mercoledì 30 settembre 2015

Esperienze /8: Far parte di una fucina

Rossana all'opera a Sàrmede.

Quest’anno volevo partecipare a un corso d’illustrazione ma sentivo la necessità di trovare un insegnamento che andasse oltre la realizzazione di una o due immagini.
Volevo trovare un corso in cui l’illustrazione fosse pensata e realizzata in funzione del libro.
Il corso Progettare libri tenuto da Paolo Canton l’avevo già fatto, anche il Progettare Libri 2. Dovevo cercare altrove.
Alla Bologna Children’s Book Fair, presso lo stand delle Immagini della fantasia, la scuola d’illustrazione di Sarmede ho assistito alla presentazione del corso Illustriamo un libro di Valeria Bertesina.
Mano a mano che Valeria parlava con quel suo tono preciso e calmo io rimanevo impigliata tra le sue parole. L’obiettivo del corso era la realizzazione di una o più illustrazioni per un libro che sarà pubblicato dalla casa editrice Tassotti a dicembre 2015. Il libro contiene una piccola raccolta di poesie scelte tra i classici.

Al lavoro, nonostante il caldo, nella storica sede di Rugolo.
Avevo trovato il corso adatto a me, c’era solo un problema, alla fine della presentazione, i posti disponibili erano esauriti.
Non mi sono data per vinta, infiltrata nella lista d’attesa e grazie alla disponibilità di Valeria e dell’editore Tassotti, che ha acconsentito ad aggiungere un quartino al libro, sono riuscita a partecipare.
Un mese prima dell’inizio di Illustriamo un libro, Valeria ha inviato agli allievi il testo delle poesie in modo che potessimo leggerle, sceglierne un paio e cominciare a riflettere sulle possibilità d’interpretazione e illustrazione e magari realizzare qualche bozzetto.

Jani Lunablau.
Sandrine Duc.
La seconda settimana di luglio a Sarmede faceva un gran caldo e fin dal primo giorno di corso è stato subito chiaro che avremmo sudato parecchio e non solo per l’alta temperatura.
Valeria ha cominciato considerando le poesie che ogni allievo aveva scelto e gli eventuali bozzetti fatti, così da assegnare a ognuno di noi la poesia più adatta da illustrare.
Dovevamo realizzare una o più illustrazioni per la poesia da inserire nel libro, una o anche due illustrazioni sempre legate alla poesia per la mostra itinerante che accompagnerà l’uscita del libro, un’immagine per la copertina, che sarebbe stata scelta dall’editore, proporre almeno tre titoli.
Valeria ci ha richiesto anche di scrivere il colophon. Ho così imparato che nei libri d’artista il colophon non è composto solo dai dati informativi consueti ma anche dall’indicazione della tiratura, dalla genesi del libro, dai nomi delle persone coinvolte, ed eventuali aneddoti.
Insomma il colophon diventa un piccolo, prezioso racconto di quel che è l’oggetto libro che si tiene in mano.

Anita Cerpelloni.
Oana Alexandrescu.
Sono rimasta affascinata dal mondo lavorativo e professionale che riguarda il libro d’artista del quale Valeria ci ha fornito utili e interessanti informazioni, relative anche al mondo dell’arte in generale.
La mole di lavoro da svolgere era tanta e non facile ma il gruppo di diciassette persone, scelte personalmente da Valeria visionando i portfolio e in base alla tecnica usata da ognuno in modo da avere una grande varietà di immagini all’interno del libro, ha dimostrato coesione e concentrazione.
Io ho riscontrato grande professionalità e capacità tra i miei compagni come raramente mi era capitato a un corso. In realtà non sembrava neanche di partecipare a un corso, ma di far parte di una fucina creativa (credo che questa parola mi sia stata suggerita dalla sensazione di caldo che ancora mi porto addosso) in cui si respirava un’aria intensa, ricca di scambio di competenze in funzione della realizzazione di un lavoro comune, di una pubblicazione. 
Durante il corso il gruppo è stato anche supportato e seguito da due assistenti, Roberta Campagnolo e Antonia Conte.
Rossana Bossù.
Laura Toro Bermejo.
Valeria è un’insegnante di grande esperienza, molto competente e professionale, mette a disposizione dell’allievo la propria conoscenza come artista e come curatrice di mostre d’arte, ma è anche severa, quella severità che ti porta a sperimentare, non accontentarti della prima versione, ricercare, provare, sfruttare appieno il proprio modo di esprimersi senza prendere scorciatoie. 
In questo caso, in cui il lavoro di ognuno doveva confluire in un progetto comune, la richiesta di professionalità era ancora più alta. L’editore Tassotti ha messo a disposizione un grafico che durante il corso ha scansionato le immagini e ha iniziato il lavoro d’impaginazione, così tutti hanno avuto la possibilità di comprendere in pratica le necessità tecniche, le problematiche e i vari passaggi in funzione del prodotto libro.
Sì perché, come ha ripetuto mille volte Paolo Canton durante i suoi corsi, anche in questo caso Valeria ha voluto sottolineare la questione: l’immagine, l’illustrazione, se in funzione di un libro, non va considerata come entità a sé ma come parte di un tutto. Se come illustratori, quando creiamo un’immagine, pensiamo a essa come a un libro che comprende il testo, la narrazione, il formato, l’impaginazione, il tipo di carta e di rilegatura, la stampa, in cui ogni elemento è legato all’altro, faremo sicuramente un lavoro migliore.

Elide Piras.
A inizio corso Valeria ci ha detto che il plurale di Illustriamo un libro indicava proprio un lavoro di gruppo a cui anche lei avrebbe contribuito non solo con l’insegnamento e il supporto durante la creazione delle illustrazioni. Una volta terminate le immagini è iniziato il lavoro difficile di Valeria nel dare la giusta sequenza alle illustrazioni all’interno del libro, impresa non facile considerata la profonda diversità di tecnica e di realizzazione.
Qualche settimana fa abbiamo potuto vedere una bozza del libro, sfogliandolo si percepisce tutto il lavoro e l’impegno del gruppo nel realizzarlo.
Nonostante tutti i nostri sforzi ci è mancato il tempo di proporre il colophon e la copertina del libro, di quest’ultima abbiamo però avuto la possibilità di realizzare delle proposte da casa e inviarle per sottoporle alla scelta dell’editore. Ovviamente la mancanza di tempo non è stata dovuta alla nostra lentezza nel lavorare, ma al mese di luglio più caldo degli ultimi 136 anni. 

Claudia Castiglioni.

lunedì 28 settembre 2015

Carta dei bambini o degli adulti?

A luglio, su facebook, abbiamo letto alcune interessanti riflessioni di Barbara Cuoghi, in merito alla Carta dei bambini redatta in occasione di Expo, in concomitanza con la Carta di Milano. Barbara, insegnante di scienze, madre di due bambini, nonché attenta lettrice di libri per bambini e ragazzi, pensiamo abbia le carte in regola per valutare un progetto didattico-pedagogico sui temi dell'alimentazione. Per questa ragione le abbiamo chiesto il permesso di pubblicare le sue osservazioni sul nostro blog, corredate da alcune immagini, necessarie per seguire il filo del suo pensiero. A nostro avviso il tema è interessante, perché fa parte della grande irrisolta questione su come e con quale linguaggio, parole e immagini, si scelga per rivolgersi ai bambini e ai ragazzi.
Grazie Barbara per la disponibilità e la collaborazione, e a voi buona lettura.

[di Barbara Cuoghi]

La Carta di Milano, stilata in occasione dell’Expo, è un documento con il quale, tra le altre cose, la cittadinanza si dichiara consapevole in tema di alimentazione, sfruttamento delle risorse e diritti-doveri dei cittadini stessi.

Chissà se Rodari avrebbe apprezzato
di essere citato in questo contesto.
Ma non è tutto: il firmatario s’impegna a fare pressione affinché, detta in soldoni, le istituzioni, a vari livelli, si adoperino per garantire a tutti gli abitanti del pianeta acqua, cibo ed energia nel rispetto delle differenze e delle tradizioni locali.
Leggendola, potremmo obiettare che alcuni concetti porebbero essere espressi in modo più organico o completo, e pensare che alcuni punti siano utopia pura; e, personalmente, potremmo attribuire più peso ad alcune affermazioni rispetto ad altre, ma, nel complesso, trovo che i valori di fondo siano condivisibili e che il documento, pur mettendo nello stesso calderone numerosi e complessi aspetti  della nostra realtà, sia sostanzialmente interpretabile dal cittadino adulto a cui è diretto.



Ieri leggevo incuriosita la Carta di Milano dei Bambini, redatta dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, per fare da corredo alla succitata Carta di Milano e dalla quale trae dichiaratamente ispirazione.
Si sarebbe potuto facilmente dar voce ai bambini e ai ragazzi, cogliere l’occasione per ascoltare le loro idee in merito a cibo, acqua, accesso alle risorse e via dicendo. E invece no.
La Carta dei Bambini è stata scritta da adulti. Vi invito a leggerla qui.



Personalmente, l’ho trovata bizzarra, approssimativa, scritta con un linguaggio inappropriato anche per gli utenti più piccoli – piccoli non è sinonimo di stupidi - e densa di concetti difficili trattati con faciloneria. Leggo perplessa frasi come “ottenere dalla Terra tutto quello che ci serve senza mettere a rischio la diversità degli animali e delle piante“ o “mangiare solo la giusta quantità di cibo”.
O ancora: “Le foreste vengono distrutte e questo fa male alla natura e quindi anche a noi”; “Noi possiamo dare da mangiare a tutti, anche ai bambini che nasceranno in futuro, senza far morire i doni della Terra ma facendo in modo che ne crescano sempre di nuovi”.
La mia impressione è che il linguaggio adottato sia una sorta di bambinese adulterato, nel senso di contraffatto da un adulto: nessun bambino della primaria, e tanto meno nessun ragazzo della secondaria, si esprimerebbe in questo modo.



Ciliegina sulla torta: analogamente a quanto accade per la Carta di Milano, al termine della Carta dei Bambini si chiede ai giovani lettori di firmare, in barba alla prassi educativa per cui un bambino/ragazzo appone la firma a sigillo delle sue produzioni e non alle idee di altri, per condivise e meritorie che siano.



Per curiosità, allo stesso link ho scaricato anche il kit didattico che contiene attività pensate per fasce d’età.
La prima, dedicata a bambini dai 3 a 7 anni, propone di colorare disegni inerenti agli argomenti trattati nella Carta. Idea non troppo originale, ma sempre attuabile, specie con i più piccoli. Se non fosse che i disegni sono troppo particolareggiati e complessi per un bambino di 3-4 anni (penso a mio figlio che, pur avendo sempre in mano matita e colori, a poco più di tre anni non riesce a stare nei contorni di semplici forme geometriche) e sono scanditi da discutibili titoli o frasi che forse volevano essere ammiccanti e invece risultano incomprensibili tipo “la capra intelligente”.























Rincaro la dose: quello che più colpisce è la poca attenzione con cui sono stati scelti i soggetti rappresentati nei disegni, gli stessi che sono parte integrante del testo della Carta dei Bambini. Ad esempio, un bambino sovrappeso e un bambino denutrito sullo stesso sù-e-giù a simboleggiare la disparità nelle possibilità e nelle abitudini: “tantissime persone hanno sempre fame, tante mangiano male e per questo sono deboli, altre invece sono molto grasse e per questo si ammalano”.






































Sempre più di frequente, nelle classi ci sono bambini sovrappeso e, tra i più grandicelli già in via di sviluppo, ragazze con problemi legati all’alimentazione. Si saranno chiesti gli ideatori del progetto cosa pensa un bambino cicciottello mentre colora una figura di questo tipo?
L’attività “Cibo buono per tutti”, proposta per la fascia 8 -12 anni, appare congegnata ancor più superficialmente. Un gioco di ruolo a gruppi basato su indicazioni fornite per ciascun ruolo in modo piuttosto banale. Stendo un velo pietoso su come, secondo i redattori siano formate le famiglie tipo nel nostro Paese, e faccio presente che si chiede a bambini di 8-9 anni di immedesimarsi in istituzioni tipo ARPA per discutere il problema cibo dal punto di vista dell’ente locale!


Ancora peggio è il fatto che, evidentemente, chi ha stilato il documento non ha ben presente l’attuale composizione di una classe media di una primaria o di una secondaria di primo grado in una scuola pubblica. Mi spiego: tutto il discorso è incentrato su un punto di vista molto chiaro e cioè che noi occidentali siamo fortunati e abbiamo di che nutrirci  più che a sazietà e quotidianamente sprechiamo cibo, energia e denaro. Vero. Ma solo a grandi linee.
Infatti la mattina, capita di trovarti davanti venticinque personcine reali, ognuna con il suo vissuto personale e, colpo di scena, capita sempre più spesso che quattro o cinque di esse, se non di più, non abbiano esattamente tutta questa abbondanza di risorse a disposizione, cibo compreso. Trovo quindi che questi argomenti richiedano una delicatezza e un’attenzione al contesto in cui vengono trattati che qui non traspare.



Per utilizzare il materiale proposto, ogni insegnante dovrebbe apportare tali e tante modifiche che penso sarebbe auspicabile che gli educatori che riescono a portare gli alunni in visita a Expo si adoperassero a guidarli nella scrittura di una loro personale Carta dei Bambini o dei Ragazzi, senza semplificazioni forzate o giochi superficiali.
A me, per esempio, piacerebbe stabilire con i miei ragazzi due o tre argomenti chiave, quelli che loro ritengono più interessanti, e riflettere insieme prima e dopo la visita all’esposizione di Milano.
Chissà che non ne esca una produzione degna di essere firmata davvero.


venerdì 25 settembre 2015

Portare il cinema a scuola

Oggi ospitiamo il racconto di Alessandra Vinanti, che da alcuni anni promuove in una scuola milanese un percorso di avvicinamento al cinema, che presto si allargherà ad altre scuole. Questo post è interessante perché, oltre a spiegare come si è potuta organizzare un'attività così complessa, diventata parte integrante della didattica, mette in luce 1) come è possibile creare dal basso, attraverso una partecipazione attiva, una scuola aperta, seria e vivace; 2) come i bambini siano perfettamente in grado di accogliere iniziative come questa, con la massima attenzione e il più alto gradimento. 
Alessandra, il 18 e il 25 ottobre, a Milano, alla Liberia Spazio BK, terrà un corso di 12 ore dal titolo Piccoli cinefili crescono, incentrato su come sia possibile accompagnare i ragazzi all’ascolto e all’attenzione dell’arte cinematografica. Il corso è rivolto a insegnati, educatori, pedagoghi, genitori che hanno principalmente a che fare con bambini dai 5 agli 11 anni, nonché curiosi appassionati di cinema e animazione. Tutte le informazioni qui.

[di Alessandra Vinanti]

Qualche anno fa, desiderosa di far vedere alle mie figlie dei film d'animazione di qualità, ho scoperto un mondo che purtroppo ha poca distribuzione nel nostro Paese, e che mi ha emozionata più di quanto mi succeda ultimamente con molto del cinema contemporaneo di qualità.
Un po' per gioco e sfida, ho proposto alla scuola primaria Tito Speri di Milano un percorso di visione di cinema d'autore da realizzarsi in orario scolastico, accompagnato dalla presentazione di ogni film, da un dibattito con i bambini post-proiezione e da una scheda di approfondimento da sviluppare in classe. I pensieri che mi accompagnavano erano:
- se ai bambini proponi la qualità, sebbene siano loro il target elettivo della diffusione di immagini (oggi più che mai "in movimento") di puro intrattenimento che mirano alla diffusione commerciale di prodotti correlati, sono proprio loro a saperla ancora riconoscere;
- se i bambini vengono travolti da questi "prodotti" è inutile cercare di censurarli o di oscurarli, ma è possibile diffondere film di diversa qualità per dar loro la possibilità – almeno – di incontrarli - nella scuola pubblica italiana si fa ancora un po' di disegno, si parla di pittura, forse di musica, ma il cinema (anche se esiste da 120 anni) non ha mai fatto parte di nessun programma ministeriale.


Insieme ad altri genitori della scuola, dopo lunghi brain storming nei giardinetti del quartiere e con la collaborazione di alcuni insegnanti, abbiamo creato un vero e proprio percorso, di quattro anni, sul cinema, iniziando dall'animazione d'autore, passando alle origini del cinema muto in bianco e nero, per arrivare fino ai grandi registi del Novecento.
Oggi, questo percorso fa parte dell'offerta formativa e coinvolge tutte le classi della scuola grazie alla cura che altri genitori le hanno dedicato.
Le formule di presentazione delle opere ai bambini, così come il dibattito e le schede didattiche sono state pensate, provate, testare, modificate e perfezionate attraverso un'esperienza di cinque anni con duecentocinquanta bambini, numerosi insegnanti e un gruppo ristretto, ma motivato di genitori.


Questa avventura, che coinvolgerà probabilmente anche altre scuole milanesi, ha promosso un percorso di grandi emozioni e profonde riflessioni con i bambini e i loro insegnanti: molti dei ragazzi (circa l'80%) era la prima volta che vedevano i film programmati, dei quali spesso anche gli insegnanti non conoscevano l'esistenza. Nonostante spesso sia l'insegnante di italiano e storia che accompagna i bambini alle proiezioni, la ricaduta a livello tematico, stilistico, musicale, linguistico e di educazione all'immagine è stata percepita anche dagli altri insegnanti: nei loro interventi in classe, i bambini negli anni hanno portato esempi tratti dai film visti, in ogni materia trattata, anche a distanza di tempo dalla visione.
Durante le proiezioni sono sempre impressionanti i silenzi che 120 bambini insieme riescono a creare, con le schiene dritte e protese verso lo schermo in un'attività che impone di sedere in silenzio e al buio per un'ora e mezzo (mi sono chiesta molte volte: in quale momento della loro giornata i bambini, oggi, fanno una sola cosa per un tempo così prolungato). Allo stesso modo ho un ricordo vivo delle espressioni comuni di ilarità o di gioia in momenti di particolare entusiasmo: come lo scoppio di un lungo applauso commosso per il protagonista di sette anni che finalmente riesce a leggere. Un'incitazione a un bambino disegnato che in fondo è solo un fascio di luce.



L'incontro con il cinema in bianco e nero è stato incredibile: in realtà non sapevamo se i bambini avrebbero apprezzato il genere, invece non solo abbiamo rilevato grandi differenze fra i gusti - chi amava di più l'ironia melanconica di Charlie Chaplin, chi quella catastrofista di Buster Keaton, chi la follia strampalata dei Fratelli Marx -, ma negli anni successivi per strada, ai giardinetti o al parco ho incontrato bambini che mi hanno chiesto ripetutamente di programmare film in bianco e nero. Effettivamente mi risulta che in televisione (se non su canali specifici dove la selezione è operata dall'utente) il bianco e nero sia quasi scomparso…
L'apprezzamento di un film come Hugo Cabret di Martin Scorsese, dopo tre anni di educazione all'immagine e, con alle spalle cinque proiezioni che riassumono le origini della "settima arte", ha permesso ai bambini (di terza e quarta elementare) di vivere a pieno una storia di amicizia fra due ragazzi che racconta la vita e la creazione delle opere del primo autore dell'arte più popolare che sia stata mai inventata: il cinema.



Durante i dibattiti - congegnati di modo che siano gli stessi bambini a porre le domande e a ricevere delle risposte dai loro compagni – sono intervenuti bambini di ogni nazionalità e di ogni livello di rendimento scolastico, meravigliando spesso anche i propri insegnanti per la profondità di alcune intuizioni e per la puntualità degli interventi e anche – grazie al processo di identificazione con i personaggi proiettati - per gli interventi che spesso riguardavano questioni molto personali condivise con i compagni.
Abbiamo visto i bambini ridere, divertirsi, cercare di ballare il tip tap (come alla fine di Cantando sotto la pioggia), ballare al ritmo delle canzoni dei titoli di coda, riflettere, spaventarsi e, per questo, abbracciare il compagno vicino.
I film che abbiamo portato a scuola forse non sono che dei "puntini" in un oceano di immagini che scorrono incessantemente davanti ai loro occhi, forse oggi più che mai. Però chissà: forse invece sono anche "semini" di riflessioni, emozioni, ragionamenti, immaginazione di sé…

mercoledì 23 settembre 2015

La rete dei libri / 12: un magnifico pretesto

Nome del blog: APEdario. Insegnare a leggere e scrivere con i più begli albi illustrati per l'infanzia

Url:  http://apedario.blogspot.it/


Di cosa si occupa?
Apedario racconta, per parole e immagini, l'utilizzo degli albi illustrati e dei libri per ragazzi nella vita quotidiana delle classi in cui insegno. Letture, poesia, conversazioni e attività didattiche, prevalentemente di lingua italiana e arte e immagine, a scandire il ritmo delle giornate scolastiche. Mi piace, e credo sia utile a chi legge, in particolare agli insegnanti, arricchire il post con le immagini più significative tratte dai quaderni dei miei alunni e con le parole dei bambini durante le conversazioni in classe.

Chi lo fa? 
Mi chiamo Antonella Capetti e sono una maestra elementare quasi cinquantenne con un lungo passato alla scuola dell'infanzia e una grande passione per la letteratura per l'infanzia.

Quando e perché è nato? 
Apedario è nato molto tempo prima della sua apparizione ufficiale in forma di blog, il 20 aprile 2013. Da un paio d'anni aggiornavo una bibliografia per temi adatta ai primi anni della scuola primaria. Da qui, l'idea di scegliere alcuni personaggi degli albi illustrati per presentare le lettere dell'alfabeto, in un ordine diverso da quello conosciuto: nell'esperienza d'insegnamento nei cicli precedenti, avevo presentato prima la A, poi la P, poi la E, per permettere ai bambini di iniziare a formare le prime sillabe e brevi parole (APE, PAPA', PAPPA). Prima di diventare un blog, per alcuni mesi Apedario è stato un progetto per un libro didattico, a cui una casa editrice specializzata nel settore è parsa per qualche tempo interessata. Quando però mi è stata ventilata la proposta di pubblicare a pagamento, ho pensato che fosse in una qualche misura offensiva (se credi nel lavoro di qualcuno, non chiedi che sia lui a pagare) e ho preferito investire un po' di tempo e di energie nella gestione di un blog. Allora non lo sapevo, ma credo di aver raggiunto molte più persone in questo modo che non attraverso una guida didattica.

Con quale frequenza viene aggiornato?
Cerco di aggiornare il blog quotidianamente, da lunedì a sabato: durante l'anno scolastico con le attività relative a italiano e arte e immagine svolte in classe su suggestione dei libri letti, durante l'estate con i consigli di lettura per piccoli e grandi. Il sabato è solitamente dedicato alla poesia. Da quest'anno, il lunedì sarà dedicato ai libri P.I.P.Pi. (Per I Più Piccoli): un modo per non perdere completamente l'identità originaria del blog, che ormai è un po' cresciuto e parla di sé attraverso la voce di bambini più grandi.

Il primo post
Un nuovo inizio del 20 aprile 2013, in cui racconto le motivazioni del blog. «L'idea di questo progetto nasce dalla necessità di una didattica dell'italiano in classe prima (scuola primaria) strettamente connessa al vissuto del bambino tramite la lettura di albi illustrati per l'infanzia e la presentazione dell'alfabeto attraverso i rispettivi protagonisti. Ogni storia diventa quindi un magnifico pretesto per parlare della quotidianità, di storie fantastiche e suggestive, dei propri sentimenti, della relazione con i pari e con gli adulti, in una continua fruizione di letteratura di qualità e di una rappresentazione iconica che diventa stimolo per la creatività e la strutturazione di uno stile grafico-pittorico personale e non stereotipato.» Il titolo, Un nuovo inizio, è motivato da un precedente tentativo, Libriamoci, interrotto dopo pochi post.

L’ultimo post 



Il post più letto
Vocali, sillabe, parole e primo dettato in cui racconto i primi tentativi, scritti, disegnati e attraverso giochi motori, di verificare la reale capacità di ogni bambino di misurarsi con le prime parole scritte.

Il mio post preferito
Anche se correrò il rischio di essere accusata di piaggeria, scelgo senza dubbio Colori, ovvero un viaggio lungo mesi, nato da un post condiviso da Paolo Canton su Facebook e che ha generato intense attività legate ad arte e immagine. Amo in modo particolare questo post perché racchiude in sé molta parte di ciò che amo del mio lavoro: la possibilità, per me ancor prima che per i miei alunni, di imparare cose nuove, anche e soprattutto in ambiti in cui la mia conoscenza è davvero molto limitata; l'opportunità di lavorare per mezzo di una didattica attiva, da realizzare concretamente, sporcandosi le mani, da soli e insieme ai compagni; la produzione di “opere d'arte” personali e originali; un'immersione piena nella bellezza e la sua condivisione.

1000 battute per raccontare il blog
Apedario è il diario illustrato della vita di due classi elementari (a settembre inizieremo la terza) nelle ore di italiano e arte. La lettura di albi illustrati e libri per ragazzi è l'elemento fondamentale dell'attività didattica, ciò che permette il coinvolgimento attivo e continuo dei bambini, di tutti i bambini, la riflessione, la condivisione, la comprensione, la produzione scritta, la riflessione linguistica, l'ampliamento del lessico, in un'ottica continua di benessere individuale e collettivo e di sviluppo del pensiero personale e critico di ogni bambino.
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Abbiamo già parlato di:
11 - Le stanze del labirinto
10 - Briciole di Pollicino
9 - Le letture di Biblioragazzi
8 - La coda dei libri
7 - Seren sarà
6 - Lacasadifra
5 - Scaffale Basso
4 - Milkbook
3 - Atlantide Kids
2 - GiGi il giornale dei giovani lettori
1 - Libri e marmellata
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Non abbiamo la pretesa di sapere tutto. Quindi, se  avete un blog che si occupa con continuità di libri per ragazzi, segnalatecelo scrivendo a info[at] topipittori [punto] it indicando come soggetto del messaggio La rete dei libri. Abbiamo già pronti parecchi post pronti, quindi non saremo celeri, né a rispondere né a pubblicare. Ma cercheremo di non dimenticarci niente.
Grazie.

martedì 22 settembre 2015

Un essere fragile con una grande forza.

Prima di iniziare la lettura di questo bellissimo post di Beatrice Alemagna (scritto per Picturebookmakers e qui tradotto), prendete nota che l'8 di ottobre, dalle ore 15, Beatrice sarà a Milano, presso la Libreria Spazio BK, in via Lambertenghi 20: un intero pomeriggio a disposizione del suo pubblico, per disegni, dediche, saluti e chiacchiere. Non mancate!

[di Beatrice Alemagna]

Faccio libri da più di quindici anni e tutte le volte è come se fosse la prima.


Il meraviglioso Cicciapelliccia (in francese Le merveilleux Dodu-velu-petit) mi ha richiesto sei anni di ripensamenti e due anni di lavoro pieno.


Fin da piccola , sono rimasta profondamente affascinata dall’episodio in cui Pippi Calzelunghe decide di cercare lo Spunk. Lo Spunk è qualcosa che non esiste. Ho sempre portato dentro di me quest’idea che in fondo si finisce sempre per trovare le cose che non esistono. E mi sono convinta che questo richiede a priori una lunga ricerca nei negozi.


In parte, questo libro è un omaggio a Pippi e al fascino che provavo da piccola nell'entrare in un negozio pieno di cose da scoprire.
La cosa più difficile, è stata ottenere una forma di leggerezza che, fin dall’inizio, desideravo di comunicare.
Da qualche anno, prendo la leggerezza molto sul serio e non più alla leggera. Per me la leggerezza è diventata il luogo dove si condensano le cose gravi.
Riflettendo, ho capito che la leggerezza forse sfugge proprio per la sua sottigliezza: non è banalità, può essere invece, esattamente, il punto di tensione massima della gravità. Nella scoperta leggera di qualcosa di unico (come l’avvenura che vive Eddie), è condensata l’idea dell’infanzia che volevo comunicare in questo libro. L’infanzia come momento di gloria.



Tutto il libro è nato dal personaggio del dodu. Un giorno, dal niente, ho disegnato questa specie di cagnetto elettrizzato e subito ho sentito che dovevo raccontare la sua storia.


Spesso sono i personaggi a chiamarci e per me è quasi sempre così. All’inizio il libro doveva essere destinato al pubblico giapponese. Avevo iniziato i primissimi disegni 6-7 anni fa. Ma la storia era molto diversa. C’erano già il personaggio e la ricerca nei negozi, ma la bambina non aveva un carattere e non esistevano le peripezie che vive oggi Eddie.


Ho passato anni a fotografare le vetrine più belle dei negozi, in giro per i miei viaggi.


Questo testo e tutta questa ricerca, sono rimasti nei miei cassetti durante quasi sei anni : il tempo necessario a maturarlo e farlo vivere.
Ho scritto e riscritto la storia decine di volte, chiedendomi realmente come arrivare a raccontare quello che volevo tramite un ‘avventura. Un’avventura semplice e classica, in senso letterario. Non avevo mai scritto una vera avventura e mi è costato molta fatica.
In questo principalmente, il Merveilleux dodu-velu-petit è molto nuovo per me.
Però all’interno si trovano i punti cardinali di quasi tutti i miei libri: il viaggio, la partenza, la ricerca di qualcosa, l’accettare se stessi. Penso di voler raccontare in fondo sempre la stessa storia: quella di un essere fragile che alla fine scopre dentro di sé una grande forza.


Anche i disegni mi hanno richiesto decine e decine di prove. Io cerco sempre qualcosa quando disegno. È quel qualcosa che mi dice: si, ora sei nel giusto e non può essere in un altro modo.


Per tentare di raccontare questo con un «linguaggio leggero» volevo che alcuni fondamentali elementi di fragilità entrassero in gioco: i bambini sono fragili per eccellenza e il dodu è un esssere abbandonato, dall’aria indifesa.
Volevo parlare di cura: ogni forma di attenzione, di ricerca, di amore (la bambina amando sua madre, scopre di amare anche se stessa e i suoi amici di tutti i giorni. Amici che, aiutandola, consigliandola, offrono anch’essi cura e amore).



Volevo anche comunicare leggerezza in senso visivo: la neve, gli uccelli, il vapore del tè, l’acqua che zampilla, i capelli scompigliati, le corse di Eddie.




Volevo che tutta questa leggerezza finisse con il raccontare quel qualcosa di immenso e fondamentale che è il potere della fantasia. E il personaggio del dodu, col suo colore sgargiante e la sua faccia improbabile, simboleggia proprio questo potere.


Sono cresciuta in Italia, con la tradizione storica di Gianni Rodari, Luigi Malerba, Collodi, De Amicis. Il bambino è sempre stato, nella mia infanzia, un essere legato e condizionato dalla società reale, dai suoi problemi. E così sono tutti i personaggi dei miei primi libri: esseri in difficoltà.


Conoscendo e amando culture di altri paesi (come il non sense inglese, l’animismo giapponese, il surrealismo della cultura tedesca o la magia delle fiabe russe o scandinave), cerco sempre di esplorare nuovi mondi, così come nuovi linguaggi visivi.
Mi è totalmente impossibile riconoscermi in qualcosa di preciso, voglio esplorare, cambiare, evolvere, a rischio, anche, di deludere i miei lettori.
I miei libri emergono sempre da milioni di dubbi, ripensamenti, rifacimenti.
Niente mi è chiaro, mentre faccio un libro, ma tutto avviene naturalmente nella mia testa. La cosa più faticosa è come arrivare a ottenerlo.


Vorrei poter dire che faccio libri così come guardo o penso. Ma questo non è vero. Mentre disegnare mi è assolutamente naturale, al contrario creare un libro, con un ritmo narrativo da rispettare, mi risulta laborioso e, alle volte, doloroso. Ma alla fine del libro, la sofferenza lascia sempre il posto a una immensa felicità.
Adoro i miscugli, le cose ibride. Adoro non mettere muri né barriere: non preoccuparmi di rispettare limiti di età e di tempo, canoni estetici precisi, convenzioni prestabilite.
Tutto questo, dando a me stessa un’enorme fiducia. Lavoro sempre con qualcosa di interno e di forte che si esprime con molta chiarezza e intensità.


In ultimo, adoro i paradossi: i miei libri hanno spesso grandi formati (non amo sentirmi costretta dalla pagina), ma spesso parlano di piccole cose. Adoro scoprire queste cose minuscole nella natura, nelle facce della gente, nelle emozioni che mi accompagnano. Le cose piccole, così come quelle fragili, sono quelle che mi emozionano di più.