martedì 30 novembre 2010

...ogni colore, ogni minimo oggetto [...] hanno la loro ragione d'essere

A noi piace lavorare con i cosiddetti “giovani illustratori”: gente che ha compiuto studi e si è magari specializzata, ha un’età nella quale i nostri genitori (e anche i loro, probabilmente) avevano già figli grandicelli e si consideravano adulti a pieno titolo. Ci piace lavorare con loro perché hanno già raggiunto una maturità espressiva, ma restano ancora innovativi, spregiudicati e sono ancora invasi dal sacro fuoco. Se qualcosa di grande sarà fatto, saranno loro a farlo. Come è sempre successo. Un esempio? Eccolo qui



Edouard Leon Louis Legrand, detto Edy, all’epoca meno che trentenne, pubblica Macao et Cosmage nel 1919. Il colophon, in quarta copertina, recita: Achevé d’imprimer le 30 novembre 1919 (quindi, buon compleanno, Macao). È il primo libro della oggi gloriosa Editions de la Nouvelle Revue Française.  Un librone fragile, rivestito in carta, di grandissimo formato (40 x 40 cm chiuso; 80 x 40 cm aperto), stampato magistralmente da Tolmer e colorato a mano, con la tecnica del pochoir, da Saudé. Insomma, un monumento tipografico, oggi di grande rarità, destinato ai collezionisti maniaco-ossessivi, come noi, date le valutazioni correnti.

La storia è quella di Macao e Cosmage, uomo e donna, moderni Adamo ed Eva che abitano un paradiso terrestre dimenticato, se non da Dio, almeno dagli uomini, in perfetto equilibrio con la natura.


Poi arriva una grande nave.


Ne scendono uomini e, con loro una promessa di modernità che porta alla distruzione del paradiso, attarverso un processo affascinante quanto crudele e irreversibile. 


Un processo che passa (accade così ancora oggi) dalla trasformazione del paesaggio in cartolina, icona turistica, bellezza da ammirare per sé, privata di ogni senso e funzione.


In vecchiaia, Macao e Cosmage chiedono di poter cercare un nuovo paradiso. E aparentemente lo trovano, visto che nell’ultima tavola, il paesaggio torna a essere non più sfondo all’uomo, ma protagonista con l’uomo.


Ma quello che ci interessa qui, al di là della bellezza delle illustrazioni, della finezza della realizzazione, della rarità dell’oggetto e dell’innovazione nella gestione del rapporto testo/immagine che il libro ci propone, è tornare indietro, alla prima pagina del libro, e leggere la dichiarazione che lo apre: un appello al bambino lettore che vale per questo come per ogni altro libro. E questo appello dice così:


“Bambino, nelle pagine seguenti ogni colore, ogni minimo oggetto, i più piccoli animali hanno una ragione d’essere… Tocca a te scoprirla. Guarda attentamente… non racconto altro che la storia di Macao e Cosmage. Questa storia sarebbe triste, se non fossi persuaso che, oggi, loro sono felici… Il solo mistero della vita ci è svelato, quando sappiamo dove risiede la felicità… Il tuo amico Edy Legrand.”

Se adesso ardete dal desiderio di tenere questo libro fra le mani, ma non avete un migliaio di euro da spendere per l’originale, vi potete acontentare della dignitosissima edizione Circonflexe, assai rispettosa dell’originale, che potete comprare qui.

lunedì 29 novembre 2010

È importante la bellezza: da quella scende giù tutto il resto

Qualche giorno fa, aspettando di entrare al cinema, abbiamo fatto una visita a una grande libreria del centro di Milano: giornali e riviste al piano terreno, insieme all'elettronica di consumo e al banco dei bestseller, e libri al primo piano. Il reparto ragazzi era molto grande. Ma per quanto ci siamo sforzati, non siamo riusciti a trovare un solo libro. C'erano solo oggetti che, pur avendo l'aspetto del libro, rinviavano sempre a qualcosa d'altro, attraverso gadget sonori e tattili, accessori e allegati di vario tipo. Come se il libro, da solo, non bastasse.
Ciò che caratterizzava questa massa informe di cose, di merci, era la sconcertante bruttezza, la cacofonia visiva, la mancanza di ogni estetica, programmatica o involontaria, l'aspetto brutale, rozzo e deteriore.
Spesso sentiamo affermare, anche da persone insospettabili, con le parole e con le scelte di produzione, che al libro non è necessaria la bellezza, che ai bambini la dimensione estetica è estranea, perché al bello non sono sensibili e che pertanto il libro deve limitarsi a veicolare buoni contenuti. Non siamo d'accordo.
Crediamo che questa sia una mistificazione che sottende a un progetto politico preciso (che accomuna destra e sinistra e tutti i possibili centri), quasi hausmanniano nella sua radicalità ed efficacia: impedire che la gente faccia una vera rivoluzione.
Sul tema della bellezza e dei suoi effetti, uno dei protagonisti del film Le vite degli altri, Georg Dreyman, pronuncia una battuta memorabile: «Sai cosa diceva Lenin dell’Appassionata di Beethoven? “Se continuo ad ascoltarla, non finirò la rivoluzione”. Può qualcuno che ha ascoltato, veramente ascoltato, questa musica essere davvero una cattiva persona?»
Lenin si sbagliava: probabilmente è ascoltando marcette e inni che si smette di ribellarsi.
Ce lo ha confermato, anni fa, Peppino Impastato. Non sappiamo se abbia mai pronunciato davvero parole così necessarie. O se siano opera di uno straordinario sceneggiatore. Che le abbia pronunciate o solo ispirate, una ragione in più per rimpiangerlo.

venerdì 26 novembre 2010

Va', pensiero

Qualche giorno fa, invitate da Scrittorincittà , a Cuneo, Simona Mulazzani e io abbiamo tenuto due incontri sul nostro libro Vorrei avere con bambini delle elementari. Sono stati due incontri bellissimi, come capita quando lo scambio di parole e di pensieri crea una tensione positiva, un'atmosfera viva, rara, che accende e fa volare alto il desiderio di conoscenza e ascolto reciproci.
Prima dell'evento, mi chiedo come impostare questi incontri. So che questo libro con i bambini funziona bene: sono vicini agli animali, li sentono intensamente, li amano, li sognano, sono presi dalle loro belle e straordinarie forme, dal mistero della vita chiusa nel loro corpo. Del resto questo libro si fonda proprio sulla memoria che di tale esperienza ho fatto nella mia infanzia. E durante un incontro a Milano, alcuni mesi fa, in una scuola elementare mi sono resa conto dell'impatto che questa sequenza di animali-desideri ha sui bambini. Mentre rifletto su questo, per qualche ragione penso che un modo adeguato per cominciare potrebbe essere la domanda: “Vi piace pensare?” Quella che parla in queste pagine è, indubitabilmente, una voce interiore, che viene dal profondo. Qualcosa però dentro di me si oppone a questa ipotesi: obietto a me stessa che si tratta di un punto di vista troppo astratto, adulto, sofisticato. Forse con questa domanda sto solo chiedendo ai bambini di confermarmi idee oleografiche e intellettualistiche che ho su di loro. Dopo un breve alterco sulla questione fra me e me, alla fine, prevale la fiducia e così decido di sperimentare l'idea.

A disposizione mi trovo quattro classi di marmocchi freschi di energie mattutine. E tutto mi aspetto eccetto l'ovazione, incondizionata, assoluta, unanime che segue al quesito, sia durante il primo incontro sia durante il secondo. Un sì-boato che fa tremare vetri e muri. Ecco, mi dico, lo sospettavo: ai bambini piace pensare. Uno di loro specifica che gli piace pensare quando dorme, un altro quando va in macchina (e io gli dico che a questo pensare su ruote ho dedicato un libro). Tutti i bambini sono concordi nel dire che per pensare ci vuole tranquillità, silenzio, solitudine, che pensare è una cosa bella da fare assorti, nella concentrazione di se stessi che ci permette di ascoltare il mondo. È in questo modo, su queste riflessioni condivise che io e Simona, a poco a poco, portiamo i bambini dentro le parole e le immagini di Vorrei avere, pagina dopo pagina. Loro ci seguono, fiduciosamente e non perdono un colpo, nel fitto dialogo che tessiamo alla ricerca dei possibili significati che noi, autrici, e loro, bambini, cerchiamo di trovare, insieme. È una passeggiata emozionante, con momenti di sospensione, entusiasmi, esclamazioni, pause, esitazioni, dubbi, interrogazioni e momenti di grande, irrefrenabile ilarità.

Una seconda ovazione accoglie la domanda “Che animale vi è piaciuto di più?” In un grido generale di giubilo, è la pantera a spuntarla, capace di mescolare il suo nero a quello dei rami, perfetta metafora di invisibilità. Un'immagine riuscita al punto che ti si insedia in testa appena la vedi e io sono certa che questo libro ha venduto i diritti in otto paesi per merito suo. Recentemente ho parlato a lungo di lei con una persona che ama gli animali, e molto si occupa di quelli che ci abitano la mente. Mi ha fatto presente che questa pantera è tradita, nel suo desiderio di confondersi col buio, dagli occhi. Con i bambini di Cuneo scopro che se i suoi occhi la tradiscono è solo per vedere attraverso il buio quelle cose che i nostri non coglieranno mai.

Scopro un'altra cosa con loro. Arrivata all'ultima pagina del libro quando chiedo cosa dice il cielo all'elefante e alle sue immense orecchie fatte per coglierne i messaggi, un bambino mi spiega, serio: “Dice che vorrebbe avere orecchie immense come quelle dell'elefante per ascoltare quel che l'elefante gli dice.”
Sì, a questo punto è certo che ai bambini piace pensare. Piace molto. Direi, da morire. E lo sanno fare anche molto bene. Cosa accada, poi, quando crescono, al punto da far diventare il pensiero una delle attività meno frequentate e più invise alla vita adulta, è davvero un mistero. E, su questo, noi adulti faremmo bene a interrogarci, molto seriamente.

giovedì 25 novembre 2010

Cielo bambino

Alicia Baladan l'abbiamo scoperta grazie a Guido Scarabottolo, che un giorno ci ha detto, “Qui c'è il cd di una brava: dateci una occhiata.” Il cd glielo aveva lasciato lei, in occasione di un breve corso. In effetti, Scarabottolo aveva ragione: le animazioni che erano su quel cd erano una più bella dell'altra. Però quella volta non riuscimmo a contattarla: Alicia si era scordata di lasciare un recapito. Dopo circa un anno, il cd ci tornò fra le mani, spuntato da chissà dove. Così ci rimettemmo in cerca della misteriosa Alicia e questa volta, in rete, fortunatamente, trovammo il suo indirizzo mail. Il resto è storia: con noi Alicia ha editato il suo primo libro, come autrice e illustratrice: Una storia Guaranì.


Naturalmente l'abbiamo subito rimessa al lavoro: l'anno prossimo, a primavera, uscirà la sua autobiografia d'infanzia, nella collana Anni in tasca, e ad autunno prossimo Cielo bambino, raccolta poetica di Alessandro Riccioni, vulcanico bibliotecario di Porretta, da lei illustrata. Ve ne diamo un assaggio, giusto per farvi ingolosire.


Se ci siamo riusciti, chi è in zona, non vorrà in nessun modo perdersi Alicia dal vero che sabato 27 novembre, a Orzinuovi, alla libreria Libri a merenda, in via Roma 15, alle ore 16, presenterà Una storia guaranì, in occasione della manifestazione Un ponte di parole. Incontri ravvicinati con la scrittura migrante.

mercoledì 24 novembre 2010

El último verano de la boyita

Giulia Mirandola ci manda una recensione di un film di Julia Solomonoff, che molto volentieri pubblichiamo.

La boyita è una roulotte nel giardino di Jorgelita, dieci anni, e della sorella Luciana, tredici, un luogo di giochi, nascondiglio segreto, casita, riparo, che occupa intensamente i primi minuti del film, così come ha occupato fino a quel momento le vite delle due ragazzine.  
El último verano è l’ultima estate. Ultima, appunto, prima che tutto, definitivamente, cambi. Prima della separazione dei genitori. Prima della partenza per le vacanze, Luciana con la madre, al mare, e Jorgelita con il padre, in campagna. Prima delle prime mestruazioni. Prima, soprattutto, di conoscere il segreto di Mario.

Se c’è una cosa che Jorgelita non esita a fare è porre domande. A se stessa e agli adulti con medesima franchezza, identica intelligente ostinazione. Sarà la campagna, con la sua lentezza inusitata, la sua calura insopportabile, il teatro di molte iniziazioni nel campo dei sentimenti, dell’identità, dei vincoli parentali e delle leggi talvolta crudeli che li regolano, dello sviluppo fisico, della percezione del dolore e del piacere. In questo viaggio di formazione, Jorgelita ha per compagno un ragazzino biondo di nome Mario, figlio di braccianti, cresciuto in mezzo ai cavalli e ai campi, silenzioso, resistentissimo. In corpo un segreto antico, che lui stesso, alle soglie dell’adolescenza, fatica a spiegarsi.


Questo film – uscito nel 2009 al festival internazionale di San Sebastian e da allora pluripremiato – è assente dalla grande distribuzione, e dunque tragicamente invisibile ai più. È il destino di molte pellicole che passano nella programmazione di festival e rassegne e poi spariscono in un buco nero. Con la storia di Jorgelita e Mario la regista argentina Julia Solomonoff firma un capolavoro e tocca un tema difficilissimo
– l’intersessualità – da grande narratrice, senza indecisione, con infinita dolcezza.

El último verano de la boyita è un film per ragazzi, per adolescenti e per adulti, da vedere più di una volta, da cercare, da mostrare nelle scuole, soprattutto, senza timore e senza veli.

martedì 23 novembre 2010

Fare poesia

Poiéin in greco significa “fare”. Ed è proprio da questo verbo che origina la parola “poesia”.
Tale radice mette in luce quanto poco di astratto, e quanto di concreto, comporti l'attività poetica. Che attitudine alla realtà, che ardente necessità di contatto con l'essenza delle cose, che amore per la materia di cui è fatto il mondo faccia parte del pensiero poetico. La poetessa russa Marina Cvetaeva ha scritto, su questo, una riflessione fulminante: “L'anima che per l'uomo comune è il vertice della spiritualità, per l'uomo spirituale è quasi carne.”
Così, per colmo di ironia si potrebbe dire che proprio coloro che secondo il trito luogo comune la passano da indefessi sognatori, sono in verità i meno propensi a perdersi in astrazioni e fantasticherie. Se mai avete conosciuto un poeta, sapete quanto ciò sia vero. In proposito uno che la sapeva lunga, e che si chiamava Jean Cocteau, ha scritto: “Un sognatore è sempre un pessimo poeta”.

Bene. Noi qualche poeta abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo. Per esempio, Chiara Carminati.
Chiara ha pubblicato con noi, nel 2009, Poesie per aria, con le bellissime illustrazioni di Clementina Mingozzi realizzate con la tecnica della silhouette.

Che Chiara fosse brava lo sapevamo già, avendo letto, per esempio, oltre alle sue poesie, un breve importante saggio edito nel 2002 da Mondadori, nella collana “Infanzie strumenti”, che si intitola Fare poesia con voce, corpo, mente, sguardo (a dimostrazione...).

Quando però l'abbiamo vista alle prese con il suo pubblico di lettori, siamo rimasti di sale. È difficile riscontrare una confidenza con la parola poetica orale così assoluta e sorgiva. I bambini rimangono incatenati alla sua voce, rapiti dalla musica del suo dire, dai suoi gesti, dal suo sguardo. Chiara, provetta pifferaia, fa davvero poesia e ogni volta trasforma il suo uditorio in una piccola orchestra pronta ai suoi comandi, capace di dare corpo insieme a lei alla parola poetica. Non perdetevela, se mai passasse dalle vostre parti.

Qualche giorno fa Chiara ci ha scritto:

Care e cari,
grazie all'invito del poeta Lello Voce, sto tenendo un blog dedicato a poesia e bambini sul sito di Absolute Poetry. Rubando il titolo di una poesia di Marcello Argilli, l'ho chiamato "L'occhio ladro"... Se volete dare un'occhiataladra, se vi stuzzica l'idea, se vi va di segnalarlo a qualcuno che pensate interessato, questo è l'indirizzo:

http://www.absolutepoetry.org/-L-occhio-ladro-Poesia-e-bambini-


Siamo contenti che la sua voce così densa e viva abbia trovato questa casa virtuale: scalderà la rete. Leggete l'ultimo post: la dice lunga sulla tempra che serve a fare i poeti.

lunedì 22 novembre 2010

Sette topi carpentieri

Mai contare sui topi è uscito nel 2008.
Le illustrazioni di Luigi Raffaelli accompagnano il testo, ironico, lieve, delizioso, di Silvana D'Angelo. Si tratta di una conta alla rovescia: genere letterario abbastanza frequentato nel libro illustrato, citiamo fra tutti il bellissimo Zehn grüne Heringhe... di Wolf Erlbruch edito da Hanser (e da Joie de lire in francese).


C'erano una volta dieci topini.
Dieci topini?
Ma forse dieci sono troppi per una sola storia.
In pochi minuti ti mangiano un libro.
E niente libro, niente storia.
D'altronde il decimo topo non viene più.
Lo immaginavo: è sempre stato distratto.
Mi ha appena telefonato che ha perso il treno.
Un tipo inaffidabile per quanto corretto.
Ne rimagono nove.


E via contando a ritroso finché...
Beh, la fine i curiosi la scopriranno in libreria.
Oggi, però, vogliamo parlare della copertina di questo libro. Terminate le illustrazioni, fatta la grafica, ci chiedemmo, con Luigi, come risolvere la copertina. E per qualche strana ragione ci venne in mente la famosissima fotografia, scattata nel 1932, agli operai che facevano la pausa pranzo seduti su una trave, sospesi nel cielo di New York, durante la costruzione del Rockefeller Center. Vedemmo distintamente una fila di topi, seduti a mangiarsi pane e formaggio.


Luigi materializzò la visione e la impaginò. Ci piacque moltissimo.
Ma ci rendemmo anche subito conto che in qualche modo non aveva una relazione abbastanza forte con quello che si trovava dentro il libro e ci mettemmo a lavorare a un'altra idea: quella che poi è l'attuale copertina.
Ma l'immagine dei topi lavoratori in pausa pranzo ci rimase nel cuore.
A un certo punto, nel 2009 pensammo di metterla su una maglietta per celebrare i cinque anni di vita di Topipittori, ma poi decidemmo di investire tutte le energie e i mezzi sul lancio della collana Anni in tasca, con cui avevamo deciso di festeggiare.
Poi, ecco che oggi ci è venuto in mente che questo blog è il posto giusto per fare conoscere questi sette fantastici topi carpentieri.

venerdì 19 novembre 2010

La lettura e la scrittura

Una doppia pagina tratta dal nostro Anselmo va a scuola
Alberto Delpero è un maestro elementare. Insegna a Pejo, in Trentino, a una pluriclasse, cioè una classe frequentata da bambini di età diverse. L'unica rimasta, in questa regione: le altre sono state tutte chiuse. La ragione per cui la medesima sorte non è toccata a questa, è che i genitori hanno fatto resistenza, sono insorti e hanno protestato contro il provvedimento di chiusura, minacciando di ricorrere all'istruzione paterna, dato che se l'istruzione è un obbligo, non lo è la frequenza di una scuola. Alla fine le loro ragioni hanno prevalso su quelle della Provincia. Così, oggi, i bambini di Pejo hanno ancora il loro maestro, e la loro pluriclasse. Di lui, che ci ha fatto conoscere Giulia Mirandola (che per noi da quattro anni cura il Catalogone ed è una attiva collaboratrice dell'Associazione Hamelin), abbiamo letto vari articoli sulla scuola e la lunga, bella intervista che sull'ultimo numero della rivista Hamelin. Storie figure pedagogia, Giulia gli dedica. Ci hanno colpito il suo parlare, e scrivere, colto, nitido, serio, acuto, concretissimo, i suoi riferimenti pedagogici, la sua attitudine alla relazione con i bambini e la scuola, per nulla teorica, tutta fattiva. Infine, le sue idee e la loro forza calda, tranquilla, tenace. Diremmo, testarda. Come quando, per esempio, afferma: «Il fare, l'esperienza, sono componenti irrinunciabili. E alla scuola serve esperienza pratica in quantità industriali. Si deve tagliare ad occhi chiusi sulle chiacchiere.»
Riportiamo due brani dell'intervista, che vi invitiamo a non perdere.

Quali sono le azioni necessarie nella scuola e cosa ritieni sia uno spreco?
Ho dei dubbi … sui corsi di aggiornamento che insistono sul metodo. C'è sempre qualcuno che arriva con il metodo migliore. Adesso va per la maggiore il supporto delle tecnologie. … Io sono per una scuola più “povera” che “ricca”. Le macchine hanno dei costi e difficilmente creano apprendimento o dimensioni psicologiche come riescono invece a fare fra di loro le persone. Quello che mi interessa trasmettere ai ragazzi sono gli atti fondamentali: lettura e scrittura. Sono e saranno sempre le chiavi per penetrare qualsiasi campo della cultura…

Perché la lettura e la scrittura sono così centrali nella crescita di una persona?
Perché in mezzo c'è la possibilità di comunicare. Ma c'è anche il confronto quotidiano e personale con la parola, che è il mezzo su cui si muovono i pensieri e i significati. … L'individuo, attraverso le narrazioni, racconta se stesso e si affaccia sul mondo. Per questo, la capacità narrativa, il contatto con le narrazioni, orali e scritte, rende la mente più “utile” alla vita e più pronta ad assumere delle prospettive rispetto al poliedro della realtà.

Post scriptum
Il tema del nuovo numero di Hamelin è l'adolescenza: chi fosse interessato all'argomento troverà numerosi articoli ricchi di spunti e riflessioni. Noi suggeriamo l'abbonamento a questa rivista, piena di fervore e veramente preziosa per cura, qualità, libertà di pensiero e di vedute. E, diremmo, sana testardaggine.

giovedì 18 novembre 2010

Quanta strada nei miei sandali

Che i libri fossero dei gran viaggiatori lo si sapeva. Già nel Quattrocento, i tipografi-editori veneziani organizzavano carovane di asini per andare a vendere i propri libri a Francoforte (adesso tutti ci vanno con i voli low cost: anche gli asini).
Anche i Topipittori amano viaggiare. E anche i Topipittori, come le persone, spesso viaggiano seguendo le mode. Negli ultimi anni, per esempio, la Corea è stata molto di moda.


È molto strano vedere come libri che ci sono familiari, che abbiamo sviscerato in ogni aspetto e compulsato centinaia di volte, possano cambiare per il solo fatto di essere tradotti in una lingua diversa.



Il recente arrivo dell'edizione coreana di Al supermercato degli animali, pubblicata dalla neonata BookInFish Publishing ci ha offerto l'occasione per riprendere in mano anche l'edizione coreana di Che cos'è un bambino (Hansol education, 2008), Velluto (The open books, 2009) e il pioniere dei viaggi coreani: Filastrocca acqua e sapone (Appletreetales, 2007).


Di prossima uscita: Vorrei avere che sarà pubblicato nel 2011 da MoonWon. Per il futuro, chissà.

mercoledì 17 novembre 2010

Si incontrarono a Pontevigodarzere

Vi ricordate uno scorso post dal titolo Mi leggi
Ecco: qui leggete il report di quell'esperienza che ci ha fatto Mauro Mongarli.


Tutti sanno che i bambini amano farsi ripetere la stessa storia tante volte, e ogni volta il bambino se la fissa bene nella memoria, finché da adulto decorerà la sua villa in campagna con i sette nani e biancaneve di cemento colorato. 
(Bruno Munari)


Dopo l'uscita di un mio scritto per i Topipittori ho cominciato a essere bersaglio di domande che nessuno mi aveva mai fatto. “Quanto hai guadagnato?”, “Ma davvero sei capace, non facevi il pubblicitario?”, ”Me ne regali una copia?”
Ho capito così che dare alle stampe qualche idea è solo l'inizio della questione, se hai scritto qualcosa a cui tieni e che vuoi continuare a far crescere.

Ho pensato che potevo condividere la scrittura del libro, la mia esperienza di padre, vent'anni di carriera come creativo pubblicitario e mettere tutto sotto la luce delle fiabe, perché mi ero imbattuto in una frase di Calvino che mi aveva fatto studiare il loro mondo: “[Le fiabe] sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna”.

Ho studiato un po' Bettelheim, Rodari, Propp, Pinkola Estés, Schutzenberger, Dolci, Calvino stesso, Munari, consultato insegnanti ed esperti, bisnonne impavide raccontatrici ma nulla mi è sembrato superare quella frase per definire l'importanza delle fiabe. Il loro essere chiare e usabili (catalogo), eterne (destini), lavorabili (possono), pienamente disponibili (darsi), “per tutti” nel senso più nobile (un uomo, una donna).

E poi, magari qualcuno mi avrebbe anche chiesto: “Bello il tuo libro, quando ne fai un altro?”, o “Come scrivi bene!”. È successo, ma le soddisfazioni, durante gli incontri “Mi leggi?”, sono state altre.

Ho visto che al netto dei massacri disneyani, delle riduzioni fatte con accetta e portafogli in mano, dei danni perpetrati dal comune senso del banale le fiabe sono vive, vivissime. E basta poco per renderle strumento utile in mano a un genitore. Utile nel suo rapporto con i figli così come nel renderlo più sereno, a ragione maggiormente veduta, nello scegliere libri odierni di qualità.

Mi sono addentrato nel territorio delle storie terapeutiche con l'aiuto delle insegnanti del nido che mi ospitava, preparate e sciolte. A chi chiedeva una bibliografia ho dato un elenco di editori dai quali partire. Non ho risparmiato colpi bassi come mostrare buoni e cattivi esempi fianco a fianco, e alla fine far vedere come avessero lo stesso prezzo. O dire quanto fatturano ogni anno le Winx. Trascinato dall'entusiasmo, visto che il pubblico era composto solo da donne, mi è partito addirittura un “Perché noi mamme...”. Una mamma mi ha detto alla fine come il mio lapsus le abbia ispirato una storia per il suo bambino tanto mammone. Ecco: lì, per un attimo, mi son sentito per sempre felice e contento.

martedì 16 novembre 2010

L'officina delle meraviglie

Nel marzo 2008, il giorno prima che aprisse la Fiera del Libro per Ragazzi, alla Libreria Giannino Stoppani notammo il libro di una sconosciuta casa editrice portoghese: Planeta Tangerina. Il libro era Quando eu nasci, che decidemmo immediatamente di pubblicare in Italia. Per fortuna, avevamo già fissato un appuntamento con le due autrici, Madalena Matoso e Isabel Minhos Martins, che ne sono anche le editrici. Così è nato Quando sono nato: un libro che ha reso felici noi e, evidentemente, anche molti altri, perché lo ristamperemo a gennaio, ma anche perché è stato pubblicato, oltre che in Portogallo e in Francia, in Gran Bretagna da Tate Modern, ed è valso a Madalena Matoso la menzione speciale della giuria al Prémio Nacional de Ilustração nel 2007.

Da allora, i rapporti con Planeta Tangerina si sono consolidati, sul piano sia personale sia professionale. Lo scorso anno li abbiamo ospitati nel nostro stand a Bologna e quest'anno condivideremo con loro e con Editions Notari uno spazio più grande.
Prossimamente pubblicheremo P come papà, di Isabel Minhos Martins e Bernardo Carvalho, in uscita a febbraio 2011, e Quanti siamo in casa, di Madalena Matoso e Isabel Minhos Martins, che uscirà a fine marzo 2011.

Planeta Tangerina è una delle più innovative case editrici del panorama europeo e, nonostante una produzione molto limitata (da quattro a sei titoli all'anno) si è conquistata rapidamente un posto di rilievo nel mercato internazionale. La loro attività spazia dalla comunicazione d'impresa e istituzionale, all'illustrazione “per conto terzi” a progetti innovativi che mescolano teatro e illustrazione, o editoria e musica.
Un esempio in questo filmato: l'illustrazione interattiva di Bernardo Carvalho per la piece “Daqui vê-se melhor”, scritta da Isabel Minhios Martins su un'idea di Susana Menezes, per lo spettacolo teatrale Historia do Teatro di Maria Matos, presentato a Lisbona, al Teatro Municipal nello scorso mese di ottobre.




lunedì 15 novembre 2010

Omaggio ad Antonella Toffolo

"Avevamo una casa bellissima, con muri di mattoni blu scuro, come il cielo prima di una tempesta  autunnale, e le finestre abbastanza piccole, molto comuni nelle case dei contadini...”

Il 20 novembre vogliamo ricordare Antonella Toffolo.
Lo faremo attraverso una mostra delle tavole originali dell'ultimo libro che Antonella ha fatto per noi.
È stata proprio Antonella a proporci il racconto, bellissimo, di Viorel Boldis, dopo la prima esperienza di lavoro insieme, quella di Il pifferaio magico di Hamelin, che ha segnato l'inizio della nostra amicizia e collaborazione.

In questa occasione Viorel Boldis leggerà il suo racconto, e si darà lettura di uno scritto di Giulia Mirandola sul libro.


Vi aspettiamo tutti alla Libreria Castello di Carta di via Belloi 1/b. Ore 17.00.


Nell'occasione, segnaliamo tutte le belle recensioni del libro che sono uscite in queste settimane.

Giusi Germenia su “Vivere” allegato di “La Sicilia”.
Giulia Mirandola su Osservatorio balcani.
Elisabetta Mincato su Leggere leggerci.
La rubrica Assaggi Letterari ha poi fatto questa videorecensione includendo sia Il fazzoletto bianco sia Gli uccelli.

venerdì 12 novembre 2010

I bambini

Nel 2009 è uscito, per Einaudi, L'ubicazione del bene, una raccolta di racconti di Giorgio Falco, autore di un altro splendido volume di racconti Pausa caffè, edito da Sironi nel 2004. Ambientati a Cortesforza, immaginaria località a solo venti chilometri da Milano, mutuata sul paesaggio umano e residenziale di tanti sobborghi esistenti nel cosiddetto Parco Agricolo Sud Milano (paradiso artificiale, frutto delle speculazioni edilizie dei Ligresti e di Berlusconi l'altro), questi racconti mettono in scena i luoghi e gli oggetti della vita quotidiana e i modi in cui le persone entrano, o cercano di entrare, in relazione con essi. Sono racconti illuminanti, che descrivono minuziosamente una ipotetica realtà del nord Italia di oggi, fatta di condomini, villette unifamiliari, parcheggi, centri commerciali, strade, centri storici, negozi, cascine ristrutturate, campi, tangenziali, capannoni, cantieri, ospedali, zone industriali. In questi ambienti vivono anche bambini e animali. L'autore li include nei suoi racconti, dandone descrizioni magistrali. Terrorizzanti.
Il brano che pubblichiamo, è tratto da L'ubicazione del bene, il racconto che dà il titolo alla raccolta. Ringraziamo Giorgio Falco per averne consentito la pubblicazione.

Augustin Rouat, L'enfant au citron, 1945
I bambini cantano l'inno nazionale, indossano maglie azzurre e tricolori sui piccoli petti, urlano, ridono, vogliono srotolare per gioco la pellicola trasparente che ricopre la carne nei freezer. Hanno solo quattro anni ma già sono finiti i tempi in cui i genitori un po' più giovani li sistemavano come fagotti nei seggiolini dei sedili posteriori e li accompagnavano dai nonni, prima del lavoro. Cosa hanno fatto stanotte? Hanno dormito? Non hanno dormito? Hanno mangiato? Non hanno mangiato? I bambini appena possono imitano le nonne e dicono ai genitori, buon lavoro! I genitori salutano e vanno, i bambini piangono tra le braccia delle nonne, le nonne distraggono i nipotini, dicono di guardare gli uccellini, i gattini, belli, dicono le nonne, gli uccellini e i gattini non bastano, le nonne usano i biscottini. Alle dieci, le nonne e i nipotini escono, fanno il giro dell'isolato, comprano il pane, si fermano mezzora al parco comunale. Le nonne spingono l'altalena e controllano l'orologio del campanile, alle undici, sfidano i capricci dei nipotini e tornano a casa, preparano il pranzo per i nonni, pensionati che lavorano otto ore al giorno. I nonni, le nonne, i nipotini guardano un telegiornale. All'una meno un quarto i nonni, prima di tornare al lavoro, chiedono un bacio ai nipotini. I nipotini non vogliono, i nonni insistono, i nipotini baciano. All'una e un quarto i nipotini dormono. Le nonne lavano le cucine, l'acqua scende silenziosa per non disturbare il fragile equilibrio del sonno dei nipotini.  Alle tre e mezza i nipotini si svegliano, chiamano con la voce impastata pomeridiana. Ancora un paio d'ore e le madri tornano dal lavoro.

Pablo Picasso, Claude in costume polacco, 1948
Nei giorni di festa i bambini più piccoli, costretti nei seggioloni, rifiutano i bavaglini, muovono le braccia come croupier alienati scontenti per le mance. Le madri urlano frasi ricattatorie, i bambini piangono, gli adulti tentano una mediazione imbarazzata e discreta.
I bambini non vogliono mangiare le verdure cotte e i pesci.
Le verdure cotte rilasciano acqua che cola mista olio verso i bordi sbeccati dei piatti. I pesci dei bambini sono ripuliti, perfetti, senza lische, solo polpa, ma gli occhi morti degli altri pesci fissano i bambini dai piatti dei grandi.
Henri Rousseau, L'Enfant à la poupée, 1904-1905

Le nonne propongono un'alternativa ai pesci. I figli lasciano fare. Le nuore non gradiscono l'interferenza, trattengono l'irritazione appallottolando la mollica di pane. Le nonne propongono ai nipoti la ciccia. La ciccia è la bistecca. I nipoti preferiscono la ciccia impanata, ma adesso mangiano la ciccia al sangue, masticano lentamente, custodiscono la carne nell'ombra della bocca, la carne gonfia le guance, prima di finire sputata nel tovagliolo di carta o sotto il tavolo. Le madri esasperate sollevano i bambini dai seggioloni. Dopo il caffè, le madri aprono i vassoi dei pasticcini, i bambini abbandonano i divani, corrono goffi con le mani protese verso l'alto, si attaccano alle tovaglie, quasi sparecchiano, accecati dal dolce.


Le immagini che abbiamo scelto sono tratte da Les Enfants Modéles, de Claude Renoir à Pierre Arditi, catalogo della interessantissima, omonima mostra tenutasi al Musée de l'Orangerie a Parigi, dal 24 novembre 2009 all'8 marzo 2010. Chi fosse interessato può acquistarlo qui.

giovedì 11 novembre 2010

Lo sguardo di Camilla

Come del resto mezzo mondo, Camilla Engman l’abbiamo incontrata qui cioè sul suo famosissimo e amatissimo blog.
Guardavamo ammirati i suoi quadri, le sue foto, la sua casa, i suoi disegni, il suo cane Morran, le cose che si vedono dalla sua finestra, gli oggetti che fabbrica o trasforma o anima (dipingendo, decorando, disegnando, cucendo, modellando, assemblando), i piatti che cucina, le piante che osserva come una scienziata, i sentieri e le strade che percorre, i libri che legge, le immagini che guarda, i legni, i semi, le foglie e le carte che colleziona, i paesaggi, i luoghi e la natura che fotografa.
Il mondo di Camilla ci ha conquistati. O meglio, ci ha conquistati la sua capacità di guardare, come attenzione e capacità di pensiero sul mondo, di visione e di racconto visivo. Mai scontata, mai fine a se stessa, tesa a esplorare da vicino ogni cosa,  a entrare in relazione con la sua forma, la sua bellezza e la sua vita.

Per qualche anno ci siamo chiesti: e se le chiedessimo di fare un libro per noi? Poi, un giorno ci è sembrato di avere una storia adatta a lei e al suo segno, ci siamo armati di coraggio e le abbiamo mandato un messaggio.
E Camilla, semplicemente, ha detto di sì.
È così che è nato Troppo tardi.
Fra le tante recensioni al libro, segnaliamo le ultime: quella di Julia Rothman, sul suo conosciutissimo (e imperdibile)  sito books by it's cover. E quella di Francesca Mossa per la rivista  “Il salvagente” che coglie alla perfezione lo spirito del libro, scrivendo della “felicità di affrontare il troppo buio, la strada troppo lunga, il troppo freddo, il troppo tempo che ci vuole, il troppo pericolo..."



Qualche tempo fa, su Camilla e sul suo lavoro l’editore Uppercase ha pubblicato un libro molto interessante da guardare e da leggere. Chi ama questa artista non lo può perdere.

E per chi ama i calendari, troverà in vendita sul suo sito il bellissimo calendario 2011.

mercoledì 10 novembre 2010

«Non avrei mai immaginato...»

Un altro me di Bernard Friot è uno dei tre nuovi titoli appena usciti e da pochi giorni in libreria della collana “Gli Anni in tasca”.
Un racconto aspro, coinvolgente, implacabile, che ci ha presi fin dalle prime pagine. Dopo averlo letto e tradotto, siamo andati a Besançon a trovare Bernard, che non conoscevamo: e la controparte di questo romanzo “difficile” si è rivelata una persona piena di calore, che sprigiona empatia, con uno scintillante senso dell'umorismo.
Per parlarvi del libro, abbiamo pensato di fargli qualche domanda:

Ci siamo chiesti perché, quando ti sei concentrato sulla tua storia di adolescente per scrivere questo libro, fra tutti i ricordi si è imposto proprio quello da cui parti: una domenica sera, al rientro da casa nel collegio che frequentavi, a Parigi. Cos'è stato a determinare questa scelta?
Non avrei mai immaginato di scrivere un libro come questo. La cosa è stata provocata da un'amica, una scrittrice, Jeanne Benameur, alla quale in precedenza avevo dedicato uno dei miei libri. È stata lei a parlarmi del progetto delle Èditions La Martinière di creare una nuova collana, nella quale far raccontare agli scrittori per ragazzi la propria adolescenza. Jeanne mi disse: «Ho pensato che fosse il progetto adatto a te.» Istintivamente le risposi: «Assolutamente no! Ho dimenticato la mia adolescenza; l'ho cancellata dalla mia memoria.» Ma era già troppo tardi. Alcune immagini erano già tornate in superficie. La prima fu quella sensazione di freddo umido che mi raggelava la schiena mentre attendevo l'autobus che, ogni domenica sera, mi riportava al collegio. Le immagini che hanno guidato la scrittura di Un altro me sono state tutte “fisiche”: luci, odori, impressioni atmosferiche, eccetera.

In che modo, dopo che hai scritto questo libro, i tuoi ricordi di ragazzo sono cambiati, se sono cambiati? C'è stato un cambiamento nel tuo modo di pensare la tua adolescenza, mentre scrivevi il libro e quando poi l'hai terminato? Perché, a tuo avviso, la scrittura può cambiare la memoria?
Ho l'impressione che, scrivendo questo libro, si sia creato uno spazio per altri ricordi. Un po' come quando si fa ordine nei cassetti della scrivania: di colpo, si scopre che c'è ancora un sacco di posto. E poi, quei ricordi che volevo tenere sepolti perché erano dolorosi, ora non mi fanno più paura. La scrittura ha creato una distanza o, più esattamente, mi ha permesso di “fissarli”. Non sono più un agglomerato informe e inquietante: sono una fotografia che posso guardare in tutta tranquillità.

Bernard Friot, a sinistra, con il fratello maggiore.
Come è stato accolto il libro in Francia? Fra ragazzi, adulti e “addetti ai lavori” ci sono state differenti reazioni?
Un altro me è uno dei libri che ha fatto lavorare di più il mio postino. Mi hanno scritto in tanti, soprattutto giovani, ventenni o trentenni, per i quali il libro ha rappresentato uno strumento per chiudere il capitolo della propria adolescenza. Ma anche ragazzi relativamente giovani, con mia grande sorpresa. Uno di loro mi ha detto, semplicemente: « È triste, ma è bello.» Quanto agli adulti, si stupiscono che si possa scrivere un libro del genere, che si possa rivelare così tanto di sé. Ma ho l'impressione di rivelare più cose, più intime, in un testo di pura finzione che in questo, sebbene dichiaratamente autobiografico.

In che modo pensi che collane di narrativa, come la nostra, “Gli anni in tasca”, o quella di Éditions de la Martinière, “Confessions”, o quella di Joie de Lire, “Retroviseur”, possano essere utili, interessanti, coinvolgenti per i lettori, sia adulti, sia ragazzi?
Questo, veramente, non lo so. Pensavo che il mio libro non avrebbe interessato nessuno, che fosse troppo cupo, troppo disperato. Ma, allo stesso tempo, non avrei potuto scrivere altro. In quanto scrittore, mi interessava anche il fatto che la collana mi offriva un nuovo spazio di scrittura; e in quanto lettore, apprezzo il modo in cui ogni scrittore trova i propri strumenti, la forma letteraria più adatta per raccontare la propria infanzia. E questo è particolarmente vero dei titoli della collana “Gli anni in tasca”, nei quali ogni autore trova il proprio registro di scrittura ideale.

Grazie, Bernard.

martedì 9 novembre 2010

Bravo, Luigi!

Domenica, 7 novembre, l'inserto cultura del Sole24Ore ha dedicato una segnalazione alla veste grafica della collana Anni in tasca.
Il merito è di Luigi Raffaelli, bravissimo grafico pesarese che ha seguito e accudito la collana fin dal suo esordio: volumi e cataloghi.
Giudicate voi, se merita, da questa immagine che assembla tutte le copertine.

lunedì 8 novembre 2010

Sulle strade della notte

Hors Cadre[s]. Observatoire de l'album et des littératures graphiques, è una bella rivista francese, co-edita da L'atelier du poisson soluble e Quiquandquoi, co-diretta e redatta da Sophie Van der Linden, esperta di illustrazione e libri illustrati (e autrice, fra le altre cose del volume, Lire l'album). La rivista, che non ha un sito internet ma è contattabile a questo indirizzo, è nata nel 2007, è biennale e monografica. Vale a dire, ogni numero è dedicato a un tema: dagli albi senza parole, al bianco, ai pop-up, ai carnet di viaggio e via discorrendo. 
Il numero di questo autunno è dedicato al nero, nelle sue numerose declinazioni. Sophie Van der Linden firma un bell'articolo sui libri dedicati alla notte, notando che nei libri illustrati di largo consumo il buio inteso come “notte nera”, è bandito, addirittura, paradossalmente, quando è nominato nel testo viene evitato nelle illustrazioni o annacquato in un timido blu zaffiro. È semplice stupidità? Incompetenza? No. 
Non resta che pensare a un atto deliberato. In queste produzioni, contrassegnate da una preoccupazione convenzionale perché commerciale, che confina talvolta con l'assurdo più becero, si potrebbe ipotizzare che la natura del nero possa urtare la sensibilità commerciale di chi media fra bambino e libro? In tutti i casi, è l'ultima ipotesi plausibile. Dunque il nero fa paura.
Da segnalare la citazione in epigrafe che apre l'articolo della Van der Linden: «Una massa di libri idioti fa sbarramento fra i bambini e la vera letteratura», da un articolo di Christophe Honoré su “Le Monde”.
Siamo abbastanza orgogliosi che fra i bellissimi libri sulla notte passati in rassegna nell'articolo, da Nella notte buia di Bruno Munari, a La notte di Wolf Erlbruch, a Non aprite quella porta di Benoit Jacques, compaia il nostro Di notte sulla strada di casa di Giovanna Zoboli e Guido Scarabottolo, edito nel 2005.
Si vede che questo libro sta vivendo un momento di riscoperta, (fortunatamente, in un mercato dalla memoria cortissima e dai gusti molto convenzionali), perché Zazienews gli ha recentemente dedicato un affettuoso post di cui ringraziamo Silvana Sola. Zazienews si occupa di libri per ragazzi, con recensioni e notizie su editori, pubblicazioni, autori e illustratori di tutto il mondo. È una delle tante creature della Cooperativa Giannino Stoppani che da oltre vent'anni lavora alacremente e instancabilmente alla cultura del libro per ragazzi, attraverso la storica libreria, una scuola, un negozio di giocattoli e una casa editrice.

venerdì 5 novembre 2010

L'importanza di farsi spaventare

Letture facoltative (Adelphi, 2006) è uno di quei libri per i quali vale la pena, se ancora non lo si è letto, di mettersi su in fretta e in furia il cappotto con sotto il pigiama, se ancora non ci si è vestiti, per correre alla prima libreria vicino a casa ad acquistarlo. L'ha scritto un Nobel per la letteratura, Wisława Szymborska: il meno pomposo, saccente e trombone Nobel della storia, in compenso la più ironica, lieve e sferzante voce che si possa immaginare. La signora Szymborska ha il dono di dire cose che accendono la testa come un salone delle feste, illuminato da centomila cristalli. Basti dire che Letture facoltative è una raccolta di recensioni su libri marginali, inutili, frivoli, popolari, pratici, cioè libri rigorosamente non “nobili” (ed è sufficiente soffermarsi sull'idea di recensire libri così, per intuirne la  genialità).

Siccome a questo genere di libri, nella concezione corrente di letteratura non nobile, appartengono anche quelli destinati ai bambini (persino le Fiabe di Andersen), ecco che la Szymborska, su tale argomento, ha scritto una pagina fondamentale. Si intitola L'importanza di farsi spaventare. Eccola qui.

A uno scrittore dall'immaginazione piuttosto sbrigliata proposero di scrivere qualcosa per i bambini. «Benissimo,» si rallegrò «avevo giusto in mente un raccontino con una strega». Le signore della casa editrice cominciarono a gesticolare agitate: «No, le streghe no, per carità! Non si devono spaventare i bambini!» «E i giocattoli nei negozi?» domandò lo scrittore. «Come la mettiamo con quegli orsacchiotti strabici di peluche viola?» Quanto a me, sono di un diverso avviso. 


I bambini amano essere spaventati dalle favole. Hanno un naturale bisogno di sperimentare emozioni forti. Andersen atterriva i bambini, ma nessuno di loro, una volta diventato grande, gliene ha mai voluto. Le sue splendide favole sono piene di creature soprannaturali, senza contare gli animali parlanti e i secchi dal pronto eloquio. Non tutti i membri di questa confraternita sono cordiali e innocui. Il personaggio che ricorre con maggiore frequenza è la morte, figura implacabile che irrompe all'improvviso nel cuore della felicità, portandosi via i migliori, i più amati. 

Andersen prendeva i bambini sul serio. Non parlava loro soltanto della radiosa avventura della vita, ma anche di disgrazie, sventure e sconfitte non sempre meritate. Le sue favole, popolate di creature immaginarie, sono più realistiche di quintali di odierna letteratura per l'infanzia, così ansiosa di risultare verisimile da sfuggire gli incantesimi come la peste. Andersen aveva il coraggio di scrivere favole con un finale triste. Riteneva che non si debba cercare di essere buoni  per un tornaconto (proprio quello che i raccontini moralistici di oggi si ostinano a divulgare, e che non sempre, in questo mondo, corrisponde a verità), ma perché la cattiveria è frutto di un limite intellettuale ed emotivo, l'unica forma di miseria da cui tenersi alla larga. Ed è ridicola, quant'è ridicola! Andersen non sarebbe stato il grande scrittore che fu senza un senso dell'umorismo che spaziava dall'indulgenza al dileggio. E non sarebbe stato nemmeno un grande moralista, se si fosse limitato a incarnare i buoni sentimenti. No, aveva i suoi capricci, le sue debolezze e nella vita di ogni giorno poteva essere un tipo insopportabile. 

Pare che Dickens rendesse grazie al cielo il giorno in cui Andersen si recò a fargli visita e fu sistemato in una cameretta piena di fiori in segno di benvenuto. Ma poi arrivò a fare altrettanto anche il giorno in cui l'ospite ripartì alla volta della nebbiosa Copenhagen. 





E noi che credevamo che due scrittori per tanti versi simili avrebbero dovuto rimanere a fissarsi negli occhi fino alla morte! Beh, pazienza.

(trad. Valentina Parisi)

(Qui sopra, nel testo, le tavole delle illustrazioni di Joanna Concejo per I cigni selvatici di Andersen, che pubblicheremo a gennaio)