mercoledì 30 ottobre 2013

Quei magnifici libri di Rosellina

La prossima settimana, il 5 novembre, a Milano, a Palazzo Reale, alle ore 19, inaugura la mostra, Inventario. Fra le parole e le immagini di Emme Edizioni, 1966-1985, a cura di Cristina e Francesca Archinto (produzione e organizzazione di 
Tribù dei lettori, in collaborazione con Hamelin Associazione Culturale).


La mostra, che rimarrà aperta fino al primo dicembre, ha fatto il suo esordio in occasione della Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna, nel marzo di quest'anno, ospitata da Sala Borsa (su Gavroche, un lungo, dettagliato e bel post). Per questo, sicuramente, molte fra le persone che seguono il nostro blog l'hanno già visitata. Tuttavia, questa notizia è davvero importante: che Milano, nella sua sede museale più prestigiosa, accolga questa esposizione, significa riconoscere il lavoro e il talento di chi questa casa editrice ha fondato e diretto per vent'anni, ovvero Rosellina Archinto.


Finora, anche se Rosellina Archinto è persona notissima sulla scena culturale non solo milanese, e anche se Milano è la città dell'editoria, luogo di elezione di gran parte delle più celebrate avventure editoriali del nostro paese, della Rosellina Archinto di Emme Edizioni si è sentito parlare poco o addirittura pochissimo (l'unica mostra a lei dedicata ci risulta sia stata Alla lettera M, organizzata dalla cooperativa Giannino Stoppani, a Bologna, nel 2005). E bisognerebbe chiedersi la ragione di questa lacuna. Il fondato sospetto è che le ragioni fondamentali di questo ritardo siano due: che questa straordinaria impresa fosse dedicata alla letteratura per bambini e ragazzi e che sia stata fondata e diretta da una donna.

Interno di Un giorno un cane di Gabrielle Vincent.

Ieri, in aereo, sfogliando The New York Times, in prima pagina, faceva bella mostra di sé un articolo sui libri cartonati per i più piccoli. Basti questo per riflettere sulla distanza che ci separa da paese più liberi e avanzati dal punto di vista della vita culturale e intellettuale.

La mostra di Milano ovvia a questo mancato riconoscimento. E si propone, con un allestimento tutto fondato sui libri, di far conoscere il magnifico lavoro di questa casa editrice. Perché capire cosa sia stata e abbia significato Emme Edizioni, nel tempo in cui ha operato, ma anche ora, a decenni di distanza, è importante. Perché, anche se nessuno o pochi (fuori dall'ambito degli addetti ai lavori) lo sanno, Emme ha pubblicato i migliori libri per ragazzi del mondo, allineandosi alla migliore produzione libraria internazionale, lanciando e scoprendo meravigliosi talenti, diffondendo la conoscenza di autori e illustratori geniali editi altrove, sperimentando i più diversi generi letterari e le forme del libro, portando nella letteratura per ragazzi le competenze di autori, grafici, artisti di numerosi paesi, fino a quel momento estranei a questo campo, proponendo un modo di guardare all'infanzia e ai libri a essa dedicati (che si trattasse di albi o di narrativa) nuovo e dirompente, approfondendo e divulgando i temi legati ai bambini e alla cultura a loro rivolta, e la loro conoscenza (la collana di saggi Emme comprende nomi come Jean Piaget, Françoise Dolto, Janusz Korczak, Arno Stern...). In vent'anni, infatti, Emme ha creato un catalogo di proporzioni e qualità pedagogica e creativa straordinarie, per ampiezza, profondità, varietà, innovazione, intelligenza, lungimiranza.

Interno di Andromeda SR1 di Heinz Edelmann.

Per dare la misura della modernità di questa avventura, basti dire cosa pensava, in quegli anni, Rosellina Archinto sui libri con le figure: “I nostri libri per bambini si basano prevalentemente sull’immagine poiché il pensiero dei bambini è prevalentemente ‘visivo’; in essi l’aspetto grafico, l’originalità del segno, il colore, la fantasia, l’alternarsi di reale e magico si propongono di corrispondere ai bisogni più profondi del mondo infantile. Abbiamo cercato di fare in modo che i nostri libri si ponessero in sintonia con questo mondo e abbiamo profuso nel nostro impegno la stessa cura e la stessa attenzione tradizionalmente riservate solo ai migliori libri per adulti. La nostra intenzione è dunque rivolta a far sì che il libro possa inserirsi senza sforzo, con naturalezza nel vissuto del bambino, non come ‘oggetto di erudizione’ ma come stimolo di esperienza e conoscenza”.


La mostra ripercorre, attraverso i libri, le tappe fondamentali di questo immenso lavoro: dai più noti, come Piccolo Blu e Piccolo Giallo (Leo Lionni), Il palloncino rosso (Iela Mari), Nella nebbia di Milano (Bruno Munari), Tre feroci banditi (Tomi Ungerer; oggi, Tre briganti), Un giorno un cane (Gabrielle Vincent) La coccinella semprearrabbiata (Eric Carle; oggi, La coccinella prepotente), che tuttora fanno la fortuna di diversi altri editori, a perle oggi sconosciute come Andromeda SR1 (Heinz Edelmann), Bric à brac (Mitsumasa Anno), Il re delle siepi (Uta Galuber), Alfazoo (Alfredo De Santis), Sembra questo sembra quello (Maria Enrica Agostinelli), solo per citarne alcuni.

Cogliamo l'occasione per annunciare che il 21 novembre, alle ora 19, a Palazzo Reale, durante la mostra Inventario, presenteremo la monografia La Casa delle Meraviglie. La Emme Edizioni di Rosellina Archinto, curata da Loredana Farina e da noi pubblicata (il libro è in stampa in questi giorni).


Il volume è il risultato della ricerca, durata diversi anni, che Loredana Farina ha svolto su Rosellina Archinto, la Emme Edizioni e il suo catalogo, e contiene, oltre a una lunga e dettagliata intervista alla Archinto, dieci saggi che analizzano la produzione Emme nei suoi diversi aspetti (le relazioni con l'editoria straniera; i rapporti con gli autori e gli illustratori;  gli albi, la saggistica, la narrativa; l'innovazione grafica; lo sguardo pedagogico; il progetto di enciclopedia; i contributi sono firmati da Paolo Canton, Valentina Colombo, Nicola Galli Laforest, Elena Massi, Giulia Mirandola, Luigi Monti, Marta Sironi, Ilaria Tontardini, Emilio Varrà; più una dettagliata disamina cronologica del catalogo Emme curata da Alessandra Mastrangelo; il tutto con la supervisione editoriale di Valentina Colombo e la grafica di Guido Scarabottolo e Michela Granata).
Inutile dire che siamo molto contenti di aver avuto l'occasione di editare questo libro che va a colmare una lacuna nell'ambito della pubblicistica dedicata alla storia dell'editoria.




Perché il titolo La Casa delle Meraviglie? Per tante ragioni, una delle quali legata al romanzo Kim, di Rudyard Kipling, come è spiegato in una delle prefazioni al libro. Ma non solo. Un'altra la spiega la stessa Rosellina, in questa breve intervista.



lunedì 28 ottobre 2013

Un torchio in salotto

In un pomeriggio del marzo del 1917, due giovani sposi escono dalla propria casa di Paradise Road, a Richmond, per andare a Farringdon Street, nel cuore della City di Londra, a comprare i giornali. Lungo la loro strada, la loro attenzione viene attratta dalle vetrine di un venditore di macchinari e attrezzature per la stampa. Gli strumenti della tipografia sono spesso affascinanti a vedersi: rimanemmo a fissarli attraverso la vetrina più o meno come due ragazzini affamati avrebbero guardato focaccine e dolci esposti in una pasticceria. 

Da circa un anno la coppia tentava di imparare a stampare, scontrandosi con una macchina sociale che impediva di insegnare l'arte della stampa a due borghesi di mezza età. E così i due decidono di entrare nel negozio e di esporre il proprio desiderio a un affabile commesso in tuta marrone. Prima di andarcene, avevamo comprato un piccolo torchio, dei caratteri Caslon Old Face e tutti gli utensili e i materiali necessari, per una somma di 19 sterline, 5 scellini e 5 pence, oltre a un manualetto di sedici pagine che li avrebbe guidati nell'apprendimento della tecnica.

La copertina e alcune pagine di Two Stories,
il primo libro dellaHogarth Press di Leonard e
Virginia Woolf. (da qui)
La consegna del torchio al domicilio di Leonard e Virginia Woolf, Hogarth House, avvenne il 24 aprile. Non essendo disponibile una collocazione più adatta, la piccola macchina da stampa viene sistemata in sala da pranzo. Il 3 maggio 1917 Leonard e Virginia Woolf iniziano a stampare Two Stories la loro prima pubblicazione: Un volumetto rilegato in cartoncino contenente due racconti, uno scritto da Virginia e uno da me [...] Il racconto di Virginia era The Mark on the Wall e il mio Three Jews. Fummo anche così temerari da stampare quattro xilografie di [Dora] Carrington. La produzione del volumetto è ultimata all'inizio di luglio.

Nel frattempo, i Woolf iniziano a promuovere la vendita per corrispondenza, attraverso un messaggio assai ingenuo secondo i parametri del moderno direct marketing. Due lettere di Virginia danno un'idea precisa dell'entusiasmo neofita dei Woolf per la nuova attività e della loro elementare strategia commerciale: «Eccoti alcuni dei nostri annunci, nel caso tu possa distribuirli alle persone importanti. Non c'è niente nei racconti che possa turbare il re, in effetti sono molto blandi. Abbiamo appena finito di stampare dopo tre ore di lavoro – è così affascinante che riusciamo a fatica a smettere.» [a Violet Dickinson, maggio 1917].


«Ti ho mandato una busta da mezzo penny con l'annuncio della nostra prima pubblicazione. Abbiamo scoperto di avere solo 50 amici al mondo – e per la maggior parte avari. Riesci a pensare a qualche persona generosa – non c'è bisogno che sia molto generosa – di cui potresti mandarmi il nome? Se fosse possibile, te ne sarei grata.” [a Lady Ottoline Morrell, maggio 1917].


Alla fine di luglio, Two Stories è quasi esaurito: delle 150 copie di tiratura, ben 124 sono già vendute. Sull'onda del primo successo, i Woolf decisero di continuare a stampare e pubblicare allo stesso modo poesie o altre brevi opere che i soliti editori non avrebbero mai preso in considerazione.


Nasce così in maniera avventurosa e inconsueta The Hogarth Press. Fra quanti ne videro gli esordi, molti si sorprenderebbero di quanta strada sia riuscita a percorrere questa casa editrice che, nata quasi per caso, come empirica cura a una depressione, ha quasi superato il secolo di attività. Ma se fosse solo per questa sua inopinata longevità, Hogarth Press attirerebbe pochissima attenzione da parte dei bibliofili e degli studiosi di letteratura. La sua fama deriva, infatti dalla totale identificazione con i suoi artefici, con le loro idee, il loro gusto e l'influenza che ebbero sulla cultura del tempo. Protagonisti della vita intellettuale inglese della prima metà del Novecento, entrambi scrittori e critici letterari, animatori di quel fertilissimo circolo che oggi è noto come “gruppo di Boomsbury”, Leonard e Virginia Woolf si dimostrarono, come editori, capaci di notevoli innovazioni.



Diversamente dalla maggioranza delle private press che nacquero in Inghilterra ala fine del diciannovesimo secolo, sotto l'influenza di William Morris e dell'Arts and Crafts Movement, la filosofia editoriale di Hogarth Press era concentrata in prevalenza sul contenuto dei libri più che sulla loro forma grafica: non volevamo che Hogarth Press diventasse una di quelle (a loro volta ammirevoli) piccole e piccolissime case editrici il cui fine è la produzione di libri raffinati, destinati non alla lettura ma alla contemplazione. Noi eravamo interessati al lato immateriale del libro, a ciò che un autore aveva da dire e a come lo diceva... 

Qui e sotto: le quattro xilografie di Vanessa Belle per Monday or Tuesday (1921)
Ciò significò, in termini pratici, creare collane letterarie che concedessero spazio a quei narratori e poeti, poco noti o inediti, che mettevano in discussione i canoni formali della tradizione reando linguaggi idonei a esprimere nuovi punti di vista e ad affrontare problemi antichi in modo innovativo. Significò, inoltre, pubblicare saggi su temi controversi quali la Lega delle Nazioni, l'imperialismo, i pregiudizi razziali, la corsa agli armamenti, il socialismo.



Hogarth Press si distinse, dunque, come casa editrice d'avanguardia nella pubblicazione di nuovi autori e nella diffusione di nuove idee. Questa attenzione particolare alla qualità letteraria e intellettuale non impedì comunque a Leonard e Virginia Woolf di pubblicare libri esteticamente apprezzabili e, anche sotto questo aspetto, rivoluzionari. Gli artefici della grafica delle pubblicazioni di Hogarth Press furono la sorella di Virginia, Vanessa Bell [una rassegna dei suoi quadri qui], che fu tra l'altro l'ideatrice del marchio della casa editrice, e un gruppo di artisti che facevano riferimento all'Omega Workshop. [Repertori dei lavori degli artisti affiliati a Omega Workshop qui e qui]



Ciò che colpisce maggiormente nelle pubblicazioni della Hogarth Press è il contrasto fra l'estrema sobrietà dell'impianto grafico, che utilizzava un carattere classico come il Caslon Old Face e una gabbia di grande semplicità, e la gaiezza e brillantezza delle copertine, che spesso disorientarono i recensori delle prime opere pubblicate. Cercammo con grande cura la carte delle copertine; [per Two Stories] ne trovammo una di riso, allegra e piuttosto insolita. Per anni dedicammo molta cura e molto tempo alla ricerca di carte belle, particolari e vivaci con cui rilegare i nostri libri; fummo i primi a farlo e credo che abbiamo dato origine a una moda, poi seguita da molti altri editori di più antica tradizione.


Oltre alle copertine in carta, con un semplice titolo stampato in Caslon, Hogarth Press utilizzò spesso decorazioni e illustrazioni xilografiche. Non è comunque straordinario trovare esemplari della stessa pubblicazione rilegati in modo molto diverso: l'artigianalità della lavorazione e il desiderio di sperimentazione hanno prodotto infinite varianti di legatura, per il tormento dei bibliografi e la delizia dei bibliofili. Fra gli artisti incaricati di realizzare le incisioni per Hogarth Press, Vanessa Bell fu la più attiva: a lei si devono moltissime copertine e le illustrazioni di innumerevoli volumi. Fra gli altri vale la pena ricordare Roger FryDuncan GrantEnid Marx ed Eric Gill.

Kew Gardens: una variante di copertina (da qui)
La contraddizione fra la giocosa levità della veste grafica e l'estremo rigore dei contenuti è solo apparente e trova spiegazione nel concetto ideale di cultura dei Woolf: una cultura che non poteva e non doveva prescindere dall'ironia e dall'autoironia e che aborriva l'esibizione seriosa e l'erudizione.
Ovviamente, scelte tanto estremiste avevano un prezzo in termini commerciali, ma, nonostante questo, affidandosi alle vendite per corrispondenza e al sostegno di un ristrettissimo gruppo di librai, Hogarth Press riuscì a rimanere sempre autosufficiente, anche grazie a una crescita costretta entro limiti ragionevoli dal desiderio dei Woolf di non impegnarsi a tempo pieno nell'attività editoriale.


Nei primi quattro anni, il catalogo Hogarth Press raggiunse gli undici titoli. Dopo Two Stories apparvero Poems di Sidney Woolf, fratello di Leonard, e Prelude di Katherine Mansfield, nel 1918; Poems di T. S. Eliot, Paris. A Poem di Hope Mirrless, The Critic in Judgement di J. Middleton Murray, Kew Gardens di Virginia Woolf, con incisioni di Vanessa Bell, e The Mark on the Wall di Virginia Woolf, nel 1919; Stories from the Old Testament di Logan Pearsall Smith, The Story of the Siren di E. M. Forster e Reminiscences of Nicolayevitch Tolstoi di Maxim Gorky, tradotto da Leonard Woolf e S. S. Koteliansky, nel 1920.



Ovviamente non tutti i libri furono stampati nella sala da pranzo di Hogarth House: quattro furono stampati da Leonard con una macchina piano-cilindrica alla Prompt Press e uno dalla Pelican Press.


Kew Gardens e Reminiscences di Gorky furono i due grandi successi editoriali della neonata Hogarth Press. È bene sottolineare che entrambi questi titoli produssero un reddito, per quanto modesto: alle fine dei primi quattro anni, i profitti della casa editrice ammontavano a 98 sterline.



Nei quattro anni successivi, l'attività editoriale dei Woolf fu caratterizzata da una crescita costante e dai primi riconoscimenti pubblici. A coronare il successo, nel 1924 venne loro affidata la pubblicazione dell'edizione inglese degli atti della Società Internazionale di Psicoanalisi di Vienna, che faceva capo a Sigmund Freud. In campo letterario, oltre a continuare il fecondo rapporto con T. S. Eliot e con altri giovani autori inglesi, la casa editrice intensificò l'attività di traduzione, soprattutto dei maggiori autori russi contemporanei. In quel periodo presero anche forma alcune collane ancora oggi attive, come la saggistica economico-sociale (che vide fra i collaboratori John  Maynard Keynes), la critica letteraria e la critica d'arte.


Il 1924 fu un anno cruciale. Fu allora, infatti, che i Woolf decisero di abbandonare Hogarth House e di trasferirsi a Londra, al 52 di Tavistock Square, nel cuore di Bloomsbury. La necessità di profondere maggiore impegno in questa attività spinse i Woolf a cercare collaboratori meno occasionali e più dedicati dei volontari che li avevano aiutati fino a quel momento.



Con una sede vera e propria (anche se nello scantinato di Tavistock Square) e personale fisso, Hogarth Press si trasformò da attività amatoriale in impresa editoriale e, senza perdere la propria identità, iniziò a essere governata come tale. Nel 1939, una quota di partecipazione fu ceduta a John Lehmann, dipendente della casa editrice dal 1931. Nel gennaio 1946, questi manifestò l'intenzione di interrompere il proprio rapporto con Hogarth Press; Leonard Woolf, ancora scosso dal suicidio della moglie, avvenuto nel 1941, temendo di non riuscire a gestire l'impresa con le sole proprie forze, decise di cederla al gruppo Chatto + Windus, oggi parte della sterminata galassia Random House, attuale proprietario e gestore del marchio.


Le citazioni in corsivo sono tratte dall'autobiografia di Leonard Woolf, pubblicata in 5 volumi fra il 1960 e il 1969 da Hogarth Press e parzialmente tradotta in Italiano da Serra e Riva (1989) con il titolo La mia vita con Virginia. Altre notizie possono essere ricavate dall'epistolario di Virginia Woolf e, in particolare dal volume Le cose che accadono: 1912-1922 (Einaudi, 1980) e dai diari della stessa, pubblicati in edizione tascabile in cinque volumi da Penguin Books. Una bibliografia completa delle opere pubblicate dalla Hogarth Press dal 1917 al 1946 in Howard J. Woolmer, A Checklist of the Hogarth Press 1917-1946 (St. Paul Bibliographies, 1986).

Questo articolo era già comparso su L'Esopo. Rivista trimestrale di bibliofilia, nel giugno 1992, quando ancora non sapevo che sarei diventato editore (si parva licet). Ringrazio Claude Marzotto Caotorta, che non sa di avermelo fatto ricordare. [pc]

venerdì 25 ottobre 2013

Il sorriso di un ippopotamo felice

E chi mai avrebbe sospettato che una ninna nanna, una innocua, semplice, innocente ninna nanna a base di pisolini, plaid, cuscini, lucine, pigiami, ciabatte e camicie da notte avrebbe messo in piedi un tale pandemonio? Da un piccolo errore, paragonabile al celeberrimo battito di ali della farfalla di René Thom, ecco quale uragano si è scatenato. 
Prima due nonni che ci scrivono, chiedendoci ragione della scomparsa degli otto ippopotami dalle illustrazioni di Simona Mulazzani, colpevoli di aver tolto il sonno all'adorato nipotino. 
Poi la confessione ufficiale sul nostro blog, in cui, scusandoci coi nostri lettori, spieghiamo, umiliati, la ragione della scomparsa dei pachidermi, volatilizzatisi a causa di una distrazione dell'editore. 
Infine, l'ultimo colpo di scena: quest'estate, un po' da tutto il mondo, alla spicciolata, sono iniziate ad arrivarci alcune strane cartoline. Chi ce le ha inviate e perché, lo scoprirete leggendo questa lettera che, ve lo giuriamo sulla testa dei Topi, non abbiamo scritto noi.

Carissima sig.ra Zoboli,

le scrivo questa lettera per salutarla, come credo abbiano già fatto tutti i miei cugini durante questa calda estate.
Come ben saprà a causa di quel delizioso disguido avvenuto tra le pagine del vostro libro, non appena compreso come l’unico divano illustrato fosse stato occupato, noi otto restanti ci adoperammo per trovare una nuova dimora.
Nessuno fu preso dal panico e quasi tutti, all’oggi, hanno scovato una piacevole sistemazione.



Il primo, Faust, si diresse verso Francoforte. Appassionato di metafisica (avrebbe dovuto sentirle, quando era in ammollo nella pozza di famiglia, le sue disquisizioni sul perché dell’universo e sull’anima degli ippopotami), là si è iscritto alla facoltà di filosofia e mi dicono abbia seguito con profitto tutti i corsi del primo anno.



Jiri, l’ippopotamo numero due, si trasferì di corsa a Praga. Condivide una soffitta con cinque gargoyle e il mercoledì, il giovedì e il sabato sera suona il sax all’Agharta Jazz club. Occasionalmente, quando uno dei suoi compagni di appartamento è indisposto, lo si può trovare come sostituto su una guglia della cattedrale di San Vito.


Giovanni, il terzo ippopotamo, ora vive beatamente a Cefalù; si fa chiamare Turiddu e si spancia tutto il giorno di arancini di riso e granite al caffè. Quando si sente appesantito va a fare quattro passi su qualche spiaggia assolata, mostrando a tutti con fierezza come un costume rosso a righe larghe stia bene anche a chi ha qualche chiletto in più.


Da Londra dovrebbero esserle arrivati i saluti del quarto, Carl. Ora è Gran Cerimoniere tra gli animali della Regina; purtroppo non so dirle altro perché è sempre stato un tipo molto riservato e, d’altronde, vista la sua nuova delicata carica, capirà come questo si sia rivelato un vantaggio.


Il quinto è Sean, che a New York ha realizzato il suo sogno: ha finalmente aperto un negozio di cappelli. In Africa con qualche piuma e un po’ di sterpaglie intrecciate riusciva a plasmare copricapi che avrebbero resa carina e presentabile anche la più malconcia delle iene. Proprio ieri mi ha scritto che un suo modello esclusivo è stato richiesto in gran segreto anche alla Casa Bianca; quindi, se la prossima volta la first lady apparirà finalmente con un cappellino, io e lei sapremo quali siano state le abili zampe che lo hanno creato.

Teresa, la sesta, non è mai stata a suo agio nella piatta savana e, credo, fu la prima a prendere un aereo quando quel giorno se ne presentò l’occasione. Che lei ci creda o no, ora fa la guida alpina sulle Dolomiti, ha aperto una nuova via sul Pelmo (una 7c, a essere precisi, e l’ha chiamata Il ruggito del re), trova funghi come un segugio e mangia a sere alterne polenta concia e ricotta affumicata.

Non ho idea del perché Achille, il settimo, abbia scelto proprio la Grecia e Atene. In realtà lui è un mattacchione con doti d’avanspettacolo e l’avrei visto bene su qualche palcoscenico d’oltreoceano. Però c’è da morir dal ridere quando racconta dei suoi scherzi ai piedi del Partenone: si dipinge di bianco e si finge una statua, obbligando professori di greco con scolaresca al seguito e guide poliglotte con ombrellino alzato a spiegare la sua presenza tra le rovine con fantasiosi racconti epici su una nuova ippopotama divinità dell’Olimpo (va matto anche per l’ouzo, ma questo rimanga tra noi).


E dunque siamo giunti a me, che sono Otto, l’ottavo ippopotamo. Vista la cosa che le sto per chiedere, e dunque non certo per vantarmi, posso portarle come referenza la mia attività di redattore capo per cinque anni alla Gazzetta del Baobab; ho scritto anche un piccolo libercolo intitolato Al mio procedere selvaggio: una sorta di Kerouac per artiodattili, arrivato ormai alla quinta edizione e che ancora oggi furoreggia tra i banchi dei nostri liceali. Mi chiedevo, dunque, visto che a differenza dei miei cugini io non ho ancora trovato un luogo dove stare, se le potesse interessare un correttore di bozze lì, in ufficio dai Topi. Potrei affiancare Paolo in sua assenza, controllare la sig. ra Mulazzani quando disegna insetti, ma soprattutto, nel caso dovesse capitare ancora qualche piccolo incidente come quello dei nostri mancati otto divani, sarei lì a consolarvi e a ricordarvi come non sia poi così grave: in fondo noi ora siamo otto storie nuove e, decisamente, otto ippopotami felici. E lei non ha idea di quanto sia largo il sorriso di un ippopotamo felice.


È felice anche Nana, la nona ippopotama, la dormigliona che si accaparrò l’unica chaise longue disponibile. Io credo che ogni bambino abbia diritto a un buon libro e a una buona notte; quando il buon libro scelto per una buona notte sarà quello dei Pisolini, stia sicura che Nana sarà felicissima di invitare tutti a un molle sonno: come sussurra lei “Buonanotte miei cari”, non c’è nessuno.

Un affettuoso saluto

Otto

PS: Nel caso io fossi a Milano il 2 o il 3 ottobre, troverei qualcuno in viale Isonzo per una visita di cortesia? 45 minuti, non di più (così mi diceva mia nonna che di queste cose ne sapeva. Non vorrei disturbarvi troppo). Se mi facesse sapere gliene sarei grato.
Ancora cordialmente
 o.

La foto che ritrae Otto Ippo, è stata scattata in occasione della su citata visita del 2 ottobre. Otto Ippo, oggi, ha cominciato una collaborazione con la nostra casa editrice. Per ora bagna le piante e serve il tè delle cinque (la punta alle matite continuiamo a farcela da soli, però, per non umiliarlo). Poi, chissà, se si dimostrerà affidabile, passerà a mansioni di maggiore responsabilità.

mercoledì 23 ottobre 2013

Il gioco della lettura

Il 26 ottobre, alle 18 e 30, inaugura a Sarmede, alla Casa della Fantasia, Le immagini della fantasia. La mostra non ha bisogno di presentazioni. Per presentarvi lo spirito di questa trentunesima edizione, crediamo non ci sia modo migliore di un brano tratto dal catalogo, firmato dalla curatrice della mostra, Monica Monachesi. Quest'anno partecipano alla mostra quattro nostre autrici: Simona Mulazzani, con le illustrazioni per Il grande libro dei pisolini; Katrin Stangl, con Forte come un orso; Camilla Engman con le immagini di C'era una volta una storia; Beatrice Alemagna, che presenta due tavole del nuovo libro che uscirà a primavera con un titolo ancora così provvisorio che non lo citeremo. A queste immagini sono accostate le presentazioni che alla mostra accompagnano le figure.


Il dono di vedere  
di Monica Monachesi

Fuori dagli scaffali, fuori dalle pagine dei libri, ma mai senza di loro, accomodate in grandi finestre sul pubblico, ecco le immagini della fantasia venute da ogni dove che ci invitano a guardare, ad ascoltare le loro storie, a esercitare il nostro pensiero e ad accogliere ammirati innumerevoli nuove, stupefacenti invenzioni.
Elasticità, curiosità, entusiasmo, questo ci chiedono le immagini della fantasia, le immagini dei libri per l’infanzia. Siamo chiamati a un gioco molto serio, al quale i bambini sanno giocare meglio di tutti: il gioco della lettura.
Sgombri da convenzioni e preconcetti, incessantemente desiderosi di conoscere, vedere, toccare, dire, fare, i bambini accolgono con molta intensità ogni invito alla lettura, possono e devono potersi confrontare con libri che non siano limiti, ma inaspettati nuovi spazi di pensiero e di vita emotiva.
Nell’epoca in cui, attraverso le immagini dirette, ai bambini si vende di tutto, la bellezza è anche un’arma preziosa. Spiacevole parlare di armi, certo, parliamo allora di capacità critica, di sapere istituire confronti, di vedere le cose in prospettive nuove, di attingere a immaginari diversi, non solo a quelli somministrati dalla pubblicità e da prodotti seriali ‘per bambini’.

Riflessioni che si risolvono, giorno dopo giorno, in gesti semplici e in momenti che si potrebbero sottovalutare, presi dalle faccende delle nostre vite. Porgere a un bambino un libro degno delle sue capacità, condividere con lui pensieri e fantasie, condurlo a visitare una mostra, ad ascoltare un autore, a disegnare in un laboratorio, insistere con convinzione nel privilegiare esperienze significative.
Un impegno non da poco che richiede costante informazione, ma promette grandi risultati, a volte così profondi da essere quasi invisibili.
Una mostra come Le immagini della fantasia è un serbatoio di idee e di possibilità che non si esaurisce nel numero delle opere, degli autori, degli editori partecipanti, ma sottende innumerevoli e misteriosi percorsi, che sono quelli che ciascuno di noi può scegliere e creare in modo individuale approfondendo, cercando, trovando.
Chi può sapere, infatti, fin dove si può arrivare sul filo di una storia, di un’idea, di un’ispirazione?

Katrin Stagl, illustrazione per Forte come un orso.
A volte i libri nascono così. Ho realizzato due serigrafie per la mia bambina appena nata: un orso che fa a braccio di ferro con una bambina e un bimbo seduto a giocare assieme a una volpe con formine di legno colorato.
“Forte come un orso” e “Astuto come una volpe”.
Le due immagini stavano nella sua cameretta.
Quando avevamo visite, spesso i nostri amici ricordavano altri paragoni proverbiali.
“Affamato come un lupo”, “Lento come una lumaca”.
Mi è sembrato bello raccoglierli tutti e illustrarli, così è nato il libro.
Lo dedico a Helene e a tutti gli altri bambini! 


Katrin Stangl, su Forte come un orso


 

Quando scrivo un testo pieno di animali, lo faccio pensando a un illustratore: Simona Mulazzani. È   andata così anche per Il grande libro dei pisolini, che idealmente chiude la trilogia preceduta da Al supermercato degli animali e Vorrei avere, libro che è stato pubblicato in sette paesi e ha appena vinto la Silver Medal della Society of Illustrators di New York. Le immagini di animali di Simona sono la perfetta trasposizione poetica del sentimento profondo e spontaneo che mi legava agli animali quando ero piccola. Sono silenziosi e carichi di mistero, e nello stesso tempo, fratelli di sangue. E sono bellissimi, e questo è determinante perché la sorprendente bellezza delle forme animali è uno degli elementi fondamentali della relazione uomo-animale. Non è una novità: è quello che si osserva in tutte le gallerie d'arte, i musei archeologici, i templi, le collezioni di artigianato del mondo. Al Louvre davanti alla maestria degli egizi nel rappresentare le forme animali, si rimane quasi costernati dal livello di perfezione. Quello che fa Simona, oltre che rappresentare, è raccontare gli animali, trasporli nella lingua emotiva e affettiva dei bambini, senza però snaturarne la verità. Tutti i bambini sognano di essere cavalli, tigri, leoni, uccelli, cani... Simona lo sa. In ognuna delle sue bestie sta acquattato un bambino invisibile, e questa è la sua carta vincente.   

Giovanna Zobolisu Il grande libro dei pisolini, illustrazioni di Simona Mulazzani

Simona Mulazzani, illustrazione per Il grande libro dei pisolini.

Vi piacciono le storie? Che storie vi piacciono? Chi vi racconta le storie? Chi inventa le storie? Cosa vuol dire raccontare una storia? Che cos’è una storia? E, dove abitano le storie?
Le storie ci sono grazie a chi le racconta. Se racconti una storia, e non solo se la scrivi e la inventi, la fai vivere, metti al mondo dei personaggi, dei mondi che prima non c’erano, oppure c’erano ma nessuno li aveva notati.
Quindi inventare storie e raccontarle sono modi di dare vita alle cose, è far sì che una cosa che ci ha colpito, che ci è sembrata bella e importante, sia anche di altri, li raggiunga: raccontare è un regalo che si fa a se stessi e agli altri. Per questo ai bambini e ai grandi piacciono le storie: perché sono regali bellissimi che ci si fa. A raccontarle e ad ascoltarle. Le storie le raccontiamo alle persone che ci sono vicine, perché pensiamo che se hanno fatto bene a noi, faranno bene anche a loro.
Le storie per questo vanno dappertutto e hanno molte case: non abitano in un luogo solo, ma continuano a spostarsi, a cambiare. Sono magiche perché rimangono ad abitare nei libri che abbiamo fra le mani, e in ognuno di noi, ma nello stesso tempo vanno a stare in altri luoghi, altri libri, altre persone, posti che possono essere lontani migliaia di chilometri, come il sole, la luna, il cielo.


Giovanna Zoboli, su C'era una volta una storia, illustrazioni di Camilla Engman 

Camilla Engman, illustrazione per C'era una volta una storia.

Mi piace molto seguire il lavoro dei nostri illustratori, sapere quello che stanno facendo. Osservare le novità, il loro stile che si evolve, muta, a volte anche radicalmente. Da circa un anno, seguivo sul sito the topsy-turvy book di Beatrice Alemagna i suoi nuovi disegni. Mi piacevano immensamente, e ho pensato subito che fare un libro con quello stile nuovo, così lieve, sorprendente, sbilenco e sorridente, mi sarebbe piaiuto molto. Poi, un giorno, Beatrice ci ha mandato un testo, chiedendoci cosa ne pensavamo. Il testo era magnifico, perché, come se non bastasse e come è noto, Beatrice è anche bravissima a raccontare con le parole. In più quella storia aveva il sapore e le atmosfere delle nuove immagini. Perciò, subito le dicemmo che ci sarebbe piaciuto pubblicarla. Così è cominciato  Brutti, storti e malfatti: un racconto surreale con dei personaggi irresistibili, un ritmo perfetto e una fine da manuale. Fra queste pagine si respira spirito infantile allo stato puro. Come faccia Beatrice a essere un'artista così perfettamente padrona dei suoi strumenti, cioè adulta e matura, e così perfettamente e incrollabilmente fedele all'infanzia, senza cadere in alcuno stereotipo, è un mistero. Spesso sento dire che i suoi personaggi, i suoi bambini sono “brutti”. Ecco, adesso finalmente con questo libro sarà chiaro a tutti di che tipo di bruttezza si tratta.

Giovanna Zoboli a proposito del nuovo libro Beatrice Alemagna, in uscita per Topipittori a primavera 2014.

Beatrice Alemagna, illustrazione per il prossimo albo Topipittori, in uscita nel 2014.