si acquisisce una certa agilità nel processo: lo scarabocchio illeggibile su una pagina diventa a mano a mano uno storyboard un po’ più definito, poi un profilo a matita chiaro e deciso, finché si trasforma in una pagina finita in Photoshop.
Disegnando con Photoshop |
Si può impiegare fino a una settimana per completare una singola pagina (e spesso mi è capitato), ma in quella fase si cammina comunque su un terreno sicuro. La vera lotta è tra la pagina vuota e quel primo scarabocchio illeggibile. La creazione di qualcosa dal nulla. L’unica difficoltà che il passare del tempo non è affatto riuscito a risolvere. Pensare ogni capitolo da zero è rimasta la vera sfida.
Momenti di disperazione. |
Mi era stata data una straordinaria libertà da parte dei Topipittori. Ero libera di sviluppare la storia in qualsiasi direzione volessi. D’altra parte, però, nessuna limitazione significava anche nessuna linea guida. Così ho scritto e riscritto, disegnato e ridisegnato, finché non sentivo che le pagine "funzionavano". Era quello il punto d'arrivo – o funzionavano oppure no, nel qual caso le riscrivevo più volte finché non sentivo che potevano andare. E guardavo, stupita, come un mucchio di pagine bianche si trasforma in qualcosa d’altro; diventa un libro. Ci sono voluti più di due anni ma ecco che, finalmente, la storia ha preso forma. Forse non è un libro perfetto, ma è divertente, è strano ed è certamente fatto con amore. Ne sono davvero orgogliosa, e spero piacerà anche a voi.
E finalmente il lavoro è concluso! |
Zosia ha scritto questo post in inglese, ecco la versione originale:
When Giovanna and Paolo asked me to contribute to Gli anni in tasca collection with a story of my own childhood, I was astonished. I still remember the walk back from their place to Studio Armad’illo, thrilled, happy and confused; I remember stopping in the street to call my parents in Warsaw. “Mom, I’m making a book!”, I said, “a book about our family!”
That was, dear friends, November 2012.
Sketch. |
I had only been drawing for about a year at that time. I was freshly out of an illustration master I had taken up on a whim, and still figuring out whether drawing was something I was capable (and willing) to make a living out of. I had hardly made any comics until then, let alone dreamt of writing and drawing a full-length story. An entire book? I was thrilled, but I was also terrified. How do I even start, I wondered, walking down corso Lodi on that November evening.
Sketch. |
So I plunged into the making of the comic, shy at first, unsure, then with more and more determination, and a better sense of what it actually means to be making that book. I started putting down ideas in a little blue notebook I got from a friend. I talked to my parents and cousins. I tried to understand how to translate the ideas into images, and the series of images into a coherent whole. I did not push much for structure or symmetry. I let the story develop in its own pace. I gave myself time (a lot of time, much to the dismay of my publishers) to figure out what to say and how.
Designing a chapter. |
One thing became clear pretty quickly – drawing was the easy part. It took a lot of time – it took a crazy amount of time – but it was still the easy part. Writing, thinking up stuff – that was the hard part. Drawing takes time of course, but with practice, you get comfortable with the whole process: the illegible squiggle across a page becomes a slightly better defined storyboard, then it becomes a clear and steady pencil outline, then it becomes a finished page in photoshop. It can take as much as a week to finish a single page (as it often did), but it is still safe territory. The real struggle lies between the empty page and that first, illegible squiggle. The conjuring of something from nothing. That did not get easier with time at all. Thinking up every chapter from scratch remained the real challenge.
Drawing the last chapter. |
I had been given an extraordinary amount of freedom by Topipittori; I was free to develop the story in any direction that I pleased. No limitations, however, also meant no guiding points. So I wrote, and rewrote, and drew, and redrew, until the pages “felt right”. That was it - it either “felt right”, or it didn’t, in which case I would just rewrite it over and over again, until I felt it worked. And I watched, amazed, how a pile of blank pages grows into something; becomes a book. It’s taken over two years for it to take shape, but there you have it. It’s a book that may not be perfect, but it is fun, it is weird, and it’s certainly made with love. I’m really proud of it, and I hope you like it too.
A page of the book. |
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